In Cina e Asia — Uiguri in protesta

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La nostra rassegna quotidiana


Uiguri in protesta

La comunità uigura in giro per il mondo ha protestato contro le politiche di controllo e le detenzioni extragiudiziali messe in atto da Pechino nello Xinjiang. Sono almeno 14 i paesi — tra cui Stati Uniti, Australia e Turchia — ad aver fatto da scenario, giovedì, al malcontento della minoranza turcofona che vive prevalentemente nella Cina occidentale e in Asia Centrale. Una manifestazione è andata in scena davanti alla sede delle Nazioni Unite di New York, mentre a Istanbul e Sydney alcune donne uigure hanno protestato sventolando la tipica bandiera azzurra del Turkestan, simbolo delle istanze secessioniste della minoranza xinjiangnese. “Riesci a immaginare un luogo in cui milioni di persone vengono portate nei campi di detenzione senza il coinvolgimento dei tribunali?” chiede Seyit Tumturk, attivista con base in Turchia appoggiato dai politici locali che si batte per la fondazione di un nuovo partito politico più radicale del World Uyghur Congress. Secondo recenti dati, nello Xinjiang lo scorso anno sono stati spesi oltre 9 miliardi di dollari per la sicurezza interna, tra posti di blocco, telecamere di videosorveglianza, scanner facciali e tutto quanto necessario a scongiurare nuovi attacchi di matrice islamica come quelli sperimentati negli ultimi anni in varie città della Cina. Ma che la comunità uigura considera necessari a richiamare l’attenzione sul genocidio culturale messo in atto da Pechino contro l’etnia.

Gli Usa vogliono registrare gli Istituiti Confucio come “agenti stranieri”: è braccio di ferro culturale

Una nuova bozza di legge è stata presentata alla Camera dei rappresentanti con lo scopo di costringere gli Istituti Confucio a registrasi presso il dipartimento di Giustizia come “agenti stranieri”. Su pressioni del repubblicano Joe Wilson, il Congresso avrebbe al vaglio una revisione della Foreign Agents Registration Act (FARA), legge di epoca nazista pensata per combattere la propaganda straniera che oggi risparmia per una non precisata “bona fide” i soggetti che conducono attività accademiche e scolastiche. Sebbene, la mossa rivelata da Foreign Policy sia ufficialmente finalizzata ad assicurare una maggiore trasparenza, difficilmente lascerà Pechino indifferente. Negli ultimi anni, gli Usa sono diventati sempre meno ospitali nei confronti degli istituti, considerati un cavallo di Troia del “soft power” cinese all’estero. La Cina d’altronde non è rimasta a guardare. Secondo il dipartimento di Stato tra il gennaio 2016 e l’aprile 2017 sono state rilevate 150 interferenze in attività culturali e diplomatiche. A fare le spese sono sopratutto gli American Centres for Cultural Exchange (ACCs), strutture finanziate dal governo statunitense ospitate all’interno delle università cinesi. Il dipartimento di Stato aveva stanziato fondi per la gestione di 29 centri ma nel frattempo 10 partnership sono state cancellate su pressione delle autorità cinesi e solo una decina sono ancora operanti.

Anche Hong Kong valuta i tre anni di carcere per chi non rispetta l’inno cinese

Tre anni di carcere a chi insulta l’inno nazionale cinese. Anche a Hong Kong. La proposta è al vaglio del parlamento locale, dove la fazione filocinese è numericamente predominante. Lo scorso novembre, modifiche del codice penale cinese hanno aumentato la pena per il mancato rispetto dell’inno da un periodo di detenzione di 15 giorni a tre anni nei casi più gravi. La legislazione sul rispetto della “Marcia dei volontari” era poi stata inserita nella Basic Law in attesa che la regione amministrativa la adattasse alle proprie necessità. Si tratta di una misura che aumenta la tensione con la mainland, sempre più “protettiva” nei confronti della propria sovranità sull’isola. Non è insolito sentire fischi contro l’inno cinese durante le partite di calcio da parte della tifoseria di hongkonghese. Il tutto accompagnato da bandiere di epoca coloniale. Secondo la proposta, la legge dovrà essere accompagnata da un’adeguata campagna d’informazione sulla “storia e lo spirito” dell’inno.

Ridimensionate le esercitazioni Usa-Corea del Sud

Con il clima di distensione creatosi nelle ultime settimane tra Corea del Nord e Corea del Sud, Washington e Seul hanno optato per una linea morbida anche per quanto riguarda le esercitazioni militari congiunte annuali. Anche in vista dei probabili colloqui di maggio tra Kim Jong-un e Donald Trump, la durata delle esercitazioni sarà ridotta. Le esercitazioni Key Resolve e Foal Eagle erano state già rimandate per non farle coincidere con le Olimpiadi invernali di Pyeongchang.