In Cina e Asia – Ucraina: Pechino organizza i primi rimpatri 

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Ucraina: Pechino organizza i primi rimpatri
  • La Cina rimuove le restrizioni sul grano russo
  • Nuove sanzioni dal Giappone, si unisce anche Taiwan
  • L’Ue introdurrà misure di due diligence contro il lavoro forzato
  • Cina: nuovo picco di progetti a carbone nel 2021
  • Gli Usa “sospendono” la “China Initiative” 
  • Centri di elaborazione dati: la Cina investe nelle regioni interne

La Cina ha annunciato che organizzerà voli charter per rimpatriare i cittadini cinesi ancora in Ucraina. Negli scorsi giorni l’ambasciata cinese a Kiev si era limitata a invitare i connazionali alla prudenza, a fare scorte alimentari e a esporre la bandiera cinese per evitare attacchi. Attualmente, ci sono circa 6.000 cinesi in Ucraina, principalmente a Kiev, Lvov, Kharkov, Odessa e Sumy. Il Global Times ha raccolto alcune testimonianze dirette. Intanto su Weibo, la l’invasione dell’Ucraina è tranding topic. La frase wū xīn gōngzuò (乌心工作), “non riesco a concentrarmi sul lavoro penso solo all’Ucraina” è diventata un verso e proprio meme sul web cinese.

La Cina rimuove le restrizioni sul grano russo

Mentre la crisi in Ucraina si trasforma in guerra aperta, la Cina annuncia che sarà completamente aperta all’importazione di grano russo: l’ennesima mossa a riprova di un rafforzamento dei legami bilaterali tra Mosca e Pechino. L’accordo fa parte di un pacchetto di negoziazioni che sono state portate avanti durante la visita del presidente Putin a Pechino a inizio febbraio. L’intento dell’incontro era quello di elevare i rapporti tra i due paesi al rango di una “partnership strategica completa”. La notizia delle importazioni cinesi di grano russo arriva, evidentemente, con perfetto tempismo per Mosca. Alla luce delle recenti sanzioni imposte alla Russia da diversi paesi “occidentali” per via dei bombardamenti in territorio ucraino iniziati giovedì, l’intesa con Pechino rappresenta un chiaro sollievo per la sua economia. Gli Stati Uniti hanno sanzionato due banche nazionali russe impedendo loro di svolgere operazioni sui mercati nazionali, e l’Unione Europea ha dichiarato di essere pronta a fare lo stesso. Secondo alcuni esperti la Cina sta tentando un equilibrismo: vuole aiutare la Russia, sostentando la sua economica, ma anche preservare allo stesso tempo il dialogo con l’Unione Europea.

Nuove sanzioni dal Giappone, si unisce anche Taiwan

Il premier Fumio Kishida ha annunciato nuove misure, tra cui limitazioni alle esportazioni di semiconduttori e altre merci, il congelamento degli asset detenuti in Giappone da alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie russe, e la sospensione dell’emissione di visti d’ingresso nei confronti di una lista di persone e entità russe. L’annuncio del primo ministro giapponese segue di poche ore la condanna da parte del G7 dell’operazione militare russa in Ucraina, accompagnata dall’impegno di quel forum ad adottare sanzioni finanziarie “pesanti e coordinate” in risposta a tale “attacco ingiustificato”. “Ci troviamo di fronte ad una situazione estremamente grave, con ramificazioni per l’intero ordine internazionale: non solo in Europa, ma in Asia e oltre”, ha affermato Kishida. “Il Giappone deve dare prova di determinazione e non consentire alcun mutamento dello status quo tramite l’uso della forza”, ha aggiunto il primo ministro. Secondo il Nikkei, il paese asiatico starebbe cercando di identificare i  provenienti dalla Russia e di elaborare piani di emergenza per fronteggiare potenziali interruzioni delle catene di approvvigionamento. Nel 2020, il gas naturale liquefatto e i metalli non ferrosi hanno rappresentato gran parte delle importazioni giapponesi dalla Russia, per un totale di 10,7 miliardi di dollari nel 2020.

Intanto anche Taiwan ha annunciato che si unirà ai paesi democratici introducendo sanzioni contro la Russia. Il ministro dell’Economia, Wang Mei-hua, ha riferito ai giornalisti che l’isola “esaminerà attentamente” le esportazioni verso la Russia e “si coordinerà” con gli alleati per imporre ulteriori misure. Non è stato specificato quali. Da parte sua il colosso dei semiconduttori  Taiwan Semiconductor Manufacturing Co Ltd (TSMC) ha affermato che si atterrà alle regole sul controllo delle esportazioni. L’isola oltre lo Stretto ha rapporti commerciali minimi tanto con la Russia quanto con l’Ucraina, ma la sua presa di posizione ha un forte valore simbolico alla luce della minaccia di un’invasione cinese. Nella giornata di ieri, il governo di Tsai Ing-wen ha denunciato l’ennesima sortita aerea. Secondo il ministero degli Esteri, l’ultima missione ha coinvolto otto caccia cinesi J-16 e un aereo da ricognizione Y-8 cinesi, che hanno sorvolato un’area a nord-est delle isole Pratas, controllate da Taiwan nel Mar Cinese Meridionale. Mettendo le cose in chiaro, tuttavia, Tsai ha spiegato che “la situazione in Ucraina è fondamentalmente differente da quella dello Stretto di Taiwan”, dal momento che quest’ultimo costituisce una “barriera naturale”

L’Ue introdurrà misure di due diligence contro il lavoro forzato

L’Unione Europea vuole promuovere una politica che imponga alle aziende che operano nel suo territorio di verificare che i loro fornitori rispettino standard ambientali, sociali e dei diritti umani. È quanto ha proposto mercoledì la Commissione europea, nell’ottica di controllare più da vicino la sostenibilità delle sue catene del valore. Le imprese dell’UE saranno chiamate a fare indagini e valutazioni annuali su rischi diversi, tra cui il lavoro forzato, il lavoro minorile, la sicurezza sul posto di lavoro, l’inquinamento e il degrado dell’ecosistema causati dalle attività realizzate dai loro fornitori. In questo modo le aziende europee sarebbero responsabili non sono della propria condotta, ma anche di quella di tutte le attività che compongono la loro catena di approvvigionamento. Tuttavia, secondo il South China Morning Post, la legislazione non include un divieto sull’importazione o la commercializzazione di beni prodotti utilizzando il lavoro forzato, ed è escluso perciò che questa misura possa incidere fortemente sulle condizioni di lavoro delle comunità uigure nello Xinjiang cinese, ad esempio. Alcuni sostengono che l’Unione Europea potrebbe fare di più. “La Commissione dovrebbe essere ambiziosa e lavorare su un vero e proprio divieto di importazione ispirato al modello che esiste già negli Stati Uniti e in altri paesi” ha detto Anna Cavazzini, una deputata dei Verdi al Parlamento europeo ,“in questo modo si possono fermare i prodotti realizzati con il lavoro forzato alle nostre frontiere”.

Cina: nuovo picco di progetti a carbone nel 2021

Gli impegni della Cina sulla neutralità carbonica sembrano vacillare di fronte alle esigenze economiche dettate dalla crisi sanitaria e da una situazione internazionale dominata dall’incertezza. Mentre le grandi aziende cinesi, come la Tencent Holdings Ltd., cercano di allinearsi alla linea del governo e prevedono di raggiungere la neutralità nelle sue operazioni entro la fine del decennio, Pechino si trova davanti all’eterno trade-off tra imperativi economici e imperativi ambientali. Secondo un rapporto pubblicato giovedì, la Cina sta costruendo nuove centrali elettriche a carbone e impianti siderurgici a un ritmo allarmante. Le ricerche del Centre for Research on Energy and Clean Air e Global Energy Monitor hanno dimostrato che il cambio di rotta rispetto agli impegni sul clima annunciati l’anno scorso dal presidente Xi Jinping è stato innescato dalle carenze energetiche dell’anno scorso. Secondo la ricerca nel 2021 sono stati avviati nuovi progetti a carbone per 33 gigawatt, il livello più elevato dal 2016. L’economia cinese è dovuta scendere patti con gli interessi pro-carbone, che hanno fatto pressioni perché la Cina virasse nuovamente su una politica energetica che andasse a loro vantaggio. Secondo alcuni esperti il rallentamento del settore immobiliare, la pandemia e le restrizioni che vi hanno fatto seguito e le difficoltà del commercio internazionale hanno reso tanto più urgente rilanciare i settori industriali e delle costruzioni, che richiedono un altissimo impiego di carbonio.

Gli Usa “sospendono” la “China Initiative” 

Gli Stati Uniti hanno annunciato una revisione della “China Initiative”, il programma lanciato dall’amministrazione Trump per combattere lo spionaggio e il furto di proprietà intellettuale da parte di Pechino. I detrattori di questa politica sostenevano che fosse faziosa e razzista, e che stesse conducendo a un eccesso di procedimenti penali. Così, il Dipartimento di Giustizia ha dichiarato la sua sospensione mercoledì. L’assistente procuratore generale per la divisione di sicurezza nazionale dell’agenzia, Matt Olsen, ha detto che il lavoro del Dipartimento estenderà il suo campo d’azione al contrasto dei crimini di spionaggio e furto di proprietà intellettuale da parte di Russia, Iran, e Corea del Nord, non solo dalla Cina. La strategia è stata lanciata nel 2018 dall’amministrazione Trump, in un momento in cui la sinofobia si diffondeva rapidamente nel paese a causa dell’acuirsi della guerra commerciale con Pechino. Il programma del governo, attraverso il profiling razziale di studiosi, ricercatori e professionisti, ha comportato un pregiudizio discriminatorio nei confronti di persone di origini asiatiche. Gli indagati sono stati spesso incriminati per reati diversi, come l’evasione fiscale. Al crescere del numero di coloro che sono stati prosciolti dalle accuse, è cresciuta anche la pressione sull’amministrazione Biden di accelerare i progetti di riforma della “China Initiative”.

Centri di elaborazione dati: la Cina investe nelle regioni interne

La Repubblica popolare cinese ha lanciato un progetto per la costruzione di cluster di data center regionali, che beneficeranno di investimenti per centinaia di miliardi di yuan all’anno. Lo ha annunciato giovedì scorso la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (NDRC), in un documento redatto congiuntamente con altri dipartimenti, in cui è stata utilizzata l’espressione “elaborare i dati dell’Est a Ovest” (in cinese 东数西算): il paese mira a costruire centri di elaborazione dati nelle province occidentali del paese, quelle meno sviluppate, al fine di soddisfare le necessità di studio e archiviazione dei dati delle aree costiere orientali più ricche. Il documento menziona la creazione di cluster in città come Pechino, Tianjin e Chongqing, ma anche nelle province interne del Guizhou, Gansu e Ningxia. Già a fine dicembre le autorità avevano comunicato l’intenzione di costruire quattro mega cluster funzionanti grazie a fonti di energia rinnovabili.

A cura di Agnese Ranaldi e Alessandra Colarizi; ha collaborato Vittoria Mazzieri