Guo Boxiong ex vicepresidente della Commissione Militare Centrale potrebbe essere il prossimo nome grosso a finire sotto indagine nell’ambito della campagna anticorruzione del governo di Xi Jinping. Via il ministro dell’ambiente, guarda caso, il giorno seguente la pubblicazione online di un video di denuncia dell’inquinamento in Cina. In India il ministro degli interni prova a censurare un documentario sugli stupri. Aumenta il numero di ex funzionari del governo cambogiano. CINA – Tigri in divisa e armi spuntate
La grande tigre che probabilmente finirà in gabbia nell’ambito del repulisti nell’Esercito Popolare di Liberazione è Guo Boxiong, ex vicepresidente della Commissione Militare Centrale (il terzo pilastro del potere cinese, oltre al Partito e all’apparato statale).
Sui media di Stato, il suo nome è stato messo in relazione a uno scandalo per corruzione che colpirebbe il figlio, Guo Zhenggang, indagato con altri 13 pezzi grossi delle forze armate. Di solito, se si nomina un mammasantisima per nome e cognome è perché sta per saltare. Guo era il secondo di Xu Caihou durante la leadership di Hu Jintao. Per intenderci, erano i due al comando dell’esercito più grande del mondo (2,3 milioni di uomini). Xu è stato messo sotto inchiesta ed espulso dal Partito nel corso del 2014.
Il segnale è chiaro: sono stati decapitati gli ex vertici dell’esercito, che sta per essere rivoltato come un guanto. Xi Jinping vuole tenere sotto stretto controllo un pilastro fondamentale del potere cinese che, dalla fine degli anni Novanta, ha ricorso sempre più a strumenti di “mercato” per rendersi più efficiente, come da ricetta neoliberista. Il risultato è il boom della corruzione e dell’inefficienza. Intollerabile, perché è almeno da 170 anni (cioè dal trauma della Guerra dell’Oppio) che la Cina è particolarmente sensibile al tema della propria vulnerabilità militare. Una ricostruzione storico-politica.
CINA – Onda verde
Che coincidenza! Mentre il documentario sull’inquinamento dell’ex anchorwoman Chai Jing fa il botto in rete (e non è censurato), il governo cinese sostituisce il ministro dell’Ambiente, lancia una nuova campagna anti-inquinamento e pone i temi ambientali in primo piano nelle discussioni dei due parlamenti.
Intanto fioriscono articoli sui principali media che vanno dalle interviste a Chai all’annuncio di nuove misure punitive verso gli inquinatori. Il dado è tratto, l’ambiente non può più essere ignorato.
CINA – Legalizzate i matrimoni omosessuali!
Il padre di un gay di Ganzhou, nel Jiangxi, ha inviato una lettera a 1.000 parlamentari riunitisi per il Lianghui chiedendo loro di discutere della legalizzazione dei matrimoni omosessuali in Cina.
Il 61enne Lin Xianzhi ha preso l’iniziativa per garantire parità di diritti alle coppie gay, tra cui cure mediche, diritti di eredità e di proprietà immobiliare (in Cina si tende ad andare sul concreto). Il figlio, Xiaotao, che ha fatto outing nel 2011, ha raccontato al Global Times che suo padre è gradualmente passato dal rifiuto all’accettazione, e ha poi deciso di aiutare altri genitori a seguire un percorso simile. È quindi entrato come volontario nell’associazione Genitori, Famiglie, Amici di Lesbiche e Gay (PFLAG) ed è partito alla carica. L’omosessualità in Cina è stata derubricata dalle malattie mentali nel 2001 e fino al 1997 era ancora reato.
INDIA – Ministro degli Interni prova a bloccare documentario su stupri
L’8 marzo è prevista la trasmissione di India’s Daughter, documentario girato dalla videogiornalista israeliana Leslee Ludwin che, secondo le anticipazioni date alla stampa, conterrebbe un segmento in cui uno dei violentatori del Delhi Gangrape accuserebbe la vittima di non essersi lasciata stuprare in silenzio, di essersela cercata.
Appreso il contenuto del video, il ministero degli interni ha aperto delle indagini circa i permessi che Ludwin avrebbe avuto per girare all’interno del carcere, mentre l’authority delle telecomunicazioni ha intimato ai canali indiani di non trasmettere il videodocumentario.
CAMBOGIA – Altri due incriminati dal tribunale per i crimini dei Khmer Rossi
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Il tribunale speciale per i crimini in Cambogia ha incriminato due ex esponenti dei Khmer Rossi accusati di omicidio, sfruttamento della schiavitù, persecuzione etnica e politica e altre azioni inumane. La decisione ha tuttavia provocato la dura reazione del governo guidato dal primo ministro Hun Sen. Le incriminazioni riguardano infatti i cosidette casi 003 e 004 del tribunale e riguardano esponenti non di primo piano del regime, l’ex generale della marina Meas Muth, e una monaca Im Cheam, che gestì un campo di lavoro.
A differenza dei primi casi che hanno portato alla sbarra i vertici del regime di Pol Pot, i nuovi casi riguardano personaggi minori, molti dei quali si erano rifatti una vita all’interno dell’amministrazione cambogiana. Lo stesso Hun Sen, in gioventù militò tra le file dei Khmer Rossi.
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