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In Cina e Asia – La Cina accoglie i primi viaggiatori internazionali

In Notizie Brevi by Redazione

 

  • La Cina accoglie i primi viaggiatori internazionali
  • Jack Ma non detiene più la maggioranza di Ant Group
  • Studi ideologici sul Covid e censura sul web
  • Interruzione di gas nello Hebei
  • Incontro tra il cardinale Zen e Papa Francesco
  • Il Giappone sfida la Cina, tra limitazioni sull’export di chip e standard 6G
  • Dimissioni di due vice primi ministri vietnamiti per corruzione

 

Da domenica 8 gennaio la politica Zero Covid è diventata un ricordo anche per i viaggiatori internazionali che vogliono entrare o fare ritorno in Cina. Una condizione che ha spinto migliaia di espatriati cinesi, lontani da anni dal paese a causa delle restrizioni, a riunirsi alle proprie famiglie senza voler “aspettare neanche un giorno in più”. Come riportato dal South China Morning Post, i primi aerei hanno iniziato ad atterrare già all’alba di domenica, quasi contemporaneamente alle operazioni di smantellamento di tutte le strutture di prevenzione presenti all’interno degli aeroporti. Ora l’unico requisito per l’ingresso nel paese è un tampone negativo effettuato entro le 48 ore precedenti l’arrivo (al quale va sommato l’obbligo di mascherina a bordo dell’aereo). La cancellazione di ogni forma di quarantena centralizzata e dei codici sanitari ha sbloccato anche le partenze nel senso opposto – molti cittadini cinesi stanno prenotando viaggi all’estero – e gli accessi in Cina attraverso le frontiere terrestri dagli Stati confinanti, tra cui Russia, Myanmar e Corea del Nord. Dal 12 gennaio si aprirà ai voli internazionali anche Pechino: negli ultimi tre anni chi voleva andare nella capitale doveva prima passare per lo screening in un’altra località della Repubblica popolare, potendo volare verso la città solo dopo l’accertamento della negatività.

Zhang Wenhong, specialista in malattie infettive, ha detto al South China Morning Post che presto il Covid diventerà una “malattia endemica” anche in Cina come nel resto del mondo. Nel frattempo, però, il paese dovrebbe fare scorta di “farmaci antivirali” e alzare il tasso di vaccinazione degli anziani. Al 14 dicembre risulta vaccinato con due dosi l’86,6% degli over 60 cinesi (con tre dosi il 69,8%). Jiao Yahui della Commissione sanitaria nazionale ha dichiarato all’emittente statale CCTV che circa l’8% dei cinesi che hanno contratto il Covid ha sviluppato la polmonite (“non una cifra da poco” in termini assoluti), ma i dati ufficiali di fine 2022 riportano solo 14 decessi per coronavirus dal 1° al 29 dicembre.

Jack Ma non detiene più la maggioranza di Ant Group

Jack Ma non controlla più Ant Group. Come dichiarato dalla società in un annuncio ufficiale, a seguito di una “ottimizzazione nella gestione aziendale” il fondatore di Alibaba (di cui Ant Group è il braccio legato alla fintech) non avrà più la maggioranza di voto all’interno del consiglio di amministrazione. Il miliardario non lascia definitivamente: la sua quota azionaria in Ant scenderà da oltre il 50% a circa il 6%, ma resterà uno dei dieci principali azionisti. Stando alle normative, il cambio di proprietà potrebbe tardare la quotazione in borsa della società (in questi casi serve aspettare un anno per poterlo fare a Hong Kong, due a Shanghai).

Proprio lo stop alla gigantesca IPO di Ant da 34 miliardi di dollari prevista nel novembre 2020 – arrivato dopo le critiche di Ma alle politiche finanziarie cinesi – aveva inaugurato la stagione della dura repressione di Pechino nei confronti delle big tech del paese. Come riportato dal New York Times, da allora Ant ha lavorato per ristrutturare le proprie società in accordo con le autorità cinesi, che a dicembre hanno approvato un piano di aumento di capitale del gruppo da 1,5 miliardi di dollari. Potrebbe essere il segnale – insieme al passo indietro di Ma – di un allentamento della linea dura del governo nei confronti di Ant e delle altre big tech.

La conferma è arrivata per bocca del segretario del partito della People’s Bank of China, la banca centrale cinese. Secondo la rivista Caixin, Guo Shuqing ha ammesso che la campagna di rettificazione volge alla fine e che Pechino concentrerà i suoi sforzi nel convincere le big tech a giocare un ruolo più importante nella creazione di posti di lavoro.

Studi ideologici sul Covid e censura sul web

Di recente gli utenti dell’internet cinese si sono mostrati molto critici nei confronti di alcuni studi di importanti accademici cinesi che analizzano come il marxismo possa aiutare a combattere il Covid. L’accusa è di sprecare fondi pubblici senza apportare contributi significativi all’attuale situazione, che vede una impennata di infezioni in tutto il paese dopo l’inversione di rotta della strategia nazionale: il più criticato è un progetto di ricerca finanziato dal Fondo nazionale per le scienze sociali che si focalizza sul “grande spirito di lotta contro il Covid-19”, ed elogia i risultati del Partito. I social media hanno già preso provvedimenti: giovedì scorso la piattaforma di microblogging cinese Weibo ha comunicato di aver intrapreso azioni punitive contro 1200 utenti colpevoli di aver “incitato al conflitto” e aver diretto “attacchi personali” contro “esperti e accademici”. La censura ha colpito anche altri commenti sul web che “turbano l’ordine sociale”.

Su altri fronti Pechino invita alla calma. Sabato scorso il governo ha annunciato che i sospetti detenuti in casi legati al Covid dovranno essere rilasciati “in modo tempestivo e appropriato”, e qualsiasi proprietà sequestrata dovrà essere restituita. Ad essere interessati saranno soggetti finiti agli arresti dopo essersi scontrati con la polizia per essersi rifiutati di seguire le regole di isolamento o per aver violato la quarantena. Le autorità hanno affermato, tuttavia, che continueranno a colpire i contrabbandieri e venditori abusivi di farmaci, dopo che a seguito dell’aumento dei contagi si è registrata una diffusa carenza di medicine.

Interruzione di gas nello Hebei

La provincia settentrionale cinese dello Hebei starebbe sperimentando una grave carenza di gas. Dall’inizio dell’inverno le filiali della China Gas Holdings Ltd. non sono riuscite a garantire una fornitura ininterrotta di gas, e hanno anche somministrato un prodotto di scarsa qualità. Gli abitanti delle aree rurali della provincia sono rimasti senza riscaldamento, dovendo fare i conti con le temperature sotto zero. Secondo quanto riferito dai funzionari di alto livello al South China Morning Post, le autorità governative locali non sono riuscite a piazzare un numero sufficiente di ordini ai fornitori di gas per soddisfare la domanda. Dopo i reclami della popolazione, il governo locale ha risposto di essere impegnato in nuove negoziazioni con la società coinvolta “per risolvere il problema tempestivamente”.

Incontro tra il cardinale Zen e Papa Francesco

Secondo quanto riportato dalla rivista gesuita America Magazine, venerdì scorso il cardinale Joseph Zen ha ricevuto un’udienza privata con Papa Francesco. Il novantenne, ex vescovo di Hong Kong, è stato arrestato lo scorso maggio per aver sostenuto un fondo a favore dei manifestanti pro-democrazia. Per partecipare ai funerali di Benedetto XVI il cardinale ha dovuto ottenere un permesso speciale del tribunale. L’ultimo incontro con il Papa risaliva al 2018, anno in cui la Santa Sede ha raggiunto un accordo segreto con la Cina che permette al sommo pontefice di approvare le nomine dei vescovi cinesi. In tal modo, secondo il cardinale Zen, il Papa avrebbe “svenduto” la comunità cattolica clandestina cinese (quella che rimane fede a Roma e non si allinea con il cattolicesimo “con caratteristiche cinesi”) a Pechino. Durante il breve incontro, tuttavia, Zen ha raccontato di aver ringraziato il papa per aver nominato “un buon vescovo” alla guida della diocesi di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow.

Il Giappone sfida la Cina, tra limitazioni sull’export di chip e standard 6G

“Al fine di affrontare l’uso sbagliato di tecnologie critiche da parte di attori malintenzionati (…) e il trasferimento improprio di tecnologie, è assolutamente imperativo per noi rafforzare la nostra cooperazione per il controllo delle esportazioni”. Parole che Yasutoshi Nishimura, ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese, ha pronunciato al forum di Washington del think tank americano CSIS. L’intervento di Nishimura lascia intendere che il Giappone potrebbe aderire al divieto americano sull’esportazione di chip di fascia alta in Cina, ma la collaborazione tra i due paesi non finisce qui. Il ministro ha affermato la volontà di Tokyo di cooperare con Washington nell’ambito delle tecnologie “dual use”, citando le tensioni militari sullo Stretto di Taiwan. Recentemente, inoltre, la statunitense IBM e il produttore di semiconduttori giapponese Rapidus hanno stipulato un accordo per la fabbricazione di chip a 2 nanometri. Nishimura ha incontrato giovedì la segretaria al Commercio americana, Gina Raimondo, e venerdì la rappresentante per il Commercio Katherine Tai. Il prossimo 11 gennaio si terrà il vertice del comitato sulla sicurezza USA-Giappone tra rispettivi ministri della Difesa e degli Esteri, mentre per il 13 è previsto l’incontro tra il primo ministro Fumio Kishida e il presidente americano Joe Biden alla Casa Bianca.

A proposito di alta tecnologia, il Nikkei Asia ha riferito che il giapponese Seizo Onoe è stato eletto direttore del Telecommunication Standardization Bureau (TSB), parte dell’International Telecommunication Union (ITU), un’agenzia di regolamentazione delle telecomunicazioni delle Nazioni Unite. Lo scopo del TSB è quello di stabilire gli standard internazionali per la tecnologia 6G entro il 2025. La nomina di Onoe è una buona notizia per il Giappone che, oltre a poter rafforzare la propria industria delle telecomunicazioni, ridimensiona il ruolo della Cina. Negli ultimi anni Pechino aveva guadagnato molta influenza all’interno dell’organizzazione.

Dimissioni di due vice primi ministri vietnamiti per corruzione

Giovedì scorso il parlamento vietnamita ha approvato le dimissioni di due vice primi ministri per reati che sarebbero riconducibili alla gestione del Covid: Pham Binh Minh, vice primo ministro della Diplomazia, sarebbe colpevole di mancata supervisione dei voli organizzati durante la crisi pandemica per riportare nel paese i cittadini vietnamiti residenti all’estero; Vu Duc Dam, vice primo ministro della Sanità pubblica, è stato accusato di imbrogli nelle gare d’appalto condotte dal governo per i kit di analisi del Covid, uno scandalo che ha già portato all’arresto dell’ex ministro della Sanità e dell’ex sindaco di Hanoi. Gli esperti sostengono che il segretario del Partito Nguyễn Phú Trọng, al suo terzo mandato quinquennale, stia rafforzando la lotta alla corruzione al fine di consolidare la sua presa sul potere. Inoltre, secondo fonti del Nikkei, Xi Jinping in persona avrebbe esercitato pressioni per “colpire” Minh, colpevole di sostenere una fazione politica “favorevole all’Occidente”.

Di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno