In Cina e Asia – Il Myanmar libera i due giornalisti della Reuters

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

I due giornalisti della Reuters condannati in Myanmar a sette anni di carcere per aver violato l'”Official Secrets Act” sono stati messi in libertà questa mattina dopo aver trascorso più di 500 giorni dietro le sbarre. Al momento del loro arresto, Wa Lone, 33 anni, e Kyaw Soe Oo, 29 anni, stavano lavorando a un’inchiesta sui pogrom contro la minoranza musulmana rohingya nello stato Rakhine, che secondo le autorità locali ha infranto una legge di epoca coloniale sui segreti di Stato. I reporter sono stati rilasciati – dopo mesi di contrattazioni tra il governo birmano, Reuters e le Nazioni Unite – nell’ambito di un’amnistia di massa concessa a circa 6000 persone. La Corte Suprema ne aveva rifiutato il ricorso in appello solo lo scorso mese [fonte: Reuters]

Cina: nuove regole sugli investimenti statali

Il Consiglio di Stato ha pubblicato nuovi regolamenti per aumentare la trasparenza degli investimenti statali e ridurre i rischi relativi all’accumulazione di debiti fuori bilancio. Le nuove regole, che entreranno in vigore il 1 ° luglio, mirano a inserire gli investimenti e il debito delle amministrazioni locali in un quadro giuridico che chiarisca il tipo di progetti in cui le autorità sono invitate a investire e le fonti di finanziamento consentite. Le amministrazioni locali sono invitate a utilizzare i loro bilanci fiscali per progetti difficili da realizzare sulla base di meccanismi di mercato, come infrastrutture pubbliche, assistenza sociale, agricoltura, servizi rurali e protezione ambientale. Banditi “i progetti di vanità”: le nuove misure stabiliscono che le autorità debbono tenere conto delle proprie entrate e spese fiscali, nonché delle esigenze di sviluppo economico e sociale locale. Gli investimenti saranno inoltre sottoposti a una serie di requisiti, compresa la necessità di rivalutarne la realizzazione se le stime di spesa superano del 10% l’importo approvato inizialmente nello studio di fattibilità [fonte: Caixin]

Pechino censura le tariffe di Trump

Quando lunedì le azioni cinesi sono scese del 6%, in pochi oltre la Muraglia si sono saputi dare una risposta. Infatti, la causa della flessione – la minaccia di nuove tariffe americane – era assente da People’s Daily, CCTV e Xinhua, i tre principali media statali rigidamente controllati dai censori. La notizia dell’ennesima provocazione trumpiana è cominciata a circolare solo nel pomeriggio, dopo le dichiarazioni ufficiali del ministero degli Esteri e prevalentemente nella versione rilasciata dalla Xinhua. Su WeChat, invece, sono stati rimossi persino gli screenshot del tweet di Trump. Ma, sulla scia del comunicato ufficiale, la notizia ha messo in moto una girandola di speculazioni. Per molti utenti Weibo, l’inquilino della Casa Bianca starebbe semplicemente seguendo una strategia ispirata al suo libro “The Art of the Deal” per strappare a Pechino più concessioni possibili. Ma i toni intimidatori rendono assai difficile per il governo cinese scendere a compromessi senza apparire debole agli occhi dei propri cittadini [fonte: Scmp, Inkstone]

La crociata antimusulmana di Diba

Lo scorso 10 aprile, diversi post pubblicati sulle pagine Facebook dei due gruppi per la difesa della minoranza uigura, Talk to East Turkestan (TET) e World Uyghur Congress, sono stati alluvionati di immagini e commenti offensivi, spesso minacciosi. La controffensiva reca la firma del Diba Central Army, una misteriosa organizzazione nazionalista che vanta 20 milioni di utenti su vari social media e che, sebbene non ufficialmente affiliata al governo comunista, è stata lodata dai media statali per le sue “crociate patriottiche”. Per poter aderire a Diba, gli aspiranti membri devono rispondere a una serie di domande sulla legge anti-Secessione cinese e la prospettiva di un sistema democratico in Cina. Come spiega uno degli organizzatori al Global Times, la campagna online è stata inaugurata per combattere le “relazioni distorte e inventate sullo Xinjiang”, dove secondo stime varie un numero compreso tra 1 e 3 milioni di islamici sono internati in centri di rieducazione. Ed è già polemica sull’incapacità degli algoritmi di Facebook di intercettare la spam [fonte: AFP].

Intanto un’inchiesta del Guardian attesta la sistematica distruzione dei luoghi di culto islamici nel Xinjiang. Secondo riprese satellitari, tra il 2016 e il 2018, 31 moschee e santuari sono stati sottoposti a interventi di modifica mentre almeno 15 luoghi di culto sono stati completamente rasi al suolo.

Banditi i rituali matrimoniali violenti

Le autorità della contea di Shen, nella provincia dello Shandong, hanno promesso di combattere i tradizionali rituali matrimoniali contraddistinti da volgarità e atti di nonnismo. I nuovi divieti colpiscono la pratiche diffuse, quali versare birra e salse varie sugli sposi una volta averli legati agli alberi o a pali del telefono o costringerli a eseguire acrobazie imbarazzanti. Lo hunnao, praticato da millenni un po’ in tutta la Cina per scacciare gli spiriti maligni, è finito sotto i riflettori mediatici dopo una serie di incidenti terminati con morti e feriti. Chiunque violi le nuove direttive sarà perseguibile con l’accusa di “disordine pubblico”. A dicembre, Pechino aveva promesso di reprimere i rituali definendoli un segno della “degenerazione morale” [fonte: Scmp]

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