In Cina e Asia – Per Pechino il Dalai Lama è blasfemo

In by Simone

Pechino accusa il Dalai Lama di essere blasfemo nell’anniversario delle manifestazioni che lo costrinsero alla fuga. Si prevedono tempi duri per le ong in Cina. E’ quasi tutto pronto per le nuove zone di libero scambio. In Myanmar torna la repressione degli studenti. CINA –  Se il Dalai Lama è blasfemo

Nel giorno del 66esimo anniversario delle manifestazione in Tibet che portarono alla fuga del Dalai Lama, il governatore del Tibet Padma Choling afferma che le parole dell’autorità religiosa sono “blasfeme” e “contro il buddhismo tibetano”. Dopo aver rinunciato al suo ruolo di guida politica nel 2011, quest’anno Tenzin Gyatso ha annunciato che potrebbe non rincararsi, mettendo così fine alla tradizione dei Dalai Lama.

Il governo in esilio teme che Pechino possa manipolare la scelta del suo successore, cosa già successa nel 1995 con la reincarnazione del Panchen Lama, la seconda autorità del buddhismo tibetano. L’attuale Dalai Lama, il 14esimo, quest’anno compierà 80 anni. Una celebrazione particolarmente sentita negli altopiani tibetani.

CINA – Tempi duri per le ong in Cina
C’è già la bozza e si attende solo l’emanazione della legge che cercherà di regolamentare il complesso mondo delle oltre 500mila ong che operano nel Paese. Per ora si sa che quelle straniere dovranno registrarsi, trovare uno sponsor nelle agenzie governative cinesi e farsi approvare i bilanci annuali.

Secondo fonti ufficiali, le ong straniere che operano nel paese sono oltre 6mila e di fatto hanno sempre cooperato con le agenzie governative per portare avanti i loro programmi, ma in maniera più soft. Ora temono che molte di quelle più attive non riusciranno a conformarsi ai nuovi regolamenti.

CINA – Le nuove Free Trade Zone della Cina

Sembrerebbe che almeno la zona di libero scambio in Guangdong sarà ufficialmente inaugurata il 18 marzo, alla chiusura dell’Assemblea nazionale del popolo. Assieme a quella del Fujian e di Tianjin dovevano essere inaugurate prima dell’annuale appuntamento con il ‘parlamento’ cinese. Ma nessuna delle tre è ancora stata ufficialmente lanciata.

Dovrebbero seguire lo schema di quella lanciata a settembre 2013 a Shanghai, ma anche quest’ultima è stata ampiamente criticata. Gli investitori cinesi e stranieri lamentano che non ci sono vantaggi rispetto al resto della Cina e una serie di scandali legati alla corruzione ha già provocato la rimozione di uno dei suoi funzionari di più alto grado.

MAYANMAR – Repressa la protesta studentesca

Le immagini che arrivano da Letpadan rimandano a quelle dei tempi più duri del regime. La polizia ha disperso con la forza una manifestazione studentesca contro la riforma dell’Istruzione che i critici, sottolineano, toglierebbe libertà e autonomia a scuole e università, puntando sulla centralizzazione.

Centinaia di agenti in assetto antisommossa hanno manganellato gli studenti nella città, distante circa 140 chilometri dalla vecchia capitale Yangon. I feriti sono decine, almeno 30 gli arresti. Gli scontri sono stati il culmine di proteste che si protraggono da almeno una settimana e che affondano radici in una contestazione che va avanti da mesi. Prima degli scontri c’erano state notizie di negoziati tra agenti e studenti e di un accordo che permettesse a questi ultimi di continuare la propria marcia fino a Yangon.

Secondo quanto rivela la rivista Irrawaddy, che cita un fotografo presente sul posto, ci sarebbero stata divisioni all’interno dello stesso schieramento di polizia, con gruppi di agenti che avrebbero cercato di fermare i colleghi. Alcuni studenti sono stati inseguiti fino a un monastero dove avevano cercato rifugio.

Gli studenti rappresentano da sempre un’avanguardia della protesta birmana. Nel 1988 furono gli animatori del movimento democratico che portò alle elezioni del 1990. La repressione di questi giorni segna un passo indietro rispetto alle aperture del governo che dal 2011, caduta la giunta militare al potere, ha iniziato un processo di riforma. Altri ostacoli al processo democratico, come sottolineato dall’inviata speciale delle Nazioni Uniti, sono gli scontri tra milizie etniche ed esercito regolare e la discriminazione contro la minoranza musulmana, vittima degli attacchi delle frange buddhiste radicali.