Durante un convegno a Shanghai il 24 ottobre scorso, il miliardario cinese Jack Ma (la sua Alibaba è il maggior player al mondo nel settore e-commerce con un fatturato pari a 467,72 miliardi di dollari) aveva detto che «la Cina non ha un problema di rischio finanziario sistemico, il rischio deriva dalla mancanza di un sistema. L’innovazione non ha paura della regolamentazione ma ha paura della regolamentazione obsoleta. Non dovremmo usare il modo di gestire una stazione ferroviaria per regolamentare un aeroporto».
E LE BANCHE CINESI? «Sembrano dei banchi dei pegni». Le autorità che regolamentano il settore? «Un club di anziani». Parole non casuali e che hanno preannunciato quanto si sta vedendo in questi giorni in Cina: una vera e propria guerra tra Stato cinese, ovvero il Pcc e nello specifico Xi Jinping e le grandi aziende tecnologiche cinesi. Del resto, quando nel 2018 Jack Ma aveva annunciato il suo ritiro da presidente di Alibaba, rinunciando così ai ritmi stressanti del suo lavoro (di cui ha sempre fatto un vanto per la verità, invitando anche i suoi dipendenti a lavorare senza tregua) in Cina gli avevano creduto in pochi.
L’impressione era la seguente, che Jack Ma volesse defilarsi avendo fiutato un’aria non proprio positiva. Arricchirsi in Cina è ancora glorioso, o quanto meno è possibile, ma può anche diventare rischioso, specie a causa della pressione che Xi Jinping sta mettendo al settore privato cinese da almeno un paio d’anni. Il contrasto è infine esploso portando con sé tutto il settore dell’hi tech cinese.
Il primo pugno l’ha sferrato Xi Jinping, dritto in faccia a Jack Ma. A inizio di novembre, infatti, la quotazione record nelle borse di Shanghai e Hong Kong di Ant Financial, spinoff di Alibaba, che avrebbe dovuto raccogliere 34,5 miliardi di dollari è stata sospesa da Pechino (pare da Xi Jinping in persona). Poco prima la dirigenza del gruppo era stata convocata nella capitale. Non pochi hanno visto in questa decisione del partito comunista una risposta alle lamentele di Jack Ma sull’eccessiva cautela delle banche cinesi nell’elargizione di prestiti.
IL PROBLEMA PER ANT Financial, è stato quello di porsi in concorrenza con lo Stato. Le autorità bancarie poco dopo l’affaire della quotazione in borsa, hanno fatto sapere di lavorare a una nuova regolamentazione che dovrebbe prevedere un capitale maggiore come requisito per erogare prestiti oltre alla possibilità di mettere sullo stesso piano le società finanziarie tradizionali e quelle, come Ant, che operano solo on line.
Il rischio è quello di creare «aziende zombie» e insolvenze letali. La legge infatti colpisce Ant e in generale cercherà di porre freno alle insolvenze societarie che – secondo i media cinesi – avrebbero raggiunto i 157 miliardi di yuan (23,9 miliardi di dollari) quest’anno e sarebbero sulla buona strada per superare il record di 167 miliardi di yuan dello scorso anno. Le società statali, tra cui la Yongcheng Coal & Electricity Holding Group, il produttore di chip Tsinghua Unigroup e la Huachen Automotive Group Holdings, rappresentano il 40% del totale. Un problema enorme che potrebbe essere utilizzato per colpire anche Alibaba in nome di un riassetto completo del settore finanziario cinese.
Ma c’è dell’altro, naturalmente, perché oltre alla volontà delle autorità bancarie cinesi di regolarizzare banche e finanze on line, all’orizzonte c’è anche una potenziale nuova legge anti trust (e più intransigente sull’utilizzo dei dati da parte delle aziende). Lo scopo di entrambe le azioni del governo è molto chiaro: le aziende private possono espandersi ma c’è un limite.
IL 12 NOVEMBRE PECHINO ha presentato una bozza di legge volta a frenare il comportamento monopolistico delle sue piattaforme, con una mossa che secondo gli analisti porterà a un maggiore controllo dei mercati di e-commerce e delle piattaforme di pagamento e delivery, tra gli altri. Siamo di fronte a un vero e proprio atto di guerra da parte del governo cinese nei confronti delle aziende hi-tech, in particolare in un settore che registra un miliardo di users attivi, con Alibaba che gestisce il 55% dei pagamenti on line e Tencent il 40%.
La bozza di legge è stato un gesto così forte da parte di Pechino da portare al crollo delle azioni in borsa: nei giorni successivi al suo annuncio i giganti tecnologici cinesi hanno perso quasi 290 miliardi di dollari di valore di mercato mentre gli investitori facevano a gara a vendere le azioni. Il giorno dopo l’annuncio l’indice tech di Hong Kong è sceso dell’11%. Il recupero è arrivato solo a seguito delle risposte di Tencent e Alibaba. La prima ha dichiarato di accettare senza ombra di dubbio ogni regolamentazione che il governo riterrà necessaria. Alibaba è andata anche più in là.
IL 22 NOVEMBRE, all’apertura della World Internet Conference ospitata in Cina, Daniel Zhang, il Ceo di Alibaba, ha stupito tutti: non solo ha detto che una nuova legge è giusta e necessaria, ma ha anche affermato che senza l’apporto del governo non ci sarebbe mai stata l’era del digitale in Cina come è invece avvenuta.
Zhang non ha tutti i torti, perché se il Pcc non avesse tenuto fuori dal mercato cinese i big occidentali, forse oggi Alibaba e Tencent non sarebbero così forti. Ma è anche vero il contrario: senza alcune intuizioni delle due aziende, il settore cinese forse sarebbe progredito in modo meno spedito. Questa captatio di Zhang indica però un dato politico rilevante: neanche le aziende leader del mercato internet cinese si possono porre contro Xi Jinping. E il mercato ne terrà conto.
SECONDO VICTOR SHIH, professore associato presso l’Università della California, a San Diego, sentito da Asia Nikkei Review, ha detto che le aziende cinesi non possono più contare sulla tolleranza del governo perché «il governo cinese può chiuderle se percepisce che gli imprenditori privati non stanno seguendo la linea del partito».
Insomma, il Pcc vuole fare capire chi comanda in Cina. Su questo scontro in atto – infine -ci sono altri due aspetti da tenere in considerazione per prevedere mosse future da parte del governo centrale. Alibaba e Tencent offrono servizi di pagamenti on line e off line che ormai sono utilizzati dalla maggior parte dei cinesi.
DI RECENTE però il governo centrale ha emesso la propria valuta digitale (in vigore già in alcune città in fase sperimentale) con lo scopo di entrare in quel business (redditizio perché WeChat, ad esempio, deve molto del suo fatturato alla percentuale guadagnata su ogni singolo transazione), oltre che per recuperare quelle fasce di popolazione che sono fuori dal sistema bancario cinese. In generale, significa che Alibaba e Tencent da fiore all’occhiello di Pechino e da aziende in grado di accaparrare dati in giro per il mondo e sviluppare i propri servizi avanzati in termini di Ai e IoT, diventano concorrenti dello Stato cinese.
IL SECONDO ASPETTO è proprio legato ai Big Data: anche in questo caso la bozza di legge proposta a ottobre per una nuova regolamentazione della privacy in Cina (avvicinabile a quella europea) non farà che mettere in difficoltà le grandi aziende cinesi: a questo proposito una delle principali preoccupazioni del Partito comunista – come suggeriscono gli analisti di Asia Nikkei Review – è che «i monopoli di Internet ospitano ora una grande quantità di media che è difficile da censurare. Questi vanno dai social media, all’aggregazione di notizie, al live streaming e ai brevi video e hanno rappresentato più della metà del tempo che gli utenti Internet cinesi trascorrono online, secondo quanto emerso da un sondaggio condotto dal China Internet Network Information Center svoltosi ad aprile».
IL COVID HA AUMENTATO questo fenomeno. «Tradizionalmente, lo spazio di sviluppo delle app cinesi si è avvicinato alla raccolta dei dati degli utenti dal seguente punto di vista: prendo ora tutto ciò di cui potrei aver bisogno in seguito», ha affermato Kendra Schaefer, a capo della sezione tech della società di consulenza Trivium con sede a Pechino. «Ciò contrasta con i paesi occidentali, dove le autorità di regolamentazione richiedono alle aziende di raccogliere solo i dati necessari per le loro operazioni», ha affermato. Ma la raccolta dei dati in Cina – per ora- non segue queste logiche. E il partito comunista sembra pronto a presentare un conto salato, che sta già riscuotendo a suon di multe per comportamenti «monopolisti» dei suoi big.
E PER ALIBABA E GLI ALTRI non sono finite le brutte notizie, perché su di loro è piovuto come una mannaia anche la campagna dei vaccini in Cina (è di ieri la notizia di una vaccinazione di 50 milioni di cinesi entro il capodanno cinese): una novità che ha portato a perdite copiose in borsa specie per Tencent, il gigante guidato da Ma Huateng che oltre a essere produttore di WeChat, la super app cinese, è anche azionista di Epic Games: proprio i videogiochi, il cui consumo è salito in modo vertiginoso durante la pandemia.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.