Il Kashmir non è più uno stato

In Asia Meridionale, Economia, Politica e Società by Matteo Miavaldi

Lunedì la Rajiya Sabha, la camera alta del parlamento federale indiano, ha approvato la proposta di legge avanzata dal governo che prevede lo smembramento dello stato del Jammu e Kashmir in due union territories direttamente amministrati da New Delhi.

Si tratta dell’evento politico più rilevante degli ultimi trent’anni per il Kashmir, regione a statuto speciale della Repubblica indiana fin dal 1949 in virtù dell’articolo 370 della Costituzione, inserito ad hoc a due anni dall’Indipendenza.

Approfittando dello stallo legislativo del Jammu e Kashmir, commissariato da oltre un anno, il Bharatiya Janata Party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi è riuscito a modificare l’articolo 370 con un decreto presidenziale, senza dover sottoporre la decisione all’assemblea parlamentare kashmira, di fatto imponendo dall’alto una svolta storica e assolutamente indigesta per la maggioranza degli abitanti del Kashmir.

Unico stato a maggioranza musulmana in India, presto sarà declassato a due union territories, Ladakh e Jammu e Kashmir, inferendo un colpo probabilmente fatale alle pulsioni di indipendentismo che interessano la regione da oltre 70 anni.

Un golpe politico che non ha precedenti nella storia indiana e che secondo diversi osservatori sarebbe anticostituzionale. Dettaglio su cui, con ogni probabilità, la Corte Suprema sarà presto chiamata a esprimersi.

Nei giorni precedenti il governo federale aveva alzato praticamente dal nulla il livello di tensione nella regione, imponendo una serie di misure eccezionali e sospette. Dallo scorso fine settimana è entrato in vigore nella regione il divieto di assembramento, turisti e pellegrini sono stati fatti evacuare, i servizi telefonici e internet sono stati sospesi e quasi 40mila soldati si sono aggiunti a una presenza militare già pesantissima. Si parla di stime tra i 500mila e i 700mila soldati, condizione che fa del Kashmir la regione più militarizzata del pianeta Terra.

Inoltre, domenica sera sono scattati gli arresti domiciliari preventivi per tutti i principali leader politici kashmiri: non solo della Hurriyat, organizzazione ombrello del separatismo kashmiro, ma anche di partiti «mainstream» come il National Conference di Omar Abdullah e il Peoples Democratic Party di Mehbooba Mufti, già chief minister del Jammu e Kashmir in coalizione proprio con il Bjp.

Silenziati tutti i principali interlocutori politici e fatta calare nuovamente sul Kashmir una legge marziale di fatto – da anni la normalità per milioni di kashmiri – il Bjp ha raggiunto uno degli obiettivi elettorali del 2014: liberarsi dell’articolo 370 e fare del Kashmir uno stato come gli altri. Anzi, nemmeno più uno stato. Smembrare il Kashmir declassandolo a duplice colonia di New Delhi. Un passaggio che ora apre scenari inediti nella regione.

Le opposizioni, dall’aula parlamentare, hanno parlato di «omicidio della democrazia indiana» e chiusura dell’ultimo spiraglio di risoluzione democratica della «questione kashmira». Contrariamente a quanto consigliato da una risoluzione Onu del 1948, l’India non ha mai concesso alla popolazione kashmira un plebiscito per decidere del proprio futuro, conteso da India e Pakistan, alimentando sentimenti anti-indiani sfociati dagli anni Novanta nella lotta armata.

Decaduto l’articolo 370, che aveva garantito finora il divieto di acquistare terreni per i non-kashmiri, la popolazione locale teme l’inizio di un’ondata di hinduizzazione della regione. Il Kashmir non sarà mai più lo stesso. L’India come la abbiamo conosciuta, nemmeno.

[Pubblicato su il manifesto]