Huawei alla conquista dell’Africa

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Nelle stesse ore in cui il caso Huawei infuria nei tribunali americani, a migliaia di chilometri di distanza, in Sud Africa, il colosso cinese si appresta a costruire due data center per estendere i suoi servizi di cloud storage nel continente nero. Le strutture di Johannesburg e Cape Town confermano un attivismo consolidato negli anni, parallelamente all’incremento degli interessi economici e geostrategici di Pechino nella regione. Qui le accuse di spionaggio spiccate dagli Stati Uniti – e recepite con accondiscendenza in diversi paesi alleati – non sembrano aver minimamente compromesso le attività della società.

Secondo un rapporto di McKinsey pubblicato nel giugno dell’anno scorso, “i giganti cinesi delle telecomunicazioni Huawei e ZTE [colpita dalle sanzioni americane nel 2018] hanno costruito la maggior parte delle infrastrutture di telecomunicazioni in Africa”, tanto che, per entrambe le aziende, le entrate africane rappresentano quasi un quinto del fatturato complessivo. Ne 2017, Europa, Medio Oriente e Africa sono state le regioni al di fuori della Cina in cui Huawei ha registrato il numero di vendite maggiore, pari al 27% del totale (23,76 miliardi di dollari).

Grazie ai suoi prezzi a buon mercato (il 5-15% più economici dei competitor europei), negli ultimi anni il colosso di Shenzhen è diventato il marchio di smartphone più acquistato in Sud Africa, sorpassando Apple e tallonando da vicino Samsung. Tanzania Uganda, Kenya, Nigeria, Ghana e Zambia, sono solo alcuni dei 36 paesi dove Huawei e ZTE hanno realizzato reti 3G e fornito servizi di e-government. Il prossimo passo consiste nella realizzazione della famigerata rete 5G (fino a cento volte più veloce del 4G ma più esposta ad intrusioni esterne) grazie alla partnership con oltre cinquanta operatori locali per un totale di almeno 22 contratti già firmati.

La liaison tra l’Africa e Huawei risale al 1998, quando, in tempi, non sospetti l’azienda cinese è sbarcata in Kenya grazie alla sua reputazione come “fornitore di reti mobili a basso costo, ma di alta qualità”. Nei diciotto anni successivi, la società ha esteso le proprie attività in oltre 40 paesi africani, beneficiando dell’ombrello politico fornito dagli investimenti iniettati da Pechino per puntellare lo sviluppo infrastrutturale del continente. Come spiega sul Global Times il giornalista keniota Joyce Chimbi, l’ingresso di Huawei in Africa va inserito in una strategia di internazionalizzazione che, nelle prime fasi, ha privilegiato paesi in via di sviluppo “con un PIL pro capite uguale o inferiore a quello cinese”. Nel caso dell’Africa, l’istituzione di joint venture con attori nativi ha permesso al colosso di Shenzhen di adattare più rapidamente i propri prodotti alle realtà locali. Un obiettivo ribadito con l’apertura in Nigeria, Egitto, Angola e Sud Africa, di centri di ricerca e sviluppo declinati alla formulazione di “soluzioni personalizzate” per i consumatori locali.

A dimostrazione del sostegno bidirezionale tra settore privato e statale (la linea di demarcazione è più che mai sottile in Cina), le attività di Huawei sembrano aver giovato non poco all’immagine del gigante asiatico nel continente nero. Mentre negli ultimi anni la stampa internazionale si è concentrata sul presunto nuovo colonialismo “made in China”, ad oggi dei 6000 dipendenti di Huawei oltre la metà è stata assunta a livello locale, mentre programmi di scambio permettono al personale africano di effettuare periodi di formazione professionale in Cina. Misure che se da una parte rafforzano i rapporti tra l’azienda e i paesi ospitanti, dall’altra non bastano a placare i sospetti della comunità internazionale nei confronti del legame ufficioso che intercorre tra Huawei e il governo cinese.

A settembre, la China Exim Bank, istituto di punta della nuova via della seta, ha erogato 328 milioni di dollari alla Nigeria per un upgrade delle infrastrutture locali con dispositivi Huawei. Di più. Stando a un’inchiesta di Le Monde, tra il 2012 e il gennaio 2017, Pechino avrebbe condotto regolari operazioni di spionaggio ai danni dell’Unione Africana attraverso l’hackeraggio dei computer installati nel quartier generale di Addis Abeba. Indovinate un po’ che marca sono?

[Pubblicato sul Il Fatto quotidiano online]