(In collaborazione con AGIChina24) Il Fmi ha tagliato le prospettive di crescita cinese anche per il 2013. Cresce la preoccupazione per un possibile hard landing. Intanto l’Omc dichiara illegali le restrizioni cinesi sulle carte di credito straniere. Washington: vittoria targata Obama. Il Fondo monetario internazionale rivede al ribasso le previsioni sulla crescita cinese per l’anno in corso, e rinnova i timori su un possibile hard landing per l’economia del Dragone: secondo la relazione estiva dell’FMI, nel 2012 la Cina potrebbe crescere dell’8 per cento, un taglio dello 0,2 per cento rispetto alle previsioni precedenti.
Ridotte le aspettative anche per il 2013, con una crescita stimata all’8,5 per cento contro l’8,8 per cento ipotizzato nella scorsa edizione del rapporto.
Secondo l’Fmi la Cina – insieme a India e Brasile- è vittima di un calo della domanda tanto sul fronte interno che su quello globale, e deve fronteggiare l’impatto delle misure restrittive decise nei mesi scorsi per raffreddare un’economia in pieno surriscaldamento.
"Da allora, il governo ha deciso di allentare tali misure – si legge nel rapporto- e gli effetti espansivi dei nuovi provvedimenti potrebbero manifestarsi già nella seconda metà del 2012. Tuttavia la crescita delle economie emergenti potrebbe comunque rivelarsi al di sotto delle aspettative”.
Il Fondo monetario internazionale mette anche in guardia contro i rischi di un hard landing: “Gli investimenti potrebbero frenare bruscamente –prosegue il dossier- a causa della sovrapproduzione raggiunta in diversi settori”.
Nel secondo trimestre 2012 il Pil cinese è cresciuto complessivamente del 7,6 per cento, ai livelli minimi dal 2009.
Dall’inizio di giugno la Banca centrale di Pechino ha tagliato due volte i tassi d’interesse, e il governo sta pompando liquidità nel sistema attraverso nuovi investimenti delle imprese di Stato e nuovi progetti di opere pubbliche ed edilizia popolare.
Ma al momento la Cina non sembra decisa a ripetere l’esperienza del pacchetto di stimoli del 2008, che permise al Dragone di affrontare gli effetti della crisi subprime, provocando tuttavia forti rincari nel costo della vita e numerose disfunzioni nel settore immobiliare.
Intanto, martedì il premier Wen Jiabao è tornato sulla questione del rallentamento dell’economia con un comunicato pubblicato sul sito del governo centrale: “Assicurare l’occupazione rappresenta la priorità delle nostre strategie di sviluppo – si legge nella nota- e al momento si riscontra una certa stabilità”.
Ma dopo aver ricordato i successi conseguiti tra il 2003 e il 2011, il primo ministro cinese passa alle note dolenti: “Da adesso in poi la situazione diventerà più seria e complicata. Il compito di promuovere una piena occupazione è estremamente oneroso, e sono richiesti sforzi ancora maggiori”.
E quelle strettamente finanziarie non sono le uniche cattive notizie in arrivo per Pechino. Martedì l’Organizzazione mondiale del commercio ha infatti stbilito che le restrizioni imposte dalla Cina contro le carte di credito straniere sono discriminatorie.
La sentenza arriva a due anni da quando Visa, MasterCard e American Express consegnarono il fascicolo contro Pechino sulle scrivanie dell’Istituto di Ginevra.
Una decisione che alla Casa Bianca hanno salutato come una vittoria dell’amministrazione Obama.
Il panel ha fatto sapere oggi che il monopolio che la Cina sta mantenendo su alcuni pagamenti in yuan da carta di credito e di debito viola le regole del Wto.
Pechino permette infatti alla sola China Union Pay di processare le transazioni in moneta locale e prevede che tutte le carte emesse nel Paese rechino il suo logo, limitando così gestori stranieri come appunto Visa, Mastercard e American Express.
In pratica gli operatori d’oltre Muraglia possono operare in territorio cinese solo appoggiandosi al sistema China Union Pay (Cus): istituito nel 2002 su approvazione della People’s Bank of China, il Cus collega gli sportelli bancomat (Atm) delle quattordici principali banche statali e di numerose altre istituzioni finanziarie locali, oltre ad essere in funzione nei singoli punti vendita.
Come previsto dal regolamento del Wto, entrambe le parti hanno 60 giorni di tempo per far ricorso contro la decisione.
Tuttavia a Washington il verdetto ha entusiasmato gli animi: “La vittoria di oggi ha dimostrato che la lotta alle pratiche commerciali sleali è la priorità del presidente” ha affermato Jay Carney, responsabile dei rapporti con la stampa della Casa Bianca.
“Laddove la Cina userà misure discriminatorie contro i fornitori stranieri, noi lo capiremo, svolgeremo i nostri compiti, raccoglieremo le prove, le porteremo di fronte al Wto e vinceremo” ha dichiarato in una conference call con i giornalisti Tim Reif, consigliere generale dell’Ufficio di rappresentanza del commercio statunitense.
Sulla guerra alla concorrenza sleale cinese Barack Obama sta impostando parte della sua campagna elettorale in vista del voto del prossimo ottobre.
Solo una settimana fa il governo americano aveva lanciato una nuova offensiva contro Pechino, accusandola di aver imposto tariffe sleali sull’esportazione di automobili statunitensi per oltre 3 miliardi di dollari.
Un’accusa che il Dragone ha respinto anticipando che “la Cina gestirà in maniera adeguata il ricorso degli Usa al Wto” e preannunciando un nuovo lungo braccio di ferro.
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