Buon 25 aprile da tutta China-Files. Dal 1 maggio, inoltre, proporremo uno studio sulla diffusione del pensiero gramsciano in Cina, in sei parti.
La traduzione, ha scritto Antonio Gramsci, non è un semplice processo, diretto e orizzontale, di passaggio da un vocabolario a un altro. Ogni lingua, anche nel suo vocabolario, è legata a fattori strutturali della società che esprime. Tradurre è quindi tradurre negli schemi del nostro mondo i concetti che appartengono a un’ altra realtà.
La diffusione del pensiero di Gramsci in Cina è iniziata proprio con un processo di traduzione che presuppone un’accurata scelta dei termini. Il concetto gramsciano di egemonia è un buon esempio in questa direzione. Letteralmente è reso in cinese con baquan. Il termine ha una lunga tradizione nella storia cinese che va indietro sino al periodo delle Primavere e degli Autunni (770-454 a.C.). In un’epoca di indebolimento del potere della dinastia Zhou, i casati legati al re si contendevano il potere nella regione del bacino del Fiume Giallo.
Alla destabilizzazione interna si sommava la spinta esterna delle popolazioni “barbare” dei Rong e dei Di. In questa difficile situazione nel 681 a.C. il duca di Huan, signore dello stato di Qi, convocò una conferenza dei vari principati con l’obiettivo di trovare una strategia di difesa comune contro la minaccia esterna. Grazie alla sua forza militare, il principato di Qi assunse le funzioni di garante dell’ordine, e il duca di Huan venne nominato ba, egemone. Alla morte del duca la carica divenne motivo di scontro tra i vari principati. Se il primo egemone poté contare sia sulla forza militare che sul proprio carisma, alla sua morte il fattore militare divenne fondamentale. Il titolo di egemone andò di volta in volta al principato più forte sino al totale abbandono della carica. Pertanto nella cultura tradizionale cinese, il concetto di egemonia, intesa come baquan, indica una forma di dominio imposto con la forza.
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, il termine -e il suo derivato egemonismo, baquanzhuyi– indicarono invece la politica imperialista degli Stati Uniti e, in seguito alla rottura con Mosca, il “social-imperialismo”, dell’Unione sovietica. Nella cultura della Cina comunista la parola aveva quindi accezione negativa e non poteva essere collegato a parole quali proletariato o partito comunista. La scelta del traduttore è caduta sul termine lingdaoquan, guida. Rispecchia così il significato del concetto gramsciano di egemonia, inteso più come direzione che come dominio. L’egemonia è il consenso spontaneo, attivo e consapevole che nasce e si sviluppa all’interno della società civile.
L’egemonia gramsciana è un termine neutro legato alla scienza politica, non un termine negativo della terminologia geopolitica, così come appare nel suo significato cinese. Come rileva il professor Tian Shigang, attualmente il maggior studioso di Gramsci in Cina, la scelta di lingdaoquan appare la più appropriata per non tradire lo spirito gramsciano del termine. Una corretta traduzione serve a evitare alcune forzature interpretative. L’interesse per il pensiero politico di Gramsci nasce dalla ricerca di una nuova forma di ideologia che possa unire il socialismo tuttora incarnato nel nome del Partito comunista, con le trasformazioni in atto nella società. Il Pcc ha ormai avviato la sua trasformazione da partito rivoluzionario a partito di governo. In questo processo deve riuscire a farsi guida del popolo cinese e legittimare la sua capacità dirigente.
Occorre quindi rafforzare la base del consenso. In questa direzione va l’elaborazione del pensiero delle “tre rappresentatività” di Jiang Zemin con lo scopo di includere nell’area di controllo del partito, gli strati considerati più dinamici nella società cinese contemporanea: l’imprenditoria, il mondo della scienza e quello della cultura avanzata. Manca però in Cina una società civile assimilabile a quella occidentale, campo d’azione dell’egemonia culturale così come intesa da Gramsci. Il potere del Partito, che in Cina corrisponde al potere dello Stato, si intreccia con l’influenza e il potere delle nuove élite economiche. Si è ormai consolidata un’alleanza sociale tra i dirigenti politici e le nuove professioni di gestione economica e dell’impresa privata.
Non soltanto l’élite economica del paese, il Partito è riuscito a cooptare anche le élite intellettuali, reclutando e piazzando in posti di comando un numero elevato di studenti universitari, professori e scienziati sociali, trasformando l’intellighenzia da avversario in alleato. Le élite intellettuali ed economiche hanno dato vita a un ceto sociale privilegiato che contribuisce in modo decisivo alla regolamentazione e alla gestione sociale di un paese in rapido sviluppo, permettendo al Partito di preservare il proprio ruolo politico. Quello di un’organizzazione che controlla e incentiva, dall’alto verso il basso, la vita sociale della Repubblica popolare.
Questo articolo è una riadattamento della relazione “Gramsci in Cina, la Cina in Gramsci: l’importanza del linguaggio”, fatta durante la terza sessione del convegno internazionale di Cagliari “Gramsci in Asia e in Africa” del 12 e 13 febbraio.