Go East – La diplomazia del topo

In Go East, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Finora l’anno del topo non è stato tra i più fortunati. E pensare che doveva essere anche l’anno della cultura e del turismo Italia Cina. Doveva, appunto, prima che il coronavirus (emergenza che sta dando almeno tre lezioni all’Italia) e tutto quanto accaduto dall’inizio dell’epidemia (tra cui l’invio di segnali discordanti a Pechino da parte del governo Conte bis) lo abbiano fatto dimenticare. Eppure, l’immagine del topo è tornata, anche se questa volta non c’entra lo zodiaco cinese. C’entra semmai Luca Zaia. Il governatore del Veneto, durante una diretta su Antenna 3-Nord Est, si è lanciato in una disamina sulla presunta superiorità igienica degli italiani rispetto ai cinesi: “Tutti abbiamo visto i cinesi mangiare topi vivi”, ha dichiarato. La risposta dell’Ambasciata Cinese in Italia è stata misurata: “In un momento cruciale come questo, in cui Cina e Italia si trovano fianco a fianco ad affrontare l’epidemia, un politico italiano non ha risparmiato calunnie sul popolo cinese. Si tratta di offese gratuite  che ci lasciano basiti”, ha dichiarato il portavoce in una nota che non cita nemmeno Zaia per nome. “Ci consola il fatto che moltissimi amici italiani non sono d’accordo con tali affermazioni e, anzi, le criticano fermamente”, prosegue la nota. Il governatore leghista si è scusato due volte. Prima in un’intervista al Corriere della Sera, nella quale ha sostenuto di essere stato frainteso. Poi in una lettera recapitata all’ambasciatore Li Junhua, resa pubblica su Twitter da Michele Boldrin. Zaia è stato criticato dai partiti di governo. In particolare dal Movimento Cinque Stelle. Vito Crimi lo ha accusato di “razzismo ripugnante” e domanda “quanti miliardi costerà” la sua battuta. Davide Crippa si è scusato “a none del popolo italiano” e Danilo Toninelli ha parlato di “stupido autogol”. Ma si è lamentato anche il Pd, compreso il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che ha rimproverato anche il collega lombardo, Attilio Fontana, che in un video ha annunciato di essersi messo in auto isolamento per la positività di una sua collaboratrice e ha indossato, o meglio ha provato a indossare, una mascherina (secondo Formiche si è trattato di un autogol). Ma c’è anche chi Zaia lo ha difeso. E’ il caso di Francesco Giro. “Il presidente ha sbagliato e si è scusato. Ma la Cina e in particolare il suo ambasciatore in Italia dovrebbero ammettere la grave responsabilità del ritardo con cui hanno lanciato l’allarme dei rischi di una possibile epidemia-pandemia”, ha dichiarato l’esponente di Forza Italia. 

SINOFOBIE

Sarebbe comunque troppo semplice prendersela solo con Zaia, autore come è evidente di un’uscita a dir poco infelice. Ma, come sottolinea Simone Pieranni su Twitter, “in tanti hanno ironizzato per giorni e pure diffuso video fake su questa presunta abitudine cinese a sfondarsi di pipistrelli. Per dire che l’ignoranza di Zaia a proposito dei ‘topi vivi’ nasce da razzismo profondo e da un pregiudizio molto popolare contro i cinesi”. Pregiudizio che continua a portare a episodi di discriminazione, se non proprio di violenza, come è accaduto a Vicenza. Francesco Facchinetti ha raccontato di essere intervenuto per difendere un anziano cinese. A Montesilvano è stata rotta la vetrina di un sarto cinese. A Genova era montato un caso intorno a una studentessa arrivata dalla Cina. Alla fine si è scoperto che non arrivava dall’Hubei, la provincia di Wuhan, ma dall’Hebei, la provincia che sostanzialmente “circonda” la municipalità di Pechino, dove la concentrazione di casi è minore rispetto a quella della Liguria. E’ ormai una corsa alla discriminazione, in tutte le direzioni. Gli italiani che discriminano i cinesi, i taiwanesi che specificano di non essere cinesi, gli europei che hanno paura degli italiani (compresi i politici), gli italiani del sud che temono quelli del nord (o non li vogliono proprio, come a Ischia). Una situazione sulla quale il rapper di origini asiatiche Taiyo Yamanouchi (mamma italiana, papà giapponese) ha deciso di ironizzare, lanciato il freestyle rap “Sono cinese e ti tossisco in faccia”.

Nonostante tutto prosegue, timidamente, la diplomazia. Il Consigliere di Stato e Ministro degli Esteri Wang Yi ha parlato al telefono con il Ministro Luigi Di Maio. L’Ambasciata di Pechino a Roma ha modificato la copertina della sua pagina Facebook con un’immagine nella quale campeggia la scritta “forza Cina e Italia”, postando poi dei messaggi di incoraggiamento agli italiani di netizen cinesi su Weibo. E su Twitter ha scritto che la sfida Covid-19, Cina e Italia “unite da un’amicizia millenaria, possono vincerla insieme”. Altro episodio positivo nel rapporto con Pechino, la guarigione della coppia cinese dello Spallanzani, ospedale a cui l’Ambasciata cinese ha donato delle mascherine. La stessa cosa ha fatto la comunità cinese in Piemonte. Nella Chinatown milanese i negozi sono rimasti chiusi per solidarietà. Liu Pai, giornalista del China Media Group, ha esortato gli italiani a non disperare. Lo Spallanzani ha elogiato la comunità cinese di Prato, anche se la Lega continua ad attaccarla. Su Cina in Italia è apparso un contributo dello scrittore Zhang Changxiao sul suo rapporto con Milano.

I “NUOVI CINESI”

Ora, però, sono gli italiani che iniziano a essere bloccati negli spostamenti. Anche perché un sempre maggior numero di contagi all’estero sono italiani oppure sono cittadini stranieri transitati di recente in Italia. Qui un parziale quadro che si è poi aggiornato nei giorni successivi, arrivando a coinvolgere anche gli Stati Uniti, in Rhode Island, e la Repubblica Dominicana. Così come era successo ai cinesi prima di loro. Da Israele all’Iraq, dagli Stati Uniti alla Giordania, dall’India fino a San Marino (che impone la quarantena a chi arriva dalle regioni più colpite), le misure dei governi e delle compagnie straniere si moltiplicano giorno per giorno. Voli bloccati con turisti rimandati indietro, quarantene obbligatorie, screening: qui un elenco che però si aggiorna di giorno in giorno. A Israele dei turisti italiani sono stati respinti alla frontiera, le Mauritius hanno rimandato indietro un volo Alitalia. Nella lista delle restrizioni compare anche la Cina che, a partire dal 26 febbraio, prevede l’auto quarantena per chi torna da zone a rischio. Nella misura, applicabile dalle singole amministrazioni locali, non viene citata direttamente l’Italia. Ma esistono già casi di italiani messi in quarantena una volta atterrati a Pechino. Il giornalista Gabriele Battaglia ha raccontato il suo caso all’Espresso. Hong Kong ha disposto la quarantena per chi ha visitato Lombardia, Veneto o Emilia Romagna nei 14 giorni precedenti all’ingresso sul territorio dell’ex colonia britannica. Misura applicata per chi arriva da tutta Italia invece da Taiwan. I rapporti dell’Italia con Taipei (che a livello diplomatico non sono ufficiali, visto che Roma segue il principio della “unica Cina”) sono ai minimi termini. Dopo aver incluso Formosa nel blocco dei collegamenti aerei diretti, il governo Conte ha deciso di applicare la quarantena di 14 giorni all’arrivo in Italia non solo a chi arriva dalla Cina, ma anche a chi arriva da Taiwan (che al momento ha 40 casi di contagio). Forse anche per questo il governo di Taipei ha deciso di introdurre, a partire dal 28 febbraio, la quarantena per chi arriva dall’Italia. Anche se il rappresentante della Repubblica di Cina a Roma sostiene che la misura di Taiwan segua principi solo scientifici. Il Kuwait ha persino mandato un aereo a Milano per evacuare i propri connazionali. Come accadeva a Wuhan.

E ora la politica italiana si lamenta, mostrando una doppia morale sul tema dei voli. Da una parte, il governo difende la decisione presa lo scorso 31 gennaio di sospendere i collegamenti aerei diretti con Cina, Hong Kong, Macao e Taiwan (qui Speranza, qui Conte). Dall’altra ritiene le limitazioni nei confronti degli italiani “inaccettabili“. Di Maio ha invece lanciato una campagna per “una corretta informazione all’estero” della situazione legata al virus in Italia. Gli esiti, per ora, non paiono esaltanti. Anche Matteo Salvini, che chiedeva la sospensione di Schengen, se l’è presa: Gli italiani non sono graditi in Iraq, Kuwait, in Arabia Saudita? Dopo quello che abbiamo fatto ed il sangue speso per le popolazioni lontane. Faranno a meno di noi. Ma dovremo avere buona memoria”, ha detto. L’opposizione, Lega in testa, aveva chiesto a gran voce anche il blocco dei porti (oltre che delle stazioni) per evitare l’arrivo dei barconi dall’Africa, potenzialmente pieni di migranti contagiati. Eppure, almeno per il momento, due dei quattro casi confermati di coronavirus nel continente (uno in Algeria e uno in Nigeria) coinvolgono proprio degli italiani. 

MILANO, WUHAN

Questi sono alcuni highlights della prima settimana completa di “virus italiano”. Una settimana di (stra)ordinaria follia, sempre sul sottile crinale tra panico e sottovalutazione, oppure tra peste e raffreddore per dirla alla Roberto Burioni, autore del libro “Virus: la grande sfida –  Dal coronavirus alla peste: come la scienza può salvare l’umanità”. Dal titolo del libro (la cui uscita ha dato vita a qualche polemica) sembrerebbe essere più vicini alla peste che non al raffreddore, anche se secondo Walter Ricciardi (componente italiano del Comitato esecutivo dell’Oms, nominato consigliere del ministero della Salute) dice che l’emergenza va ridimensionata, visto “che il 95 per cento di contagiati guarisce”, prevedendo che “per il vaccino ci vorranno due anni”. Nel giro di dieci giorni, comunque, i numeri sono importanti: oltre 1500 contagi (con la prospettiva di sfondare a breve quota duemila), più di 40 morti e di 80 guariti, con oltre 21 mila tamponi effettuati. Niccolò, intanto, è uscito dalla quarantena ed è tornato a casa. Il 17enne di Grado ha già detto che in futuro tornerà in Cina. Aspettano di tornare in Cina anche una coppia che pensava di sfuggire all’epidemia venendo in Italia e l’ex calciatore Marco Nappi, che ora è allenatore di calcio giovanile a Qinhuangdao. Stefano Boeri ha invece già riaperto l’attività a Shanghai, mentre è stato costretto a chiudere a Milano. A China Files continuano intanto ad arrivare testimonianze di resistenza urbana e agreste ai tempi del coronavirus.

Su giornali, social e tv di tutto il mondo sono circolate le immagini di Milano deserta. Tutto chiuso: scuole, musei, teatri, cinema, stadi, persino i bar dopo le 18. E’ mancata la pasta al supermercato (per l’assalto dei clienti), ma anche il cibo per la mente (come spiega il Manifesto, che ha pubblicato anche una bella intervista allo scrittore cinese Yan Lianke). Dei treni si sono fermati per la psicosi. Innumerevoli manifestazioni ed eventi sono stati cancellati o rinviati, come il Salone del Mobile.  E gli italiani, dopo aver letto i racconti di chi si trovava in quarantena a Wuhan, hanno potuto leggere le versioni tricolori sia da Codogno sia da Vo’ Euganeo. Certo, senza raggiungere i livelli cinesi, si è iniziato a favorire lo smart working anche qui. Poi il sindaco di Milanio, Beppe Sala, ha lanciato l’hashtag #milanononsiferma e almeno i bar sono stati riaperti. Di sicuro si è fermata la Serie A di calcio, con il rinvio della sfida scudetto Juventus-Inter che ha scatenato molte polemiche. Persino i sindaci della zona rossa, che si sono lamentati di essere stati “abbandonati del governo”, hanno chiesto di “rilanciare le attività”.

Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, non ha escluso che si possano costruire nuove strutture ospedaliere come a Wuhan. L’esempio di Wuhan è stato citato da Michele Geraci in un’intervista alla CGTN. “Quello che ho cercato di fare è stato vedere cosa ha fatto la Cina a Wuhan e ci sono molte cose che dobbiamo imparare. Sto spingendo affinché i due governi si parlano”, ha dichiarato l’ex sottosegretario leghista al Mise, che in un articolo sul suo sito si è detto sicuro che la Cina “supererà la crisi alla grande”. A proposito di italiani sui media cinesi, Fabio Massimo Parenti (i cui scritti vengono spesso pubblicati sul Blog di Beppe Grillo) ha scritto sul Global Times che l’Italia “ha imparato poco” dal metodo di controllo dell’epidemia attuato dalla Cina.

TRA EMERGENZA SANITARIA ED EMERGENZA ECONOMICA

Torniamo ai tamponi. Giuseppe Ippolito dello Spallanzani ha dichiarato che fuori dall’Italia ci sono meno contagi perché “il metodo è diverso”, perché lì i tamponi vengono fatti solo a chi presenta dei sintomi. Poi però anche l’Italia si è adeguata. Ed è cambiato anche il metodo di comunicazione dei casi di contagio, in una maniera che ricorda quanto accaduto in Cina nelle settimane precedenti (e su cui si era molto polemizzato). Una decisione che ha aperto un nuovo conflitto tra scienziati. Nel frattempo, un team del Sacco di Milano (composto da ricercatrici precarie, ça va sans dire), ha isolato il ceppo italiano del virus. Maria Rita Gismondo, a capo del laboratorio di virologia, ha spiegato che tra dicembre e gennaio ci sono state più “polmoniti anomale”, con l’Iss che ha dichiarato che l’infezione “circolava già a metà gennaio”.  Vincenzo D’Anna, presidente ordine dei biologi italiani e già verdiniano doc, si è avventurato in un’ipotesi: si tratterebbe di un virus del tutto diverso da quello nato a Wuhan, una sorta di “virus padano esistente negli animali allevati nelle terre ultra concimate con fanghi industriali”.

La sensazione è che il focus della politica e degli amministratori locali sia comunque rapidamente passato dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica. Secondo l’Ufficio studi della Cgia, l’Italia è “a rischio paralisi“. Da giorni si è alzato un coro di richieste (e di proteste) da più parti. Confindustria dice che l’Italia si è autoisolata dal mondo e ha bisogno urgente di un piano di rilancio. Il presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, prevede recessione e chiede un piano di aiuti per “tutte le imprese”. Messaggi di allarme arrivano anche dai porti di Mestre e Trieste, ma riguardano tutta la logistica italiana, per il crollo di container in arrivo dalla Cina. Come direbbe Totò, “la Via della Seta c’è, ma non si vede”. Per non parlare, ovviamente, del turismo.

Secondo Renzo Rosso, che ha 700 dipendenti in Cina, le misure dell’Italia sono “troppo dure”. Gianfranco Zoppas ha chiesto a Conte e Zaia di “fermarsi”. L’imprenditore Giordano Riello ha dichiarato che “se si blocca la Cina in questo momento si ferma l’economia mondiale”. Secondo la Fondazione Italia-Cina e la Camera di Commercio Italo-Cinese, Pechino tornerà a crescere già dal terzo trimestre del 2020. Alberto Forchielli ha invece dichiarato, in un’intervista ad Avvenire, che “con il coronavirus Pechino sta dicendo addio alla sua leadership mondiale nell’economia, la Chinanomics non sarà più il perno della globalizzazione”. Ma quanto è importante la Cina per i ricavi delle aziende italiane? Il Sole 24 Ore, tramite il database GeoRev di factSet, spiega che solo undici società italiane, a inizio febbraio, erano esposte per più del 10% verso Pechino, mentre altre 22 lo erano per più del 5%. Il governo, intanto, si interroga su che cosa fare. Palazzo Chigi ha ingaggiato due consiglieri per contrastare gli effetti economici del coronavirus, tra cui Mariana Mazzucato. Su Il Foglio, Luciano Capone sostiene che il piano operativo dell’economista docente alla Sussex University sia quello di far comprare ex aziende di Stato dalla Cina, tra cui l’ex Ilva e Alitalia.

QUALCOSA SI MUOVE ALLA FARNESINA

Ovviamente, l’emergenza sanitaria è stata occasione di innumerevoli polemiche interne, che non sono mancate nonostante tra Matteo Renzi e Conte sia scattata la tregua. Salvini è andato da Mattarella e ha palesato l’idea di un governissimo con un premier diverso. Il premier ha litigato con le regioni, in particolare Lombardia (a più riprese) e Marche. A Milano si è litigato in consiglio comunale su area B e area C. Nel calcio si è riproposta l’eterna polemica tra Juventus e Inter, pur se indirettamente. Senza contare le discussioni tra virologi su portata e letalità dell’epidemia, nonché sull’importanza o meno di rintracciare il mitologico paziente zero. Intanto alla Farnesina, dove Di Maio ha annunciato l’arrivo di 350 milioni in supporto al Made in Italy, si muove qualcosa. Il sottosegretario di Italia Viva, Ivan Scalfarotto, ha preannunciato le sue dimissioni al termine dell’emergenza coronavirus. Che cosa è successo? La suddivisione delle deleghe non è piaciuta all’esponente renziano. Di Maio si è tenuto la supervisione su Ice, Sace, Simest e Invitalia, con l’altro M5s Manlio Di Stefano a cui sono state assegnare le deleghe su imprese e promozione degli scambi.

A Scalfarotto, che al contrario dei due pentastellati ha un approccio più scettico sulla Cina, sono finiti i dazi. A proposito della sua idea in merito a Pechino e alla Belt and Road, è illuminante un botta e risposta su Twitter tra lo stesso Scalfarotto e Claudio Borghi della Lega, con inserimento di Geraci. Una discussione nella quale Scalfarotto definisce “scellerato” il memorandum of understanding firmato dal governo gialloverde con Pechino. Difficile restare con un ruolo di primo piano nella Farnesina di Di Maio con questa linea.

Nel frattempo, sono arrivate aperture alla Cina (più precisamente nei confronti di Huawei) da parte dei servizi segreti italiano. Gennaro Vecchione, capo del Dis, ha detto in un’intervista a Il Sole 24 Ore che “il concetto di sicurezza nazionale non va dilatato all’estremo: vale per gli asset strategici, negli altri casi non si interferisce nelle dinamiche della concorrenza”.

NELLA TESTA DEL DRAGONE

Si diceva prima dell’assenza di cibo per la mente. Ecco, ce ne sarà invece in abbondanza nel libro “Nella testa del Dragone” di Giada Messetti, sinologa e autrice con Simone Pieranni del podcast sulla Cina “Risciò”. Del volume, che esce con Mondadori martedì 3 marzo, ne ha parlato Giulia Pompili su Il Foglio, in un pezzo dove si spiega che, con ogni probabilità, il “sogno cinese” di Xi Jinping resisterà al coronavirus. “Nella testa del Dragone” è una fotografia della Cina di oggi: quello che rappresenta, quello che vuole, la sua direzione futura. Una fotografia nella quale trovano spazio anche racconti autobiografici dell’autrice, che ha vissuto a lungo in Cina.

NON SOLO VIRUS, NON SOLO CINA

Il coronavirus sta rallentando i rapporti diplomatici dell’Italia su più fronti, compresi diversi paesi asiatici. Uno dei casi più rilevanti è quello del Vietnam. Proprio alla fine di febbraio, sarebbe dovuta arrivare ad Hanoi una delegazione italiana di alto livello per promuovere l’interscambio commerciale. E invece dal 2 marzo il governo vietnamita ha deciso di sospendere l’esenzione del visto per i cittadini italiani, imponendo una quarantena di 14 giorni all’arrivo nel paese. Si spera molto nell’India (anche qui chi arriva dall’Italia potrebbe essere sottoposto a quarantena). Di Maio ha promesso che il 2020 sarà l’anno del rilancio dei rapporti economici con l’India: presto dovrebbe guidare una missione di sistema a Delhi. Nonostante siano rispettivamente il secondo e il terzo paese con più casi di coronavirus al mondo, non risultano restrizioni dei viaggi tra Corea del Sud e Italia. E l’Istituto Culturale Coreano in Italia sta promuovendo un concorso internazionale per diventare “honorary reporters” per promuovere nel mondo l’immagine di Seul.

Di Lorenzo Lamperti*

**Giornalista responsabile della sezione “Esteri” del quotidiano online Affaritaliani.it. Si occupa di politica internazionale, con particolare attenzione per le dinamiche geopolitiche di Cina e Asia orientale, anche in relazione all’Italia