Giappone – Rio 2016, la prima guerra del ping pong

In by Gabriele Battaglia

Politica e sport, diplomazia e sgambetti. Negli ultimi mesi la guerra psicologica tra Cina e Giappone ha investito tutti gli ambiti del rapporto tra i due grandi paesi asiatici. Nella competizione per gli appalti di fornitura per Rio 2016, Cina e Giappone si sono di nuovo scontrate. Per il ping pong. Da qualche mese a questa parte, Pechino e Tokyo sono impegnate in una guerra – più di nervi che fisica – scatenata dalla contesa sulle isole Senkaku/Diaoyu, formalmente sotto amministrazione giapponese, ma rivendicate da Cina, Giappone e Taiwan. Ora la contesa tra le prime due economie asiatiche si è estesa allo sport. E che sport: Il tennis da tavolo, da più di 50 anni sport nazionale della Repubblica popolare cinese.

Alle prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, infatti, il ping pong sarà protagonista di un cambiamento che si potrebbe definire epocale: parte delle attrezzature – i tavoli – saranno fornite da un’azienda giapponese, la San-ei. Un cruccio per i cinesi, che vedono in questo sport, olimpico dal 1988, un vero e proprio feudo sportivo. Tanto che qualcuno già si sta chiedendo se i giapponesi, che in Cina dalla fine della seconda guerra mondiale non sono stati mai visti di buon occhio, giocheranno pulito.

La San-ei, fondata nel 1962 a Chiba poco a nord della capitale Tokyo, si è aggiudicata l’appalto di fornitura dei tavoli da gioco grazie a un’offerta estremamente competitiva e al design innovativo dei suoi prodotti. "È stata l’asta più competitiva da quando sono presidente della Fitt", ha dichiarato Adaham Sharara, presidente della Federazione internazionale tennis da tavolo (Fitt), che si è complimentato con l’azienda . "Diventare fornitori per le Olimpiadi ha acquisito un valore sempre maggiore, dato che la competizione tra fabbricanti è alta per ottenere questo diritto di prestigio".

La notizia non arriva però del tutto inattesa: la San-ei, che si definisce un’azienda interamente votata alla felicità del cliente, o "happyholic", come si legge sul sito, aveva già fornito le attrezzature per i mondiali del 2009 di tennis da tavolo ospitati proprio in Giappone, a Yokohama. E nei quartieri generali dell’azienda già si fanno piani di espansione del post-Rio. "Siamo sicuri che i nostri fantastici tavoli saranno perfetti non solo per le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2016", ha dichiarato Miura Shin, presidente di San-ei. "Ma anche per una rapida crescita della famiglia del tennis da tavolo brasiliana, uno dei Paesi dove il ping pong cresce più velocemente".

È il segno che chiaro che, mentre dal punto di vista diplomatico la situazione è in stallo, la contesa Cina-Giappone si è spostata ad ambiti più informali, quale è lo sport. Ma, si sa, sport e politica da sempre vanno di pari passo.

"I giapponesi potrebbero aver messo a segno un punto sui rivali di sempre nel più improbabile dei posti, il tennis da tavolo, lo sport più guardato in Cina", scrive Mark Dreyer sul suo blog The Li-Ning Tower. Nel 2012, specifica il giornalista sportivo, oltre 1800 ore di ping pong sono state trasmesse sui canali televisivi cinesi, con circa 34 milioni di share per la finale del singolo maschile delle Olimpiadi di Londra.

Per la Cina il tennis da tavolo non è solo uno sport, ma un simbolo dell’orgoglio nazionale alimentato grazie alle imprese sui tavoli da gioco degli otto top player mondiali, nelle specialità maschili e femminili, tutti rigorosamente di Oltre muraglia. In 25 anni, da quando cioè il ping pong è specialità olimpica, la Cina ha vinto 24 delle 28 medaglie d’oro totali, collezionando inoltre 15 argenti e 8 bronzi contro un solo argento ottenuto dai giapponesi. Da questi numeri si capisce perché alla notizia del trionfo di San-ei, gli appassionati del ping pang qiu dell’ex Impero celeste abbiano storto il naso.

Come ricordava tempo fa l’Atlantic, la diffusione del ping pong in Cina è andata a braccetto con la storia patria. Dapprima introdotto come sport d’élite riservato alle cerchie di intellettuali e aristocratici, fu portato fuori dai recessi dei palazzi nobiliari e reso popolare pochi anni prima della seconda guerra mondiale. Fu poi con l’ascesa di Mao che il ping pong venne elevato a sport nazionale: nei primi anni ’50 la Fitt riconobbe ufficialmente il governo di Pechino e di lì in avanti il regime si impegnò a investire notevoli risorse nella preparazione di atleti competitivi a livello mondiale.

Il primo vincitore cinese in assoluto di una competizione sportiva internazionale arrivò proprio dal ping pong: Rong Guotan. Morto suicida nel ’68, in piena rivoluzione culturale dopo essere stato accusato di "spionaggio", Rong divenne nel 1959 il primo eroe sportivo della Repubblica popolare cinese, esattamente nel decennale della sua fondazione. Aveva soprattutto messo fine alla superiorità giapponese in quella che la Fitt definisce, in un documento che raccoglie le date fondamentali nella storia del tennis da tavolo, l’epoca del "dominio asiatico". Agli occhi dei cinesi, Rong aveva ribaltato il paradigma e in parte "vendicato" le atrocità giapponesi del tempo di guerra, quando la Cina era caduta vittima dell’espansionismo nipponico.

Dall’11 settembre 2012, giorno in cui il governo giapponese ha annunciato la nazionalizzazione di 5 degli otto isole e isolotti che compongono l’arcipelago delle Senkaku, come le chiamano i giapponesi, o Diaoyu, come invece le rivendicano a Pechino, i giapponesi sono tornati a giocare la parte degli "imperialisti", appropriandosi di un territorio che la propaganda rivendica cinese "per evidenti ragioni storiche". Il caso San-ei richiama alla mente l’affronto di Tokyo e non fa che accentuare il vittimismo cinese. L’apertura di una seconda fase della "diplomazia del ping pong", quella che negli anni ’70 sancì l’apertura dei confini cinesi anche agli atleti Usa e l’ingresso della Cina nello scacchiere globale, questa volta con il Giappone, sembra improbabile.

Ciononostante, concludeva Dreyer, a Rio la partita non sarà del tutto impari. Le palline rimarranno cinesi, fornite dalla storica Hong Shuang Xi ("doppia felicità", in cinese) di Shanghai. Happyholic giapponesi contro "doppia felicità" cinese, dunque. 11 pari, si va ai vantaggi.

[Scritto per Linkiesta.it; foto credits: newindianexpress.com ]

*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.