Ai giovani giapponesi serve un’educazione diversa: più patriottismo e più moralità. Secondo il governo Abe, l’unica strada verso la ripresa da percorrere per il Giappone è quella dell’uscita dal cosiddetto "regime postbellico". Modellando il nuovo sistema educativo sull’orientamento politico del governo. Le Senkaku e Takeshima saranno territorio giapponese: fine delle contese. Almeno sui libri di scuola.
L’annuncio è arrivato martedì 28 gennaio, durante una conferenza stampa del ministro dell’educazione Hakubun Shimomura. I nuovi manuali che verranno utilizzati in tutto l’arcipelago del Sol Levante a partire dal 2018 saranno così più adeguati ad insegnare in maniera “giusta” la storia ai giovani giapponesi.
Contesi o meno, il piccolo arcipelago all’estremo sud, che in Cina chiamano Diaoyu e su cui Pechino rivendica sovranità, e l’isola rocciosa – Dokdo in Corea del Sud – nel braccio di mare che separa il Giappone dalla penisola coreana, oggetto del contendere con Seul, saranno trattati come già era stato per i “territori del Nord”, le isole Kurili contese dal 1945 con la Russia: wagakuni no ryodo, parte integrante del territorio del Sol Levante.
Le nuove linee-guida sui libri di testo interesseranno milioni di giovani tra i dodici e i diciotto anni e il loro modo di studiare la storia e la geografia del loro paese. Come ha spiegato Shimomura, “E’ di fondamentale importanza fare in modo che i bambini che un giorno prenderanno in mano il futuro del nostro paese capiscano in modo corretto la questione dei territori del proprio paese”.
I libri testo finora adottati nelle scuole giapponesi, spiega la Nhk, la tv nazionale giapponese, infatti spiegano soltanto che su Dokdo/Takeshima le posizioni di Giappone e Corea del Sud sono divergenti, mentre non contengono alcun riferimento alle Senkaku/Diaoyu. Ora che le due questioni sono tornate prepotentemente a galla, “è naturale che lo Stato si faccia carico del compito di dare ai bambini un insegnamento corretto”.
Nei nuovi libri, si legge ancora nelle nuove linee-guida del ministero, ci saranno espliciti riferimenti all’occupazione “illegale” di Takeshima/Dokdo da parte della Corea del Sud e all‘assoluta “legittimità” dell’annessione – dal punto di vista del diritto internazionale e dal punto di visa storico – delle Senkaku/Diaoyu, su cui quindi non esisterebbe “alcuna contesa”.
L’annuncio di oggi non è un fulmine a ciel sereno. Da mesi il governo di Tokyo, guidato dal nazionalista Shinzo Abe, insiste sulla necessità di una riforma radicale dell’istruzione. Per questo ancora a dicembre 2012, quando stravinse alle elezioni, scelse proprio Shimomura, uno dei suoi principali sostenitori e collaboratori nella definizione del programma elettorale del Partito liberal-democratico, come uomo della “ripresa educativa” del Giappone.
E non è un caso che sempre lui sia stato nominato a capo del comitato di supervisione dei Giochi olimpici e paralimpici di Tokyo 2020, per cui è prevista una nuova “mobilitazione generale”.
Nel suo tentativo di “reimpossessarsi” del Giappone dopo un primo tentativo a capo del governo tra il 2006 e il 2007, Abe vede infatti la ripresa economica, e l’uscita da due decenni “perduti” su quel fronte, strettamente legata all’uscita da quello che alcuni teorici più conservatori e nazionalisti descrivono come il “regime del dopoguerra” in cui il Giappone sarebbe costretto da quasi settant’anni.
Un regime non soltanto militare e poi giuridico-istituzionale. Ma anche e soprattutto psicologico. Secondo lo stesso Shimomura, uno dei problemi più gravi dell’istruzione in Giappone è l’eccesso di “autocritica” degli studenti giapponesi.
In questo senso si spiega la battaglia per la revisione dei libri di testo: la scuola giapponese ha bisogno di un’educazione che punti a rivalutare la millenaria cultura giapponese, la sua unicità nel mondo. Di conseguenza, lo spazio per una riflessione sulle responsabilità storiche del Giappone imperiale in Asia – il massacro di Nanchino o la questione delle comfort women, per citare due esempi – deve essere ridotto a favore di patriottismo ed educazione morale.
Una battaglia, questa, che lo stesso Shinzo Abe porta avanti sin dai suoi esordi in politica. Rampollo di una famiglia di parlamentari, ex ministri e capi di governo (è imparentato per parte di madre con Nobusuke Kishi, già funzionario imperiale in Manciuria negli anni ’20 e ’30, dichiarato criminale di classe A dal Tribunale di Tokyo, poi primo ministro tra gli anni ’50 e ’60), Abe sale agli onori delle cronache nel 1997 quando viene nominato segretario generale di un gruppo parlamentare sull’insegnamento della storia in Giappone.
Quasi dieci anni dopo, al suo primo incarico da capo del governo, riuscì a far passare una revisione alla Legge fondamentale sull’educazione del 1946, integrando il testo originale con richiami allo “spirito di gruppo”, al “rispetto delle tradizioni” e al “patriottismo”.
Qualche tempo dopo, il leader dei liberaldemocratici suscitò proteste nella comunità internazionale per essersi rifiutato di riconoscere la questione delle comfort women, le donne che durante l’impegno bellico in Asia venivano costrette a prostituirsi nei bordelli dell’esercito imperiale. Fu poi costretto a dimettersi in seguito a una serie di scandali che coinvolsero il suo governo, con un tasso di popolarità ai minimi.
Uno dei luoghi dove la popolarità del primo ministro andò a schiantarsi fu però proprio in Giappone. Okinawa, la prefettura più meridionale dell’arcipelago del Sol Levante è dagli anni 70 la spina più grande nel fianco di ogni governo che si insedia a Tokyo.
Non solo per la presenza ingombrante dell’esercito americano con le sue basi su gran parte del territorio della prefettura. Ma anche per questioni di memoria storica. Qui nel 1945, pochi giorni prima della resa, ebbe luogo una lunga e sanguinosa battaglia tra forze imperiali e alleati. Oltre a 140mila militari, si stima siano morti tra i 100 e i 150mila civili, molti di questi costretti al suicidio dagli stessi soldati giapponesi.
Proprio da Okinawa, a ottobre dell’anno scorso, il tema della revisione dei testi scolastici è tornato di attualità. In quei giorni, la piccola cittadina di Taketomi (poco più di trecento abitanti) è diventata l’emblema di quelle che i politici nazionalisti bollano come “tendenze troppo di sinistra” dell’educazione in Giappone.
Il consiglio cittadino si era rifiutato di adottare un libro di testo apertamente revisionista dell’editrice Ikuhosha, vicina al premier Abe, e di usarne invece uno più obiettivo edito da Tokyo Shoseki. Il primo scagionava i militari giapponesi da qualsiasi responsabilità nella battaglia di Okinawa, ma era già stato scelto nel 2011 dal Consiglio sull’educazione della municipalità di cui la cittadina fa parte; il secondo invece dava conto delle atrocità commesse dai soldati imperiali sui locali.
[Fonte: nytimes.com, A Shifting View of Japanese History]
Secondo il diritto giapponese però una decisione in tema educativo presa a livello municipale deve essere recepita anche a livello della singola città o villaggio: vista la resistenza dell’amministrazione locale, è intervenuto lo stesso governo di Tokyo, che ha prima intimato a Taketomi di adeguarsi e poi rifiutato di fornire gratuitamente il libro della Tokyo Shoseki. Ma nella cittadina non si sono arresi e, dopo aver raccolto donazioni sufficienti, hanno acquistato i testi per i 32 scolari dell’isola.
La Storia qui ha il suo peso specifico: durante la battaglia di Okinawa l’esercito giapponese costrinse centinaia di cittadini a rifugiarsi nella foresta, dove molti contrassero la malaria. Alcuni testimoni di quei giorni sono ancora in vita. Ma quando questi non ci saranno più, uno dei modi per preservarne la memoria sarà sui manuali di scuola.
[Scritto per Lettera43; foto credits: tokyoweekender.com]