Alle origini del manga. Ogni epoca ha il suo «specchio»

In by Gabriele Battaglia

Dietro i manga c’è una storia millenaria che lega tra loro forme d’arte e intrattenimento come gli emaki, i tradizionali dipinti su rotolo, i disegni satirici e gli spettacoli illustrati. Ma anche personaggi celebri: dal grande Hokusai, autore di alcune delle più conosciute stampe giapponesi, a uno dei padri del manga contemporaneo, Shigeru Mizuki, scomparso lo scorso 30 novembre 2015. La prima parte di un articolo pubblicato dal mensile Gekkan Kyoto, tradotto da Marco Zappa.Risalendo indietro nel tempo fino alle origini del manga le Caricature di personaggi della fauna selvatica (Chōjū jinbutsu giga) sono una tappa obbligata. Si tratta di un tesoro nazionale la cui composizione risale alla seconda metà dell’epoca Heian (794-1185).

“Quando pensiamo ai manga dal nostro punto di vista contemporaneo spiega Jun Kan, studioso di manga – ci vengono in mente opere dal carattere comico, di satira sociale o narrativo. Non c’è dubbio che le Caricature, con i loro disegni divertenti e il suo tono parodico ottenuto attraverso la personificazione di rane e altri piccoli animali, rivesta un ruolo fondamentale nella storia del manga”.

La sua influenza si estende alle generazioni successive: in epoca Edo (1603 – 1867) diventò assai popolare il genere dei toba-e: il nome deriva dal monaco Toba Sōjō che si diceva essere l’autore delle Caricature.

I toba-e erano disegni che rappresentavano personaggi dai caratteri fisici esagerati (braccia e gambe sproporzionate, occhi molto allungati, bocche esageratamente larghe) in pose dinamiche. Il termine arrivò a comprendere anche le stampe satiriche di Georges Ferdinand Bigot che arrivarono in Giappone nel periodo Meiji (1868 – 1912).

Questa stessa parola venne utilizzata allo stesso modo dell’odierno "manga" fino al periodo Taishō (1912 – 1926).

Una delle metodologie di ricerca nel campo dei manga è indagare il legame storico tra una parola, uno stile di illustrazione e il suo periodo storico”, spiega Kan. Insieme alle Caricature meritano qui attenzione gli oko-e. Secondo alcuni, questa parola è all’origine dell’aggettivo aho, “stupido”, “idiota”.

“Ad esempio, negli spettacoli di rakugo [monologhi comici, ndt] veniva dato dell’oko ai ‘folli’, come ad esempio al personaggio di Yotarō. Le storie in cui comparivano questo tipo di personaggi erano chiamate appunto oko banashi, ‘storie comiche‘”.

La storia della parola oko è antica. La si ritrova anche nel Konjaku monogatari [‘I racconti di oggi e di ieri’, una raccolta di storie di folclore giapponesi, indiane e cinesi, ndt]: “E poi questo bonzo di grande valore morale disegnava un immagine comica (…) con un unico tratto di pennello”. Ciò che il bonzo Gishō, considerato il maestro del genere comico, aveva disegnato in un attimo era una freccia che attraversava un lungo rotolo alle cui estremità c’erano da una parte un uomo e dall’altra un bersaglio.

Nella sua stranezza, quell’illustrazione narrava una storia. Di certo, i suoi spettatori di epoca Heian dovevano trovarla davvero bizzarra.

Kan spiega che ci sono degli elementi comici anche nei rotoli de La leggenda del monte Shigi (Shigisan-engi emaki) e La Storia del Gran Ministro Ban (Ban Dainagon Ekotoba), altri due tesori nazionali la cui datazione è pressoché la stessa delle Caricature.

“Nella Storia del Gran Ministro Ban, c’è un ad esempio un episodio buffo in cui un adulto si intromette in una lotta tra bambini e tira un calcio a uno di questi. Nella Leggenda del monte Shigi, invece, si vedono molti monaci riuniti al tempio prima di salire al monte: una scena che è impossibile da realizzare in modo così fedele se si è passato troppo tempo in solitudine. A mio parere è molto interessante cercare di capire se esistessero degli oko-e prima che questi capolavori, e con loro le Caricature, fossero dipinti”.

Ci sono somiglianze tra le scene rappresentate nel Ciclo annuale delle celebrazioni (Nenjū gyōji emaki), dedicate a una processione verso il santuario di Kamo a Kyoto, e le sfide a cavallo tra scimmie e conigli, conigli e rane che giocano a go, rane lottatrici di sumo delle Caricature.

Sono scene che ricordano quelle dei volumi del Chōjū jinbutsu giga; in entrambi i casi si tratta di un Goryōe, una celebrazione per placare gli spiriti inquieti dei morti. Se si mettono a confronto le scene del sermone del monaco scimmia e quella dell’iniziazione dei monaci, si riesce forse a vedere un intento satirico nei confronti delle cerimonie e delle festività dell’epoca”.

In periodo Edo si assistè a un boom della cultura popolare. L’arte delle immagini satiriche fiorì grazie al suo successo tra la gente comune. “Un esempio sono le stampe dei demoni ragno (tsuchigumo yōkai) di Kuniyoshi Utagawa”, spiega Kan. “Queste erano rappresentazioni sarcastiche che avevano come bersaglio le riforme del daimyō (signore locale) Tadakuni Mizuno. Si dice infatti che i molti demoni irati delle stampe di Utagawa siano la raffigurazione del rancore dei commercianti nei confronti di Tadakuni che ne aveva limitato le attività”.

Anche i namazu-e diventarono molto celebri. “C’è una antica credenza secondo la quale i terremoti sono provocati da pescigatto giganti (namazu) che si agitano. Il fatto divertente è che in alcuni namazu-quando i pescigatto provocano terremoti, da qualche parte spunta del denaro. Il messaggio satirico qui è chiaro: c‘è sempre chi fa ottimi affari dopo un terremoto”.

Queste immagini satiriche dunque erano un modo per rifarsi sugli aristocratici con ironia in un periodo in cui non esisteva il giornalismo e il popolo non poteva manifestare il suo dissenso in maniera diretta. “A noi che viviamo in un periodo in cui esiste la libertà di espressione, tutto ciò sembra una favola, una storia di fantasia. Eppure ci fa capire che il manga, antico o moderno, è sempre espressione del suo tempo”.

[Tradotto per Internazionale; Foto credit: latimes.com]