La fuga in Cambogia è durata solo poche settimane. Venti dei 22 uiguri che hanno chiesto asilo politico al governo di Phnom Penh saranno presto rimpatriati in Cina.
Lo denuncia un documento dell’Associazione degli uiguri in America (Uaa), gruppo in esilio guidato dall’imprenditrice Rebiya Kadeer, l’ex- detenuta politica che Pechino continua ad accusare di essere la mente all’origine dei violenti scontri che, il 5 luglio scorso, hanno insanguinato il capoluogo dello Xinjiang, Urumqi, e provocato la morte di 197 persone, in maggioranza cinesi “han”. Violenze per le quali la lunga mano della giustizia cinese non si è fatta attendere. Le condanne a morte emesse contro i responsabili degli scontri sono già 17 – 16 contro uiguri, una contro un cinese – ma sarebbero ancora centinaia i sospettati rinchiusi in cella, in attesa di conoscere in attesa di giudizio per reati che vanno dall’omicidio, al furto aggravato a dannegiamento. Per questo e per sfuggire ad eventuali «persecuzioni» i ventidue rifugiati hanno cercato asilo politico in Cambogia.
«Erano perseguitati dal governo cinese ed era diventato per loro impossibile condurre una vita normale – afferma Dilxat Raxit, portavoce del Congresso mondiale uiguro (Wuc). A Phnom Penh i ventidue uiguri hanno trovato l’appoggio dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr). Con le Filippine, la Cambogia è l’unico paese del Sudest asiatico ad aver firmato la Convenzione sullo status dei rifugiati politici del 1951, ma per le autorità cambogiane i ventidue sono solo «clandestini» che hanno varcato illegalmente i confini del paese.
Un viaggio avventuroso, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa Associated Press; una vera e propria fuga attuata grazie al supporto di una rete «clandestina» di missionari cristiani normalmente impegnati a sostegno dei rifugiati in fuga dalla Corea del Nord. Una connessione interreligiosa entrata in azione per la prima volta che, probabilmente, potrebbe ripetersi in futuro. «Sono privi di passaporto e permessi – spiega Koy Kuong, portavoce del Ministero degli esteri – non sappiamo dove andranno, ma presumo che la destinazione finale sarà la Cina, il paese da dove vengono». Alle proteste della diaspora uigura, «estremamente preoccupata» per il rimpatrio dei fuggitivi, si aggiungono gli appelli delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani.«Abbiamo inviato un messaggio al governo cambogiano perché desista dalla decisione di rimpatriare gli uiguri» spiega la portavoce dell’ufficio Unhcr, Kitty McKinsey, che offre l’aiuto dell’Alto Commissariato per risolvere la questione. Anche Amnesty International si schiera dalla parte dei rifugiati, perché «vulnerabili» e a rischio di subire di tortura se rimpatriati.
Sulla decisione del governo di Phnom Penh, però, pesa l’imminente visita del vice presidente cinese Xi Jinping in Cambogia, prevista per il 20 dicembre. Pechino ha sempre definito i ventidue uiguri «criminali» e uno sgarbo alla Cina, il maggiore investitore straniero della Cambogia, alla vigilia della firma di ben 14 accordi di cooperazione tra i due paesi, potrebbe costare molto caro.
[Foto di Laia Gordi i Vila]