Clima: a pagare siano i paesi ricchi

In by Simone

Copenaghen è distante dalla Cina, non solo geograficamente. Il cambiamento climatico a Pechino è lo squarcio azzurro dopo giorni di grigio acido, inquinato, il freddo pungente, secco e asciutto, un traffico snervante, sempre di più, e le consuete carrette cariche di carbone che affollano le strette vie degli hutong. In attesa di ridurre le emissioni, ci si ripara dal gelo, con ogni mezzo. Carbone che si alza e si confonde con la polvere dei mille cantieri aperti, con altri gas e tutto quanto è portato dall’industrializzazione cinese. Un processo enorme ma recente: per questo risolvere la delicata questione climatica, è responsabilità dei paesi ricchi.

Che inquinano da secoli, mica da trent’anni: «noi faremo quello che possiamo, ma tocca ai paesi in via di sviluppo impegnarsi più di altri», conclude laconicamente un cinese su un forum di discussione on line.
Copenaghen è distante, ci pensino i politici, la sintesi. D’altronde a impegnarsi ci sono i numeri uno e i futuri potenziali leader. Li Keqiang – che i pochi rumors politici pechinesi danno come avversario diretto e agguerrito di Xi Jinping, per raccogliere l’eredità di Hu Jintao e inaugurare la quinta generazione – è a capo del Consiglio Cinese per la Cooperazione Internazionale su Ambiente e Sviluppo, mentre a Copenaghen è atterrato Wen Jiabao nella missione del risolutore dei problemi, secondo i media cinesi e non solo.

L’arrivo del premier cinese ha infatti cambiato i racconti dalla capitale danese: dal gelo cinese si è passati all’incertezza. E’ pur sempre qualcosa, anche se i preparativi per un vertice delicato si erano già avuti a Pechino.
I cinesi non si interessano alle questioni mondiali, finché in qualche modo non viene intaccato l’amor proprio nazionale. Finora nei blog o nei forum on line non si assiste a commenti vibranti, ma a tante parole di speranza. Tutto concentrato sulla Cina: pochissime righe sugli scontri e le proteste. Tanta retorica, come nelle comunicazioni ufficiali dell’entourage cinese da Copenaghen: «la Cina attribuisce priorità massima alla questione climatica», si legge.

In attesa che l’agenda vada in avanti, come affermato da Wen Jiabao, in Cina si osserva e si tace. Il Global Times ha lanciato l’hot forum sul caso, ma la discussione insegue i temi ufficiali e lancia strali, al massimo, contro i paesi ricchi. E dire che in Cina invece il dibattito tra riviste e personaggi di rilievo si è avuto prima di Copenaghen: a ridosso della visita di Obama era scoppiato un mini scandalo legato ad alcune cifre pubblicate da China Daily e riprese dal Financial Times che aveva scritto come la Cina fosse «in corsa per assumere la leadership verde mondiale».

Sulla questione si interrogano i giovani di Cop15China, sul cui sito si sono registrati molti volontari cinesi giunti a Copenaghen. Dopo aver chiarito quanto la Cina stia facendo sforzi immani per il miglioramento climatico, si chiedono: «la Cina può essere ancora considerata un paese in via di sviluppo?»