L’impresa italiana sinonimo di gomma e di calendari sta per finire nelle mani di ChemChina. La graduale sottrazione a Tronchetti Provera è già una buona notizia di per sé; ma in prospettiva gli scenari per il glorioso marchio sono ancora più interessanti, soprattutto se non si occuperà solo di pneumatici. Per oltre sette miliardi di euro, Pirelli dovrebbe passare in mani cinesi. Si moltiplicano in queste ore le notizie di un accordo in vista tra Camfin, la holding che controlla il 26 per cento del suo pacchetto azionario, e China National Chemical, amichevolmente conosciuta come ChemChina. È uno dei grandi colossi di Stato cinesi, opera in diversi settori chimici che spaziano dalla gomma al petrolio, passando per la chimica agroalimentare.
Non è il caso di piangere sui destini dell’impresa fondata nel 1872 da Giovan Battista Pirelli, un signore che era arrivato a Milano da Varenna, lago di Como, dove era nato ancora cittadino austro-ungarico nel 1848. La Pirelli è quotata a Piazza Affari dal 1922 e se per tutti è sinonimo di calendario (non fate finta di niente), per un milanese doc è legata anche alla creazione di due meraviglie: lo stadio di San Siro (1925-26) voluto da Piero Pirelli – allora presidente del Milan – e il “Pirellone”, il grattacielo simbolo del razionalismo italiano di Gio Ponti, ora desolatamente lasciato a se stesso dopo che gli uffici della Regione sono stati trasferiti altrove.
Fa niente. Non è il caso di piangere e di scomodare l’orgoglio patrio – si diceva – perché la storia recente di Pirelli è legata alla sciagurata gestione del “capitano coraggioso” Tronchetti Provera: un tizio arrivato al comando grazie al matrimonio giusto, che oltre a vendere a Goldman Sachs il settore cavi nel 2005 (era l’altro perno dell’impresa, con gli pneumatici, fin dalla fondazione), è rimasto in piedi grazie a ripetute ricapitalizzazioni a opera di Unicredit e S. Paolo di cui diversi analisti non comprendono la ratio economica. Fu così che, nell’ennesimo tentativo di attirare liquidità, un anno fa metà di Camfin fu ceduta ai russi di Rosneft per 500 milioni di euro. A capo della multinazionale russa c’è Igos Sechin, uomo di Putin.
Ora però, i russi, di soldi, non ne hanno più.
Sul piano degli equilibri internazionali, la cessione di Pirelli può quindi anche essere vista come l’ennesima manovra sull’asse Mosca-Pechino. Rosneft, dicevamo, è fortemente indebitata a causa delle sanzioni internazionali per i fatti ucraini e per il calo dei prezzi del petrolio. L’accordo con ChemChina potrebbe consentire ai russi di monetizzare la propria quota azionaria, che dovrebbe valere oggi circa un miliardo di euro. A questo punto, libertà di interpretazione per ognuno: i cinesi aiutano gli amici russi, oppure approfittano dei guai russi per piazzare il colpo. Una cosa non esclude l’altra.
ChemChina, da parte sua, ha totalizzato 244 miliardi di yuan di fatturato a fine 2013 (36 miliardi di euro), si definisce la prima impresa chimica cinese, nonché la 19esima al mondo, ed è 355esima nella classifica di Fortune. Il gruppo ha 118 controllate, 6 divisioni estere, 4 unità subordinate e 24 istituti di ricerca e progettazione. Non è finora toccata dalla campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping. Anzi, nel febbraio 2012, anticipando di mesi l’insediamento della nuova leadership, l’amministratore delegato Ren Jianxin lanciò una campagna anticorruzione interna consistente nell’addestramento di quadri e dirigenti. Quando si dice annusare l’aria.
Conglomerati cinesi hanno già investito in Fiat Chrysler, Ansaldo, Eni, Enel, Terna e altre, ma finora non hanno mai puntato al controllo diretto di una grande impresa italiana; sono più interessati a singole linee di produzione, quelle che garantiscono maggiore redditività e più innovazione tecnologica da trasferire in Cina. Se, come si dice, ChemChina stesse puntando al controllo totale di Pirelli sul medio periodo, sarebbe evidente il tentativo di creare un colosso mondiale degli pneumatici.
Ma non solo. L’acquisizione di Pirelli da parte dei cinesi potrebbe far rientrare dalla finestra ciò che Tronchetti Provera ha sciaguratamente buttato fuori dalla porta.
Parliamo della tecnologie dei materiali e dei cavi, cioè anche delle infrastrutture e delle reti. Sì, proprio quella parte di Pirelli che il vecchio Giovan Battista nato asburgico aveva amorevolmente affiancato agli pneumatici e che il “capitano coraggioso” ha ceduto a Goldman Sachs nel 2005.
La Cina ha appena lanciato la Banca Asiatica delle Infrastrutture e mira a creare due nuove Vie della Seta, una terrestre, l’altra marittima: cioè, reti di ogni genere che connettono tutta Eurasia.
La buona, vecchia Pirelli potrebbe entrare nel giro giusto.