Dossier: Cinafrica, c’era una volta a Bandung (parte 1)

In by Simone

Un Dossier in 5 parti sulle relazioni Cina- Africa, buona lettura.

Da una parte il più grande consumatore di energia al mondo. Dall’altra, un intero continente ricco di risorse naturali e materie prime che fanno gola a Pechino. Limitare però il rapporto tra i due solo in un’ottica di politica economica è riduttivo e fuorviante. Altri e più complessi sono infatti gli elementi delle relazioni sino-africane.

C’era una volta a Bandung

A guardarla oggi, la lista dei Paesi presenti alla conferenza di Bandung del 1955, ci si può fare un’idea ben precisa della lungimiranza politica cinese: Cina, India e molti altri Paesi in via di sviluppo asiatici ed africani si incontrarono per coalizzarsi nella creazione di un terzo fronte non allineato con le due superpotenze dell’epoca, il blocco sovietico ed il blocco americano.

Era la nascita del Terzo Mondo, senza le accezioni negative affibbiate al termine col passare degli anni: da quel momento numerosi movimenti africani di liberazione nazionale guardarono all’esempio maoista come modello vincente di lotta armata per la fine del colonialismo e l’instaurazione del socialismo. Un evento epocale, cui diedero seguito altri eventi: la visita del premier Zhou Enlai in Africa del 1963 si inquadrava esattamente in quel contesto, raccogliendo di lì a poco i suoi frutti.


(Africani a Pechino)

Negli anni a venire, paesi come Guinea, Mauritania e Sierra Leone riconosceranno una sola Cina, ovvero quella Popolare, a discapito della nazionalista Taiwan. Lo stesso Mao Zedong riceverà il presidente della Tanzania Julius Nyerere nel 1974; sono anni nei quali il governo cinese investiva in infrastrutture come strade, ferrovie, ospedali e scuole nel continente nero, in nome di alleanze politiche ed economiche con i «Paesi amici».

Dopo un periodo di stallo, è sul finire dell’anno 2000 che i rapporti tra la Cina (oramai completamente trasformata dopo l’epoca di riforma e apertura) ed i Paesi africani registrano un deciso rilancio, grazie al Forum Cina – Africa, celebrato a Pechino, con la partecipazione di quarantacinque rappresentanti africani. Se a Bandung i temi predominanti erano il neutralismo ed il terzomondismo, a quarantacinque anni di distanza gli obiettivi sono evidentemente cambiati.

Tra i dieci punti stilati tra le nazioni presenti, si legge che «paesi con diversi sistemi sociali, livelli di sviluppo, valori e contesti storico-culturali hanno diritto di scegliere ciascuno il proprio approccio e modello di promozione e protezione dei diritti umani». (1) Il messaggio è chiaro: la Cina non vuole interferenze in quella che è la propria politica interna.
Altrettanto indubbio è il messaggio dato ai Paesi africani: Taiwan è una questione interna, la Cina è una sola e come tale va riconosciuta. A ciò hanno fatto seguito numerosi altri eventi all’interno delle relazioni tra Cina e Africa. Vogliamo qui ricordarne almeno due: i frequenti viaggi nel continente africano dell’ex presidente Jiang Zemin e di molti altri leader del Partito Comunista Cinese; l’annullamento totale o parziale del debito che più di trenta Paesi africani avevano con la Cina, per una somma tutt’altro che irrisoria: 1,3 miliardi di dollari. (2)

Negli ultimi anni quasi tutti i Paesi africani hanno così rotto ogni rapporto con l’isola di Taiwan,3 riconoscendo invece la Repubblica Popolare di Cina. Cifre da capogiro investite in infrastrutture in cambio di riconoscimento a livello internazionale: la strategia cinese era ormai avviata.

Anche nelle relazioni diplomatiche, i leader africani non sono stati da meno: solo tra l’estate del 2006 e quella del 2008, capi di stato e ministri da quasi trenta differenti Paesi sub sahariani sono stati in visita ufficiale in Cina.4 Al già citato forum svoltosi nella capitale cinese nel 2000, sono poi seguiti altri incontri di cooperazione sino-africana. Nel 2006, sempre a Pechino, il presidente Hu Jintao promise cinque miliardi di dollari al continente africano; a soli tre anni di distanza, nel novembre del 2009, a Sharm-el-Sheikh il premier Wen Jiabao ha addirittura raddoppiato la cifra: dieci miliardi di dollari hanno lasciato le casse di Pechino diventando capitale da investire nei Paesi africani.

Alla politica africana dei cinesi, sono state sollevate molte critiche, specie dall’Europa, dove i massicci investimenti da parte dei cinesi in Africa sono visti come un ritorno al colonialismo nel continente nero, ricchissimo di energia e materie prime. Secca la risposta degli asiatici, che non accettano accuse di colonialismo dai paesi occidentali: «Gli europei considerano queste nazioni come il loro cortile. È chiaro che non siano felici dell’arrivo dei cinesi» è stato il commento dell’esperto Xu Weizhong al quotidiano cinese in lingua inglese, Global Times.   

NOTE AL TESTO

(1)  «Beijing Declaration of the Forum on China-Africa co-operation».

(2) Dato del 2006

[Il Dossier è stato pubblicato nella rivista di Ottobre MissioniConsolata]