Donne in Cina, un articolo di Dai Jinhua

In by Simone

In occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” a Pechino, svoltasi nelle scorse settimane, dopo l’articolo sulla “Federazione delle donne cinesi” e sul Gender Mainstreaming, China- Files propone una parziale traduzione di un articolo sulle donne cinesi.

Autrice è  Dai Jinhua, classe 1959, femminista, docente di culture comparate all’Università di Pechino ed esperta di critica cinematografica cinese. L’articolo è stato tradotto dal cinese allo spagnolo da Tyra Díez e pubblicato nel 2007 su “Anuario Asia-Pacifico 2006”, annuario del governo spagnolo sulle relazioni con l’estremo oriente. 


Per parlare di donne in Cina, così come per parlare di Cina, bisogna in primo luogo tracciare delle coordinate, sicuramente complesse e confuse. Negli ultimi vent’anni, l’incessante promozione della capitalizzazione e la piena entrata nel processo di globalizzazione hanno intensificato, più che soluzionato, i conflitti e gli antagonismi in seno alla società cinese. In un senso molto reale, esiste, almeno, più di una “Cina”: la Cina urbana e la Cina rurale, la Cina costiera e quella interna, la Cina dei giovani e quella dei vecchi, la Cina dei nuovi ricchi e quella dei nuovi poveri. I poli opposti che queste formano, le condizioni e i problemi legati a ciascuna di esse sono talmente diversi che fanno sì che “Cina” o “donne cinesi” si trasformino in un modo di parlare, in oggetti del discorso la cui demarcazione va offuscandosi.

E così, non ci è possibile usare con leggerezza le formule “progresso o regresso”, “miglioramento o peggioramento” per descrivere lo stato generale delle donne nella Cina contemporanea. 

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Se diciamo che l’apertura durante l’era di Deng Xiaoping fece sì che la Cina del gaige kaifang [riforma e apertura, n.d.t.] dipendesse e interazionasse più che mai con il resto del mondo, e che iniziò così un processo radicalmente nuovo di “progresso storico”, allora dobbiamo anche dire che, in termini generali, in questi ultimi venti anni le donne cinesi stanno sperimentando, più o meno velocemente, un vero regresso storico: non solo la discriminazione per sesso ed età nel mercato del lavoro è diventata un problema sempre più serio e di pubblico dominio, ma per di più si sono aggravate tutte quelle pratiche e situazioni che dagli anni cinquanta ai settanta sparirono in silenzio: il matrimonio imposto e la compravendita delle mogli, il rapimento e la vendita delle donne, donne con salari estremamente bassi e senza assicurazione lavorativa, mercato delle bambine lavoratrici, condizioni estremamente complesse e diseguali dell’industria pornografica e del sesso… Tutto questo rivive a livelli diversi e si espande senza più fermarsi nelle varie aree della campagna e della città.

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Se il problema sociale più urgente della Cina di oggi è la seria ed estrema disuguaglianza che si è aperta tra ricchi e poveri, allora il problema delle donne povere è una delle sue facce più amare. Se l’altro aspetto della posizione avvantaggiata del progresso di capitalizzazione della Cina è l’allarmante quantità di sangue e sudore dei lavoratori, allora le donne e le bambine lavoratrici sono, tra tutti, la maggior parte di quelli che soffrono l’esperienza dello sfruttamento. Se il problema più critico che oggi affronta la Cina è la topografia deteriorata della campagna e la nullificazione dei contadini, allora quello che questo processo rende visibile è, allo stesso tempo, la femminizzazione e l’invecchiamento della campagna. 

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Uno dei fatti curiosi degli anni novanta è che la maggior parte delle creazioni artistiche delle donne che gradualmente vennero viste come capitale della nuova industria culturale in sviluppo, e soprattutto di quelle [donne, n.d.t.] che costituirono il punto più importante per i mezzi di massa, si articolavano attorno al corpo e al desiderio femminile. In questo panorama, nello stesso tempo in cui il leitmotiv del femminismo si semplificava attorno alla triade “io-me, me stessa, il mio corpo”, la cosiddetta “scrittura del corpo” andava gradualmente coprendo la letteratura femminile. Se diciamo che un fenomeno come quello della cultura di genere (sessuale) viene sicuramente a simbolizzare e narrare la liberazione sessuale delle città cinesi, allora questo stesso fenomeno si rivela come un’arma a doppio taglio: se la flessibilità del sistema matrimoniale aprì uno spazio sociale per il corpo femminile e la liberazione sessuale, uno spazio sociale che fece emergere il substrato storico e tutti i tipi di sessualità minoritarie, aprì anche le porte ad un maschilismo complice e rafforzato dal capitale. 

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Parlando della condizione attuale delle donne cinesi, un’importane successo storico è stato l’incontro mondiale delle donne celebrato a Pechino nel 1995. Per la Cina contemporanea questo incontro ha fatto sì che il femminismo conquistasse in Cina una vasta diffusione e influenza; ha inoltre permesso che le ONG internazionali entrassero nel paese in una quantità senza precendenti.

Da una parte, la diffusione del femminismo ha motivato la sua massiccia entrata e quella degli studi sulla donne nelle università e istituzioni ufficiali educative, permettendo, ad una velocità stupefacente, che si articolasse un processo di specializzazione e organizzazione interna, realizzando così la relativa trasformazione della “Federazione delle donne cinesi” – l’organizzazione è stata fondata negli anni cinquanta come un organo di natura indubbiamente governativa. Dall’altra parte le ONG hanno promosso e partecipato al rinascimento e alla riabilitazione dei gruppi sociali di base, facendo sì che i movimenti sociali tornassero, in parte, a portare nell’arena politica i problemi delle donne delle classi più basse. Ma, a differenza di quanto sperato, mentre succedeva tutto questo, in Cina venne alla luce (altri dicono che prese forma) un certo tipo di fenomeno terzomondista: nel processo di riorganizzazione del femminismo, la ricostruzione delle organizzazioni di base delle donne le fece estremamente dipendenti dai grandi gruppi delle ONG e dal supporto economico delle grandi fondazioni internazionali, queste ultime convertendo nel modello, nei mezzi finanziari e nell’orientamento le prime.

Senza dubbio questo va a intensificare un certo tipo di logica del post guerra fredda, ad aggravare le tensioni tra le questioni locali e il modello occidentale, così come limitando la propria organizzazione dei gruppi di base delle donne e la propria capacità rigenerativa. Forse è proprio questo il paradosso delle condizioni delle donne in Cina oggi

Nel confrontare la Cina contemporanea, allo stesso tempo piena di vitalità e minacciata dalla crisi, l’autrice desidera richiamare l’attenzione sulla capacità di rinnovazione e del valore intrinseco delle organizzazioni di base e tra di loro delle donne, soffocate dal dominio economico.

Vale la pena far caso, in un processo storico molto differente, al fatto che l’emancipazione delle donne dagli anni cinquanta ai settanta ha portato ad una valorosa eredità; c’è poi da porre l’attenzione, su quella che è la molteplice interazione tra la storia e la società, al fatto che il femminismo, una volta ancora, si rivela come capitale culturale. Le donne cinesi, che sono oggi più di seicento milioni, quasi un’ottava parte della popolazioni mondiale, forse potranno creare per il mondo di oggi una nuova e diversa trama possibile.    
 

[Foto Matteo Labate]