Dialogo aperto tra Taipei e Pechino

In by Gabriele Battaglia

A Pechino, ieri, incontro tra Xi Jinping e Wu Poh-hsiung del Kuomintang di Taiwan. I due hanno discusso della possibilità di un vertice bilaterale per aprire un serio dialogo politico tra le due "Cine". Intanto uffici tecnici e commerciali delle due parti apriranno a Pechino e Taipei. E forse qui si parlerà anche di politica. Chi è “Cina”? La domanda, apparentemente paradossale, pesa invece come un’incudine ogni volta che la Cina continentale (Pechino) e Taiwan (Taipei) si incontrano. Dato che i due Paesi rivendicano a sé il ruolo di legittima continuazione del Celeste Impero e visto che entrambi concordano sul principio di “una sola Cina”, in teoria uno escluderebbe l’altro. Così, in mancanza di un consenso su quale sia il “vero” governo del Dragone, le due parti si incontrano come rappresentanze dei rispettivi partiti: quello comunista di qui, il Kuomintang di là.

Lo stesso è successo ieri, quando il presidente onorario del Kuomintang, Wu Poh-hsiung, ha incontrato il “segretario generale del Partito comunista” (per oggi non lo chiameremo “presidente”) Xi Jinping a Pechino. Era stato lo stesso Xi ad auspicare un incontro a breve termine al momento del proprio insediamento, l’autunno scorso. Wu si è fatto latore di un messaggio di Ma Ying-jeou, leader del suo partito (facciamo finta che non sia anche presidente della Repubblica di Cina, cioè Taiwan), che si è detto aperto a un “dialogo politico attraverso canali non ufficiali”, gesto interpretato come una notevole apertura da parte di Taipei.

Che cosa significa? In pratica, l’Associazione per le relazioni attraverso lo Stretto, di Pechino, e la sua controparte taiwanese, la Fondazione per gli Scambi attraverso lo Stretto, apriranno uffici in casa del “nemico”. Si tratta di due organizzazioni che formalmente devono gestire gli scambi “tecnici e commerciali” tra le due parti. Ora, molto probabilmente, si parlerà anche di politica.

I media continentali danno molta enfasi all’incontro e ricordano che sia il Partito comunista cinese sia il Kuomintang sono allineati sul “consenso del 1992”, il documento stipulato all’epoca dalle delegazioni semi-ufficiali dei due Paesi e che stabilisce il principio di “una sola Cina”, quello riconosciuto da tutti i Paesi che vogliono avere relazioni diplomatiche con Pechino.

Il Partito comunista cinese e il Kuomintang di Taiwan hanno però fatto i conti senza l’oste, nella fattispecie il Partito democratico taiwanese, quel terzo incomodo che da sempre spinge per l’indipendenza anche formale di Taipei e che, di relazioni politiche attraverso lo stretto, proprio non ne vuol sentire parlare. Attualmente non è al potere, quindi poco può fare se non propaganda. Il suo “direttore esecutivo per la ricerca politica”, Joseph Wu Jau-Shieh, si è affrettato a specificare che presenterà un disegno di legge al parlamento di Taipei per scongiurare l’apertura dell’ufficio dei “continentali” sul suolo taiwanese. 

Per il Partito democratico, l’apertura della delegazione “non ufficiale” o “privata” sarebbe il primo tassello di una soluzione alla Hong Kong: un Paese, due sistemi. L’organizzazione sostiene anche che il principio “di una sola Cina” è di pura foggia continentale, mentre la linea di Taipei non deve discostarsi da quella tracciata nella costituzione della Repubblica di Cina, varata nel 1945 (quando il Kuomintang era ancora al potere anche in terraferma) ed emendata per l’ultima volta nel 2005, in base alla quale (sintetizziamo) è la Cina continentale a essere parte della Repubblica di Cina e non il contrario.

Il Kuomintang, da parte sua, si muove circospetto per il timore che qualsiasi eccessiva apertura verso Pechino sposti l’elettorato verso il Partito democratico. Così si spiegano i piedi di piombo con cui si è mossa la delegazione del Kuomintang sul continente. Wu Poh-hsiung ha infatti dichiarato che la politica del governo Ma per affrontare i problemi attraverso lo stretto è graduale, “affronta la parte facile prima di quella difficile”, e si occupa quindi di questioni economiche prima di quelle politiche. Lo stesso presidente taiwanese ha più volte affermato che i tempi non sono maturi per colloqui politici più approfonditi e che non prevede ulteriori passi in avanti prima della fine del proprio mandato, nel maggio 2016.

Da parte sua, Xi Jinping ha invitato l’interlocutore a “guarire dal trauma storico” e a rafforzare la fiducia politica reciproca nel quadro di “una sola Cina”, formula che ricorre ogni tre righe in quasi tutte le cronache.

È soprattutto Pechino, che parte da una posizione di forza, a premere affinché si arrivi al più presto a rapporti politici “veri”. Il presidente-segretario cinese insiste anche sulla parola d’ordine fondamentale del proprio mandato, quando auspica che le due parti possano lavorare insieme per raggiungere “il grande rinnovamento della nazione cinese”, secondo quanto riporta il Global Times. In cambio, la Cina si impegna a promuovere una significativa partecipazione di Taiwan nelle attività internazionali “attraverso negoziati tra le due sponde su un piano di parità”.

Cosa questo significhi, ancora non è chiaro. Intanto Pechino spera che il Kuomintang resti a lungo al potere a Taiwan. 

[Scritto per Lettera43; foto credits: xinhuanet.com]