Coronavirus: il partito comunista serra i ranghi

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

UPDATE: 27 GENNAIO ORE 9,27

Il premier Li Keqiang è diventato il primo leader a visitare Wuhan, la città epicentro dell’epidemia di polmonite virale che da fine dicembre tiene sotto scacco il paese. Secondo i media cinesi, Li – nominato nel weekend capo di un team speciale incaricato di supervisionare le operazioni di soccorso – ha visitato pazienti e personale medico dell’ospedale Jinyintan, incoraggiando e ringraziando lo staff sanitario per quanto fatto finora. Intanto, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie ha pubblicato un’immagine del nuovo ceppo di coronavirus, isolato da alcuni campioni prelevati dal mercato ittico da cui si ritiene sia partito il focolaio. Il virus è stato rilevato in 35 dei 585 campioni raccolti: 33 tra quelli risultati positivi provenivano proprio dall’area dedicata alla vendita di animali selvatici, segno che i sospetti sull’origine della malattia sono fondati.

 

“La situazione è grave”. Non nasconde preoccupazione Xi Jinping, il presidente cinese che sabato ha convocato il comitato permanente del partito comunista per definire le prossime mosse nella difficile battaglia contro il misterioso virus che dalla fine di dicembre si è esteso dalla città di Wuhan, nella provincia centrale dello Hubei, al resto del paese. “I comitati di partito e i governi a diversi livelli devono formulare piani adeguati per contenere il virus sotto la guida del Comitato Centrale “, ha intimato il leader annunciando la creazione di un team speciale incaricato da una parte di limitare la diffusione del contagio, dall’altra di supervisionare le operazioni di assistenza nelle aree colpite. Il coinvolgimento diretto della leadership comunista (sotto la guida del premier Li Keqiang) rappresenta un grande balzo in avanti rispetto alle misure precedentemente adottate dal Consiglio di Stato e che fino ad oggi si sono dimostrate insufficienti.

Mentre scriviamo, solo in Cina, la malattia ha colpito oltre 2000 persone, uccidendone un’ottantina. Ma l’epidemia ha già assunto portata globale con almeno altri trenta casi sparsi in una decina di paesi, molti dei quali (Stati Uniti, Australia, Giappone e Francia) pronti a rimpatriare cittadini e personale diplomatico rimasti intrappolati a Wuhan dall’imposizione della quarantena.

Il compito del nuovo gruppo di lavoro è duplice: innanzitutto, si punta a ottimizzare la distribuzione delle limitate risorse, attingendo tanto al comporta civile quanto a quello militare, che oltre la Muraglia è controllato dal partito. Proprio, nel weekend il governo centrale ha spedito circa 1200 medici a Wuhan per assistere il personale locale che, sottoposto a forti pressioni, si trova costretto a intervenire con mezzi ristretti e cure inadeguate. Una task force potenziata dal dispiegamento di uno staff medico specializzato nelle malattie infettive che risponde direttamente all’esercito. Ma, centralizzando il controllo dei soccorsi, si vuole soprattutto placare le accuse di lassismo scagliate dall’opinione pubblica contro l’amministrazione municipale. A distanza di 17 anni dalla Sars, per Pechino la priorità assoluta è cancellare il ricordo della pessima gestione con cui la precedente leadership cercò di insabbiare la reale portata del contagio per mesi e mesi. Chi intralcerà le indagini “sarà inchiodato per l’eternità sul pilastro della vergogna”, avvertiva giorni fa la Commissione per gli Affari Politici e Legali, minacciando sanzioni.

Con il beneplacito dei censori, sulla rete c’è già chi chiede la testa del sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, colpevole – come ammesso ai microfoni della CCTV – di aver inizialmente sottostimato la gravità della situazione, arrivando persino a presiedere un affollato banchetto per il Capodanno lunare in piena crisi. Un’uscita infelice che potrebbe rispecchiare l’incapacità di un singolo funzionario oppure scoperchiare brutalmente i limiti del sistema amministrativo cinese, soggetto a frequenti cortocircuiti tra governo centrale e periferie locali. Nulla di nuovo, sebbene la campagna anticorruzione avviata da Xi Jinping sette anni fa abbia esacerbato le resistenze a livello provinciale, dove l’autonomia – un tempo declinata all’efficienza malgrado le diffuse sacche di potere – è stata sostituita da un approccio attendista. Per non sbagliare, non si agisce più se non su ordine dall’alto.

Secondo quanto riporta su WeChat DXY.cn, comunità online per medici e operatori sanitari, il mercato umido da cui si pensa sia partito il focolaio era stato perlustrato dalle autorità sanitarie locali senza che sia risultata alcuna irregolarità, nonostante la presenza di numerose specie selvatiche, dai ricci ai serpenti.

L’appello di Xi – il secondo dal 20 gennaio – ha già dato i suoi frutti. Nelle ultime ore, l’amministrazione di Wuhan ha annunciato la costruzione di due ospedali temporanei in tempi record. Una volta terminati entro il mese di febbraio, Leishenshan e Huoshenshan ospiteranno complessivamente 2300 posti letto e saranno destinati unicamente al trattamento dei pazienti colpiti dal coronavirus riproponendo una strategia già utilizzata ai tempi della Sars, quando una struttura simile fu realizzata alla periferia nord di Pechino.

L’efficacia del copia-incolla è tutt’altro che scontata. Rispondendo alla stampa, domenica il capo della Commissione sanitaria nazionale ha ammesso come la conoscenza del virus – soggetto a possibili mutazioni – sia ancora troppo “limitata” per poterne valutare appieno i rischi. Quel che pare certo è che, a differenza della Sars, il nuovo coronavirus è trasmissibile anche in assenza di sintomi durante il periodo di incubazione (14 giorni).

Nell’attesa di fare chiarezza, la Cina si barrica. Dopo le limitazioni alla circolazione adottate nello Hubei, anche Xi’an, Pechino, Tianjin e la provincia dello Shandong hanno sospeso i servizi di trasporto a lunga percorrenza.

[Pubblicato su il manifesto]