Corea del Sud – Schiave di guerra, una ferita ancora aperta

In by Simone

La questione delle schiave di guerra coreane usate come donne di piacere dall’esercito del Sol Levante è ancora un nodo storico da sciogliere tra Corea e Giappone. Tokyo si rifiuta di ammettere le colpe e risarcire le superstiti, che dopo quasi 70 anni dalla fine della guerra stanno ormai scomparendo.
Sono morte tre settimane fa senza ricevere né scuse né risarcimenti. Yoon Geum-rye, 90 anni, e un’altra donna citata soltanto per cognome, Bae, di 88 anni, erano due delle migliaia di donne coreane costrette in schiavitù dall’esercito imperiale giapponese negli anni dell’occupazione della Corea durante la Seconda Guerra Mondiale.

A dare la notizia della loro scomparsa è stata l’agenzia Yonhap, citando un comunicato del Korean Council for Women Drafted for Military Sexual Slavery. Il caso delle ragazze costrette a prostituirsi dagli occupanti nipponici è uno dei nodi irrisolti delle relazioni tra Seul e Tokyo.

L’ultimo appello del governo sudcoreano affinché la controparte giapponese affronti la faccenda è arrivato lo scorso 1 marzo, anniversario della sollevazione anti-nipponica del 1919, data fondamentale del movimento indipendentista coreano.

Chiediamo più di ogni altra cosa che, con coraggio e saggezza, non sia ignorata la verità storica”, ha detto il presidente sudcoreano Lee Myung-bak, “Mi riferisco in particolare alle donne schiavizzate, la rapida risoluzione della loro vicenda è una questione umanitaria”.
Il presidente ha ripetuto quanto già detto lo scorso dicembre a colloquio con il primo ministro giapponese, Yoshihiko Noda.

In Corea del Sud sono chiamate “donne di conforto”. Si stima siano state 200mila, in maggioranza coreane. L’eufemismo indica una delle tragedie dell’occupazione della Penisola tra il 1910 e il 1945.

In passato Tokyo ha più volte fatto ammenda per le atrocità e i crimini compiuti dalle proprie truppe in quel periodo sia Corea sia in Cina. Ma sull’argomento specifico non c’è mai stato un pieno pentimento. Ci sono state dichiarazioni di singoli primi ministri, ma la questione è stata ritenuta chiusa con l’accordo del 1965 con cui i due Paesi normalizzarono le proprie relazioni diplomatiche e che comprendeva anche i risarcimenti, che però Tokyo si rifiuta di discutere singolarmente.

La verità sulle schiave venne a galla soltanto nei primi anni Novanta, con le testimonianze di alcune vittime ormai già anziane. Il sentimento anti-giapponese è ancora ben radicato in tutta la penisola coreana, sia nel Sud filo-occidentale e tanto più nel Nord comunista.

Da vent’anni, ogni mercoledì, le vittime organizzano manifestazioni settimanali davanti all’ambasciata del Sol Levante a Seul. Lo scorso dicembre almeno 1.000 dimostranti hanno posizionato una statua di bronzo di fronte all’edificio “Simboleggia l’esortazione a chiedere scusa per aver costretto in schiavitù ragazze che avevano appena 13 o 14 anni e che da allora stanno aspettando”, ha detto Yoon Mi-Hwnag.

Un’altra sopravvissuta, Kim Yeon-ok, ha spiegato all’emittente di Singapore Channel News Asia che le domande di risarcimento individuali sono state in totale 231, ma ora soltanto 64 tra quelle sopravvissute sono ancora in vita. “Il Giappone deve farlo finché ci siamo ancora”, ha aggiunto.

Lo scorso 8 marzo, in occasione della festa della donna, il Korean Council for Women Drafted for Military Sexual Slavery ha infine annunciato che ogni eventuale risarcimento sarà devoluto a uno speciale fondo per aiutare le donne ridotte in schiavitù nelle guerre odierne.

Le prime donne a beneficiare del fondo saranno le vittime della guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo. La questione sarà sollevata anche nella campagna elettorale per le parlamentari di metà aprile. Tra le candidate, in lista per il Democratic United Party, ci potrebbe essere Lee Yong-su, un’ex vittima che a 84 anni dice: “Se sarò eletta cercherò di ridare onore alle donne”.

[Foto credit: wagingnonviolence.org]