Corea del Nord – Andate ed arricchiteci

In by Simone

L’economia a nord del 38esimo parallelo attraversa momenti più bui del solito. La crisi politica con Seul e le continue sanzioni economiche hanno costretto Kim Jong-un ad una scelta rischiosa ma obbligata: spedire altri 10mila nordcoreani a lavorare all’estero. Rischio defezioni compreso.
Il regime nordcoreano ha bisogno di soldi. Stretta dalle sanzioni economiche – le ultime contro tre società statali sono state approvate due giorni fa dalle Nazioni Unite – Pyongyang gioca la carta degli emigrati per racimolare valuta estera.

Secondo quanto trapelato in questi giorni, il governo ha deciso l’invio all’estero di oltre 10mila lavoratori che andranno ad aggiungersi ai 30mila già impiegati in 40 Paesi al mondo. Le finanze languono e il regime è pronto ad affrontare il rischio di eventuali defezioni o che i propri cittadini vengano a contatto con il mondo esterno.

Nelle scorse settimane indiscrezioni ipotizzavano addirittura che il nuovo leader Kim Jong-un fosse pronto a riformare in parte il rigido sistema socialista e autocratico che vige nella Repubblica popolare democratica. Secondo le cifre riportate dal sudcoreano Chosun Ilbo, ogni anno le rimesse degli emigrati portano a Nord del 38esimo parallelo circa 100 milioni di dollari.

I salari mensili dei lavoratori migranti variano dai 200 ai 1.000 dollari, a seconda dei Paesi e dei settori in cui sono impiegati. Circa il 90 per cento dei guadagni è tuttavia requisito dallo Stato attraverso la cosiddetta Stanza 39, dipartimento speciale del Partito che detrae dai salari le tasse, le spese per l’assicurazione, per l’alloggio e gestisce i fondi del regime.

Ai tempi del Caro leader Kim Jong-il, tra rimesse degli espatriati, traffici illeciti in armi e droga e cooperazione economica con la Corea del Sud, il dipartimento arrivava a gestire fino a 400 milioni di dollari l’anno. La crescente tensione con Seul, soprattutto per la politica più dura del presidente Lee Myung-back rispetto ai suoi predecessori, e le sanzioni hanno tagliato molti canali.

Kim Jong-un ha bisogno di soldi per garantirsi la lealtà della sua cerchia, l’unica soluzione per trovarli è mandare un numero maggiore di nordcoreani all’estero”, ha spiegato una fonte anonima al Chosun Ilbo.

Uno scambio conveniente per tutte le parti in causa. D’altronde, come recita il titolo di un’inchiesta dell’Economic Observer, si tratta di “lavoratori obbedienti e a basso costo".

Il settimanale cinese ha cercato di capire chi siano i nordcoreani a Dandong, non distante dal confine con la loro madrepatria. Sono impiegati soprattutto negli alberghi, nei ristoranti e nell’edilizia. Ma molti lavorano anche nel manifatturiero.

Agenzia specializzate aiutano imprenditori e società a entrare in contatto con i nordcoreani. A differenza dei rifugiati e dei disertori che passano illegalmente il confine con il rischio di essere rimandati indietro, questi lavoratori hanno il tacito consenso del governo.

La crisi nei rapporti tra Seul e Pyongyang per l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, a marzo del 2010, ha fatto calare il flusso commerciale tra il Nord e il Sud della penisola e causato problemi di sovrabbondanza di manodopera nelle industrie tessili nordcoreane.

La soluzione è stata pertanto permettere loro di andare in Cina, principale partner commerciale e alleato, sebbene sempre più riluttante, di Pyongyang. “La paga oscilla tra i 1.300 e i 1.500 yuan al mese (130 euro circa, nda) e non c’è bisogno di altro”, ha spiegato un imprenditore al settimanale.

Gli fa eco un impresario edile che spiega come riesca a tagliare di un terzo la spesa per gli stipendi, senza contare che i nordcoreani lavorano il doppio rispetto ai cinesi.

Come per le merci anche per i lavoratori ci sono traffici illegali”, ha tuttavia sottolineato un ristoratore. I mediatori fissano un salario minimo di 1.200 yuan e prendono dagli imprenditori 300 yuan. Chi entra illegalmente è tuttavia ancora più vulnerabile perché se scoperto rischia il rimpatrio.

[Foto credit: democraticunderground.com]