Interno auto, quattro passeggeri, viaggio Bla Bla Car Roma – Milano 11 marzo 2015. Estratti di conversazione sulle frequently asked questions circa India e dintorni, ovvero di cosa si parla quando si parla di India e come la raccontano i nostri media.
C. – Quindi vivi in India eh? E com’è? Nel senso di igiene…
M. – Igiene in che senso?
C. – Igiene. Se è sporco, se si lavano.
M. – Certo che si lavano, pure più di noi. Ad esempio viaggiando in treno, in quattro anni, non ho mai sentito puzza di piedi, mai.
C. – Però i treni fanno schifo no?
M. – Oddio schifo, direi di no. Dipende da che classe di treni prendi. Ci sono quelli con l’aria condizionata, dove entri e ti portano il té, la zuppetta di pomodoro, il pranzo e la cena. Son pure meglio del Freccia Rossa, si viaggia benissimo. Ma pure le altre classi, che prende la gente normale, anche se è pieno di gente è un’esperienza che va fatta. Se uno viene in India e non prende il treno ci capisce poco.
C. – Pieno di gente come?
M. – Pieno di gente tipo in uno scompartimento da sei una volta ne ho contati 24, tra seduti e in piedi. Arriva la madre col bimbo e te lo piazza in braccio, il bimbo non fa una piega, poi se lo riprende a fine viaggio. Oppure salgono i venditori di verdura e frutta, con le ceste piene, e mentre aspettano la loro fermata fanno come al mercato. Siccome i viaggi sono molto lunghi, si crea una sorta di comunità nel treno, si convive per forza: a turno si prendono i té per tutto lo scompartimento, quello che si è portato il cibo da casa lo offre da assaggiare a tutti, spesso sul treno incontri gente che ti invita a casa sua a presentarti alla famiglia e insistono per ospitarti…
V. – E tu ti fidi?
M. – Perché no? Ho sempre trovato gente molto disponibile, estremamente gentili è carini. Direi che è normale fare amicizia in treno e se qualcuno è un po’ losco lo capisci al volo.
V. – E Delhi com’è? Ti trovi bene?
M. – Diciamo che Delhi non è una bella città, l’inquinamento a volte è insostenibile, c’è sempre traffico e anche fare le cose facili, tipo fare la spesa, alcuni giorni è snervante. Però ogni volta che esci puoi conoscere gente nuova da ogni parte del mondo. Ecco, diciamo che Delhi dopo un po’ la odi ma la vita che uno fa a Delhi è stimolante e quella sensazione lì, che ogni volta che esci di casa ti senti pronto a farti stupire – nel bene e nel male – è una cosa alla quale è difficile rinunciare.
C. – Ma il mangiare? Non se la fanno la pasta lì no?
M. – No, però se proprio vuoi la trovi, anche se è roba d’importazione e quindi costa di più che in Italia. Si mangiano verdure, legumi, riso, si mangia benissimo.
S. – E questa storia degli stupri?
M. – Eh, il problema è che in India sono sempre successi episodi del genere, ma noi abbiamo iniziato a raccontarlo solo dopo lo stupro di quella ragazza a New Delhi a dicembre nel 2012.
S. – Un po’ come gli incidenti per guida in stato di ebbrezza.
M. – Più che altro come quando cadono gli aerei o quando un rottweiler sbrana un padrone, che pare il giorno dopo tutti i rottweiler mangiano bambini al parco. Funziona così: dal dicembre del 2012 i giornali internazionali si sono messi a controllare anche le notizie locali indiane e a riprenderle sulla stampa straniera. Così sembra che la questione degli stupri è una cosa nuova, infatti la chiamano "emergenza". Poi te la raccontano con frasi tipo "in India viene stuprata una donna ogni 20 minuti", che è una mezza porcata.
V. – Perché?
M. – Perché è vero, i dati danno quella statistica lì. Però facciamo fatica a far passare l’idea che in India abitano un miliardo e trecento milioni di persone, quindi quella frase è un po’ fuorviante. Dipende da come presenti i numeri. Ad esempio pochi scrivono che il rapporto tra stupri e abitanti è più alto negli Stati Uniti che in India, solo che nessuno fa i titoli dicendo "Usa capitale degli stupri nel mondo". Con l’India invece sì. Il fatto che lo si racconta di più è un bene, perché in India, soprattutto nelle città, si inizia ad aver meno paura a denunciare le violenze sessuali, si è aperto un dibattito e più se ne parla meglio è. Solo che raccontarlo così dà un’idea dell’India falsa. Sembra che fino all’altroieri gli indiani erano tutti santoni che non facevano altro che fumare e fare yoga o meditazione, e oggi sono tutti stupratori. Non è così.
S. – L’India è anche una potenza economica, stanno crescendo tantissimo.
M. – Stanno crescendo ma io non mi sento di dire che siano una potenza economica come, ad esempio, la Cina. È vero, i soldi in quell’area sono arrivati e in generale tutti in quella parte di Asia sono cresciuti molto dalla fine degli anni Novanta. Solo che l’India ha un problema demografico importante. L’età media della popolazione indiana è intorno ai 35 anni (nota: ho controllato oggi, ed è meno, dicono nel 2020 sarà 29 anni e al momento un indiano su due ha meno di 25 anni), significa che ci sono un sacco di giovani che dovranno trovare lavoro. Ma quei lavori non ci sono, alcuni sono troppo qualificati per fare i lavori sottopagati disponibili al momento, senza tutele salariali etc., mentre altri sono "overqualified" e non c’è opportunità per tutti. L’India è un paese come gli altri, non possono fare tutti gli ingegneri informatici. L’India è cresciuta intorno al 5 per cento negli ultimi anni, che rispetto a noi sembra un’enormità, però per un paese che cresce demograficamente a quella velocità, non è abbastanza. È un bel problema e la soluzione ancora non si capisce quale possa essere.
C. – Ma invece i marò? Li hanno ammazzati loro o no?
M. – Questo ancora non si può dire. La perizia della scientifica indiana dice che i proiettili trovati nei corpi dei due pescatori sono compatibili con due fucili trovati a bordo della petroliera indiana, ma quella perizia ancora non è stata depositata in tribunale siccome il processo ancora deve partire.
C. – Beh ma se hanno sparato loro secondo me è giusto che fanno il processo in India. Tanto se lo fanno in Italia sicuramente non si fanno nemmeno un giorno di carcere…
M. – Anche questo è ancora da decidere. Da tre anni India e Italia stanno discutendo su chi ha il diritto di processare i due marò: l’India dice che tocca a loro, siccome i morti sono indiani e il fatto è avvenuto dentro ad acque che Delhi dice siano sotto la giurisdizione nazionale; noi invece diciamo che, siano o meno i marò i responsabili dell’omicidio, devono essere processati in Italia, perché i militari secondo le leggi internazionali quando commettono un crimine all’estero mentre sono in missione devono essere processati dal tribunale militare della loro nazione. Ancora non hanno deciso cosa fare, aspettiamo da tre anni.
S. – Va bene, però io voglio una risposta secca: è colpa dei marò? Cioè…gli hanno sparato loro.
M. – Posso dirti questo: se viene fuori che gli hanno sparato loro, una parte della colpa è dei marò, perché hanno premuto il grilletto, ma per me gran parte della colpa è di chi manda dei militari, addestrati a fare la guerra – e quindi a difendere prima di tutto se stessi in una zona di guerra, e infatti in guerra c’è il termine "danni collaterali" – a fare un servizio di protezione a una petroliera privata in un tratto di mare dove, tra l’altro, i pirati non ci sono. È un lavoro diverso e chi ha mandato dei militari, forse senza prepararli a dovere, a fare quel tipo di servizio, se ne dovrà prendere la responsabilità.
Note al testo
In dieci ore di auto non abbiamo mai parlato di povertà, yoga, meditazione, Bollywood, Gandhi. Penso che nell’immaginario collettivo dell’India in Italia qualcosa, lentamente, stia cambiando, e che le domande che sono venute fuori naturalmente in un contesto fortuito (quattro sconosciuti che condividono mezza giornata in viaggio) possano essere un dato interessante su come e cosa i nostri media di massa comunicano ad un pubblico casuale, nel senso di non specializzato o particolarmente interessato all’India. Dal micro al macro, le campagne mediatiche del nuovo governo di Narendra Modi mirano a cambiare questo tipo di percezione casuale, stanno insomma cercando di disegnare un paese diverso agli occhi della gente che sta fuori dall’India. E noi che ci occupiamo di India e proviamo a raccontarla con questi processi dobbiamo farci i conti.