Il comunicato ufficiale redatto dall’agenzia di stampa Xinhua – ripreso dai principali media del paese – non fa altro che ripercorrere brevemente la vicenda del giovane Yao. Reo confesso dell’omicidio di Zhang Miao, finita a coltellate dopo averla accidentalmente investita in auto, è stato riconosciuto colpevole e condannato alla pena di morte sulla scia di un’indignazione nazionale nata su internet: alla puntata speciale della CCTV dedicata al caso Yao, fortemente sbilanciata a favore del colpevole, migliaia di netizen animarono la rete cinese chiedendo a gran forza l’applicazione della legge vigente nella Repubblica Popolare, che per gli omicidi violenti prevede l’esecuzione capitale. Pur avendo ricorso in appello alla prima sentenza emessa dalla Corte Intermedia di Xi’an, le richieste di clemenza della famiglia Yao non sono state accolte in nessun grado di giudizio.
Quando anche la Corte Suprema, a fine maggio, ha confermato la sentenza di morte, il padre di Jiaxin ha deciso di aprire un account sulla piattaforma di microblog Sina Weibo che ora, dopo la morte del figlio, è seguito da migliaia di utenti. Davanti al dolore di Li Qinqwei i messaggi di solidarietà sono nettamente la minoranza degli interventi, specchio di una brutta vicenda più profonda di quanto possa sembrare.
Li Qianfang, editorialista della versione online di Xinhua, a poche ore dall’esecuzione detta la vulgata ufficiale, auspicando che del caso Yao Jiaxin non si legga soltanto la morte dell’assassino, ma il primato della giustizia sul crimine, rassicurando i cinesi sullo spirito di indipendenza ed imparzialità del sistema giuridico cinese; parallelamente Han Haoye sul sito web del Dazhong Bao – giornale della provincia dello Shandong – prova ad analizzare i contorni del caso Yao, caratterizzato da una grave frattura nell’opinione pubblica tra pro-pena di morte e deboli proposte di abolizione della pena capitale: secondo Han, la compassione per la vittima e la compassione per il giovane omicida non sono due sentimenti contrastanti, ma la naturale tendenza al “bene” che dovrebbe governare ogni essere umano, reazioni positive in netto contrasto con “l’esplosione di petardi in strada” per festeggiare la morte di un ragazzo di 21 anni.
L’obiettivo primario della stampa nazionale sembra quindi una moralizzazione generale, un’esortazione al bene ed al perdono ma nel rispetto dell’autonomia della giustizia cinese, non disposta a piegarsi agli umori del popolo. Molto più interessanti sono i commenti ai due articoli, dove sono numerosissimi i sostenitori della pena di morte per Yao Jiaxin, citando motti come “ad ogni criminale la giusta pena” o “Yao Jiaxin è morto, viva la giustizia”. Ma si trovano anche alcune riflessioni che fanno onore ad una società cinese spesso erroneamente immaginata come apatica ed inerte, vittima del paternalismo imperante del suo governo: c’è chi si interroga su questi “inaspettati risvolti della legge del figlio unico”, accusando la politica del controllo delle nascite di aver creato una generazione di cinesi “egoisti, viziati e maleducati”; c’è chi spera che il popolo cinese impari ad odiare di meno e a perdonare di più; c’è chi sostiene che “tra 30 anni, quando ci guarderemo indietro, capiremo che la pena di morte è sbagliata” e chi ironicamente indica che ora anche la famiglia di Yao Jiaxin deve chiedere che giustizia sia fatta, anche loro figlio è stato ammazzato.
Divario sociale, legge del figlio unico, pena di morte, giustizia: l’esecuzione di Yao Jiaxin rimane l’epilogo di una storia nata male e forse finita peggio, ma se c’è del buono da salvare in un caso come questo, sarà uno sforzo che solo la società civile cinese potrà compiere. Guardandosi allo specchio.
[Pubblicato AGICHINA24 il 7 giugno 2011]