Cina – Terzo Plenum, i cinesi si aspettano più welfare

In by Gabriele Battaglia

Domani comincia il terzo plenum del Partito comunista, che dovrebbe sancire la via delle riforme per i prossimi dieci anni. Vi parteciperanno i 376 membri del Comitato centrale, sarà a porte chiuse e si concluderà probabilmente con un comunicato nella giornata del 12 novembre. Ecco di cosa, probabilmente, si parlerà. In rapida successione, alcune notizie che ci lasciano intravedere temi caldi da tenere d’occhio.

L’autorevole rivista economica Caixin rivela che dalle parti della metropoli meridionale di Shenzhen, alcuni terreni classificati come “rurali” potranno essere messi liberamente sul mercato. È un primo segnale in direzione di quel “mercato unificato della terra” di cui l’attuale leadership parla da tempo. In Cina, i terreni si dividono in urbani e rurali. Quelli rurali non sono posseduti privatamente dai contadini, hanno invece natura “collettiva” sotto il controllo dei funzionari locali.

Questo dà luogo a molti abusi e soprusi, con gli stessi funzionari che, per riempire i forzieri del governo locale (cronicamente in deficit) e spesso anche le proprie tasche, cedono i terreni a grandi progetti immobiliari, per lo più speculativi, espropriandone i contadini senza dovuti compensi. Per farlo, utilizzano il meccanismo dei “land-swaps”, che consente di “scambiare” lotti rurali con lotti destinati allo sviluppo urbano, a patto che la quota complessiva di terreno destinato all’agricoltura, su scala nazionale, resti intatta.

Dove sta il trucco? Basta aumentare la quantità del terreno agricolo, radendo al suolo villaggi di casette a un piano e sostituendole con grattacieli di trenta, così intorno si libera c’è più spazio. E così, è poi possibile scambiare quella quota “in più”, con altri terreni agricoli, più costosi perché più vicini alle città, dove costruire.

La legalizzazione della vendita, stabilisce di fatto che anche i contadini possono avere una fetta della torta. A Shenzhen, il trenta per cento dei profitti della vendita andranno al collettivo del villaggio, e il 70 per cento andrà a un fondo gestito dal governo cittadino. Il collettivo avrà poi il diritto di utilizzare il 20 per cento della proprietà immobiliare, una volta costruita.
Tutti contenti. Un problema resta però inevaso: la continua cementificazione del territorio che, tramite il trucchetto dei “land-swaps” o la legalizzazione della vendita, riduce sempre più la campagna a vantaggio di grandi cattedrali nel deserto, ovvero progetti immobiliari.

I cinesi hanno il problema che i soldi che depositano in banca non generano loro altri soldi, perché i tassi di interesse sui depositi sono tenuti artificialmente bassi, addirittura al di sotto dell’inflazione. Questo fa sì che cerchino ogni occasione per speculare in settori che garantiscono alti profitti (mercato immobiliare in primis), creando bolle destabilizzanti per l’economia nel suo complesso.

Se da un lato, quasi tutti i media sostengono che il terzo plenum metterà mano alla riforma dei tassi d’interesse (lasciandoli totalmente oscillare in base al mercato? Improbabile. Più facile una soluzione graduale), dall’altro ci giunge la tipica notizia “edificante” di un intero villaggio a 370 chilometri da Pechino che ha fatto fortuna vendendo filati di lana attraverso Taobao, la piattaforma di vendite online del gruppo Alibaba (tipi Ebay, per intenderci). Il primo a pensarci fu Liu Yuguo, un contadino del villaggio che aprì il suo primo negozio online sei anni fa.

Dopo aver guadagnato un totale di 1,6 milioni di dollari, ora gira in Mercedes e Bmw, così i compari del villaggio si sono immediatamente uniti a lui nel filare lana e nel commercializzarla attraverso Taobao. Iniziativa privata e commercio online, per un giro d’affari che – riporta Bloomberg – ha permesso a 16 villaggi cinesi di fatturare almeno 5 miliardi di yuan l’anno scorso e di creare 40mila posti di lavoro, rallentando così il flusso dei residenti verso le città, in cerca di lavoro.
È chiaro che favorire l’accesso al credito delle piccole-medie imprese private, può dare luogo ad altre storie simili. E la leadership cinese lo sa benissimo. Si tratta quindi di trasferire risorse dalle grandi imprese di Stato (banche comprese) al settore privato, cioè dalle élite che controllano i conglomerati economico-politici (mai “solo” economici) alle famiglie.

Un sondaggio del Global Times – spin-off del Quotidiano del Popolo – rivela che “quasi l’80 per cento degli intervistati si aspetta riforme nel welfare e nella sicurezza sociale, mentre oltre la metà degli accoglierebbe con favore riforme sulla distribuzione del reddito e novità sul fronte della lotta alla corruzione. "In confronto – aggiunge il giornale – solo circa il 33 per cento degli intervistati ha identificato il sistema politico come area da riformare”.
A prescindere dalla scientificità del sondaggio – di cui non sappiamo – è significativo vedere in che direzione spinge la stampa ufficiale.

Ancora una volta si parla di trasferimento di ricchezza dai privilegiati alla grande massa dei cinesi, senza dimenticare che “per quanto riguarda gli ostacoli alle riforme, oltre il 45 per cento degli intervistati considera la disobbedienza delle autorità locali ai decreti del governo centrale come ragione principale, mentre circa il 30 per cento ha accusato gruppi di interesse”.
A buon intenditore, poche parole. 

[Scritto per Lettera43; foto credits: wsj.net]