China National Petroleum Company: storia, successi e incidenti

In Uncategorized by Simone

La China National Petroleum Company ha rivelato i suoi nuovi progetti di sviluppo oltreoceano: in Canada e Australia. La notizia e la storia della compagnia che, oltre a un successo e a una crescita fuori dall’ordinario, è stata anche responsabile di alcuni incidenti ambientali di non poco conto
Sarà un cocktail a base di birra e sciroppo d’acero a placare, almeno in parte, la sete di idrocarburi del Dragone cinese.

Nell’annunciare pubblicamente i progetti futuri legati alla sua espansione oltreoceano, China National Petroleum Company (Cnpc), la maggiore compagnia energetica del paese per produzione, ha rivelato che intende puntare su Canada e Australia, considerati asset strategici fondamentali per la crescita e lo sviluppo della società.

Il record di produzione di petrolio e gas naturale raggiunto dalla Cnpc nel corso dell’anno passato (86,7 milioni di tonnellate) ha spinto la dirigenza societaria a valutare con particolare attenzione i passi da compiere nei prossimi anni. L’ambizioso obiettivo fissato da Jiang Jiemin, general manager della compagnia, è quello di raggiungere e superare la soglia dei 100 milioni di tonnellate di idrocarburi immessi sul mercato ogni dodici mesi.

In quest’ottica la scelta di Canada e Australia è sembrata obbligata, «non solo per le abbondanti risorse naturali di cui i due Paesi sono dotati», ha spiegato lo stesso Jiang ai media cinesi, «ma anche per le condizioni di investimento particolarmente vantaggiose che abbiamo riscontrato».

Lo sbarco cinese sul mercato energetico-estrattivo della terra dei canguri risale al 2007, anche se i legami tra i due Paesi si sono consolidati soprattutto grazie a un accordo da 50 miliardi sottoscritto nel 2009 e a un’altra intesa firmata lo scorso anno, quando la PetroChina international investment company Ltd, filiale della Cnpc, e la Shell energy holdings Australia Ltd si sono accordate per costituire una joint-venture al 50 per cento finalizzata all’acquisto dell’australiana Arrow Energy.

L’investimento da 3,3 miliardi di dollari ha consentito a Pechino di mettere le mani sui giacimenti di carbone della Arrow e della Shell nel Queensland, nonché su un progetto di estrazione di gas naturale sull’isola di Curtis. Meno fortunato è stato invece il primo tentativo della Cnpc in Canada. L’acquisizione del 50 per cento della proprietà di un enorme giacimento di gas dalla canadese Encana, proposto a giugno del 2010, è sfumato a febbraio, lasciando la società a bocca asciutta.

Un insuccesso che tuttavia non ha scoraggiato la compagnia, intenzionata a non rimanere indietro nella corsa all’accaparramento della sabbie bituminose dell’Alberta che si è scatenata tra i colossi petroliferi cinesi. La regione occidentale del Canada nasconde infatti nel proprio sottosuolo i più grandi depositi di greggio conosciuti al di fuori del Medio Oriente, e la concorrenza per il loro controllo è serrata.

Non a caso proprio pochi giorni fa la Sinopec, la più grande società di raffinazione della Cina, ha firmato un accordo da 2 miliardi di dollari per acquistare la totalità della canadese Daylight Energy. «Secondo le proiezioni quest’anno nel nostro Paese la richiesta di carburante aumenterà del 20 per cento», ho sottolineato Jiang. «Questo significa che il mercato degli idrocarburi è destinato a una rapida crescita. Per questo i nostri principali interessi si concentrano attualmente sui grandi giacimenti canadesi e sulle risorse di gas naturale australiane».

UN’IMPRESA DI SUCCESSO
«L’industria petrolifera e chimica della Cina ha mantenuto un forte tasso di crescita nel primo semestre dell’anno, con un valore della produzione in rialzo del 34,4 per cento e che raggiunge un nuovo record di 5.320 miliardi di yuan (825,8 miliardi di dollari)». I dati del ministero dell’Industria e della tecnologia cinese non lasciano adito ad alcun dubbio circa l’importanza che le scelte operate dalla Cnpc rivestono per una realtà in cui quella collegata al greggio rappresenta il 13,44 per cento della produzione industriale totale.

Per questo negli ultimi anni il peso della compagnia è andato crescendo non solo all’estero ma anche all’interno del Paese, aumentando esponenzialmente rispetto alle sue lontane origini nel 1949. Fu allora che il governo di Pechino creò un ministero ad hoc per la gestione dei combustibili industriali, dotandosi tre anni dopo di un dipartimento dedicato specificamente all’esplorazione petrolifera e alle miniere, il Bureau centrale per l’amministrazione del greggio.

Nel 1955 il ministero cambiò la sua denominazione in dicastero del Petrolio. A partire da quell’anno fino al 1969, vennero scoperti quattro giacimenti: nel Qinghai, nello Heilongjiang, nella baia di Bohai e nel bacino di Songliao. La Cnpc fu ufficialmente istituita il 17 settembre del 1988, quando la dirigenza cinese decise di sciogliere il ministero del Petrolio e sostituirlo con una società statale incaricata di gestire tutte le attività collegate all’oro nero.

In quel periodo videro la luce anche la Sinopec, gruppo petrolifero e petrolchimico controllato per il 75 per cento dal governo tramite la China petrochemical corporation (attualmente la più grande azienda cinese per fatturato) e la Cnooc, la China national offshore oil corporation. Nella suddivisione dei giacimenti che continuarono nel frattempo ad essere rinvenuti in Cina, alla Cnpc toccarono i giacimenti situati nel Nord e nelle regioni interne del Paese, tra cui quelli nel Sichuan, nello Xinjiang e nella Baia di Bohai, nonché la maggior raffineria della Repubblica popolare, quella di Dalian.

Il 1993 segnò l’inizio dell’attività all’estero da parte della compagnia. A un primo contratto di servizio sottoscritto con l’esecutivo peruviano per la gestione del giacimento di Talara, seguì poco dopo un accordo con il Sudan relativo alla riserva di Muglad. Nel giugno del 1997 la Cnpc acquistò il 60 per cento delle azioni della compagnia petrolifera Aktobe del Kazakistan e il mese successivo vinse una gara d’appalto per i giacimenti di Intercampo ed Est Caracoles in Venezuela.

L’anno successivo la società subì una ristrutturazione che portò a una netta separazione tra la parte responsabile dell’attività upstream (relativa cioè all’esplorazione) e quella downstream (che riguarda la raffinazione, la vendita e la distribuzione), secondo un modello organizzativo adottato da quasi tutti i principali gruppi petroliferi. Come parte della riorganizzazione fu costituita la consociata PetroChina, quotata sui mercati azionari di Hong Kong e New York e proprietaria della maggior parte delle attività cinesi dell’azienda madre.

Nei primi anni del 2000 la Cnpc aumentò consistentemente la propria presenza nel continente africano, firmando accordi con il Ciad, la Mauritania e la Guinea Equatoriale. Nel 2005 la Cnpc annunciò l’acquisto della sede della PetroKazakhstan nell’Alberta, in Canada. Un affare da oltre 4 miliardi di dollari, che rappresenta una della maggiori acquisizioni all’estero mai effettuate da una società cinese.

Ad oggi la China national petroleum company possiede riserve accertate per 3,7 miliardi di barili di greggio. Il suo coinvolgimento in più di trenta progetti internazionali di esplorazione e produzione (tra cui Australia, Azerbaijan, Canada, Indonesia, Iran, Iraq, Libia, Myanmar, Perù, Siria, Sudan, Thailandia, Turkmenistan e Venezuela) la rendono una delle più dinamiche e agguerrite compagnie petrolifere del pianeta.

INCIDENTI AMBIENTALI
Eppure, malgrado i numeri da capogiro e un’efficienza commerciale che farebbe invidia a Paperon de’ Paperoni, il mantello del successo che avvolge la Cnpc non è privo di macchie, larghe, scure ed oleose. Nell’ultimo lustro sono stati numerosi gli incidenti che l’hanno vista coinvolta. Primo tra tutti un’esplosione nell’impianto petrolchimico di Jilin nel 2005, in cui persero la vita sei persone e che portò a un’evacuazione di massa della zona e a un’enorme fuoriuscita di petrolio nel fiume Songhua.

Nel 2009, ancora, la rottura di un tratto dell’oleodotto che collega Lanzhou a Zhengzhou ha causato  la dispersione di 150mila litri di gasolio nelle acque del fiume Chishui, nello Shaanxi, affluente del Fiume Giallo. Infine, nel luglio dello scorso anno, le autorità cinesi sono state costrette a chiudere il porto di Xingang, a Dalian, per lo scoppio di due pipeline gestite dalla società. A farne le spese questa volta è stato il Mar Giallo, la cui superficie è stata ricoperta da 1.500 tonnellate di greggio, rendendo necessario l’avvio di un’operazione di ripulitura d’emergenza.

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra e per il settimanale Left-Avvenimenti