Beijing Web Consensus

In by Simone

In Cina la scuola sembra non finire mai: i presidenti delle 39 più importanti aziende che operano nell’Internet locale (oltre 500 milioni di utenti) hanno passato il week end a studiare. I professori, in questo caso, erano i solerti funzionari della Propaganda cinese. Dopo la riunione del Comitato Centrale dello scorso ottobre che ha sancito la necessità di una vasta azione di “sicurezza culturale”, i membri del Partito hanno voluto spiegare nel dettaglio alle aziende internet locali cosa realmente intendevano. Dall’incontro ne è uscita una comunicazione congiunta nella quale le aziende cinesi accettano i richiami del governo, impegnandosi a provvedere al controllo e all’armonizzazione dei contenuti offerti dalle proprie piattaforme. Dallo stato, al privato, la campagna per il controllo delle “dicerie” on line prosegue.

I capi delle aziende cinesi leader nel mondo dell’internet locale, si sono impegnati a censurare i contenuti on line che il partito comunista considera dannosi. Gli amministratori delegati delle 39 società più importanti del web locale hanno raggiunto un “consenso” che le vede impegnate a “rafforzare l’autocontrollo e la rigorosa autodisciplina”, come ha riportato l’agenzia ufficiale Xinhua ieri, domenica 6 novembre. “Essi – si legge nel comunicato – devono anche contenere con determinazione la tendenza a diffondere dicerie online, pornografia, frodi e altri illeciti su internet”. Il rapporto ha seguito una sessione di tre giorni di “formazione”, che ha visto la partecipazione di imprenditori di primo piano tra cui Jack Ma, fondatore e presidente del gruppo Alibaba, Robin Li, fondatore e CEO di Baidu, il motore di ricerca più grande della Cina, Pony Ma, fondatore e capo esecutivo di Tencent, che gestisce il più grande servizio di messaggeria istantanea del mondo, e Charles Chao, fondatore e amministratore delegato di Sina, che gestisce Weibo, la piattaforma di microblog leader del paese.

La notizia circa le pressioni del potere cinese sui contenuti on line, potrebbe innescare un’ulteriore inquietudine tra gli investitori che in Cina hanno puntato sulla rapida crescita del settore IT. La Cina ha più di 500 milioni di utenti Internet, secondo le statistiche del governo, più di qualsiasi altro paese al mondo. L’incontro è stato presieduto da Wang Chen, direttore dell’Ufficio Informazione del Consiglio di Stato, il braccio operativo della propaganda statale.

Il ministro dell’Industria e dell’Information Technology, Miao Wei, ha detto che “le aziende internet devono aumentare i loro investimenti nella sorveglianza on line”. “L’impegno da parte delle imprese private – hanno scritto i media locali – e di proprietà dello Stato va incontro agli sforzi del governo per stringere la morsa su internet, diventata una piattaforma che consente ormai ai cinesi di esprimere le loro opinioni e frustrazioni”. Alla fine del mese scorso, Pechino aveva promesso di rafforzare l’amministrazione di internet alla ricerca della promozione di contenuti accettabili per il partito al governo, secondo un comunicato uscito dalla riunione annuale del Comitato Centrale del Partito Comunista.

L’annuncio del vertice politico cinese era arrivato a seguito di vari avvertimenti, che avevano ampiamente dimostrato il nervosismo di Pechino riguardo l’esplosione dei microblog e il loro potenziale in termini di evitare censure e controlli. Il governo ha ripetutamente criticato i microblogs di irresponsabilità nel diffondere quelle che definisce “dicerie infondate”, anche se gli analisti ritengono come assai improbabile una decisione improvvisa che possa portare a chiudere quella che ormai viene considerata “una valvola importante per il monitoraggio degli umori della popolazione e un valido strumento per attenuare le pressioni sociali”.

C’è da considerare inoltre che un’eventuale chiusura dei microblog avrebbe un impatto importante sul business, con gli investitori, del resto, che hanno già preso in considerazione il crescente controllo ufficiale delle società sul web. “Sina e altri operatori di microblog – ha scritto la Xinhua – implementeranno il software per il monitoraggio dei contenuti e proveranno a bloccare e rimuovere i commenti ritenuti inaccettabili: verranno tenuti sotto controllo, in particolare, le discussione sulle proteste, sugli scandali e sui leader di partito”.

La stretta di questi ultimi giorni è il risultato di un percorso che ha origini lontane: “negli ultimi dieci anni – ha scritto il South China Morning Post – Pechino ha incoraggiato i media statali ad essere più competitivi e meno dipendenti dalle sovvenzioni statali: questo ha portato a programmi genuini, in grado di competere per accaparrarsi lettori o spettatori. Ma la tendenza a programmi e discussioni a ruota libera ha minato gli sforzi ufficiali per controllare l’opinione pubblica e le autorità si sono innervosite: i media che prima erano obbedienti, sono diventati pericolosi. Le autorità infatti hanno emesso anche regolamenti per rivedere i palinsesti televisivi, nel tentativo di spostare la programmazione verso trasmissioni considerate sane dal Partito”.

[Scritto per Lettera43]