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Biden in Asia: nessuno nomina Mosca. La Cina è il convitato di pietra

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

QUAD. Ultimo giorno del summit: il presidente Usa non riesce a strappare una condanna della Russia, e ribadisce il sostegno a Taiwan

Niente condanna della Russia e sfera commerciale offuscata. Resta la strategia di contenimento della Cina. Il summit del Quad, ultimo appuntamento dei 5 giorni di missione asiatica di Joe Biden, si conclude con qualche vaghezza e l’impegno all’approfondimento della cooperazione pratica di una piattaforma che non sembra ancora pronta a tramutarsi in un’alleanza formale o in una Nato asiatica come vorrebbe Washington e come teme Pechino.

BIDEN HA FATTO SAPERE di aver discusso col premier indiano Narendra Modi dell’invasione russa, ma nella dichiarazione finale Mosca non viene menzionata neppure una volta. Si parla del «tragico conflitto che imperversa in Ucraina» ma niente condanna unanime a Putin, segno delle cautele di Nuova Delhi e delle asimmetrie interne al Quad. Si parla invece di «denuclearizzazione della penisola coreana, crisi in Myanmar e terrorismo». E, sempre su spinta indiana, di un rafforzamento della «cooperazione pratica». Si ipotizzano investimenti per almeno 50 miliardi di dollari in assistenza umanitaria e in progetti infrastrutturali nella regione. Modi ha insistito anche su vaccini, connettività digitale e semiconduttori, nel tentativo di porsi al centro di una nuova architettura delle catene di approvvigionamento tech che escluda almeno parzialmente la Cina.

Occhio di riguardo per i paesi insulari del Pacifico meridionale, con la promessa di incrementare gli aiuti sanitari e la cooperazione in materia ambientale e climatica. Una mossa dettata dalla crescente influenza cinese nell’area, elemento che crea timori in particolare all’Australia del neo premier laburista Anthony Albanese. Pechino viene citata indirettamente quando si parla di «sfide all’ordine marittimo basato sulle regole» nei mari cinesi e quando ci si oppone a «cambiamenti dello status quo con l’uso della forza». Ma è nelle azioni che pare evidente il focus sulla Cina. Soprattutto con l’annunciato avvio di un sistema congiunto di osservazione satellitare terrestre applicato alla mitigazione dei disastri climatici e all’assistenza umanitaria ma che ha al centro il contrasto alla pesca illegale e «altre attività» marittime. Un tema caro a tanti paesi del Sud-Est asiatico, che però continua a dimostrare di non voler cedere alla prospettiva dello scontro tra blocchi. «L’Asia non ha bisogno di un equivalente della Nato», ha dichiarato il premier di Singapore, Lee Hsien Loong. I paesi Asean percepiscono il rischio di trovarsi prigionieri di logiche di contrapposizione tra potenze e hanno accolto con qualche dubbio l’Indo-Pacific Economic Framework.

PIÙ DISPONIBILI a seguire Washington sono apparsi la Corea del Sud di Yoon Suk-yeol e soprattutto il Giappone di Fumio Kishida, quest’ultimo anche sulla questione taiwanese. Dopo la terza (non) gaffe di Biden sull’impegno a difendere militarmente Taiwan in caso di invasione, la stessa Taipei s’interroga sui possibili scenari. Funzionari vicini al governo descrivono sentimenti contrapposti. Da una parte c’è chi percepisce la presa di posizione di Biden come un ulteriore segnale che forse è arrivato il momento di spingere sull’acceleratore per completare, sotto la presunta tutela statunitense, il distacco da una Repubblica Popolare distratta dall’impatto economico della strategia zero Covid e dal XX Congresso. La richiesta quasi unanime è però quella di dimostrare maggiore chiarezza anche nei fatti oltre che nelle parole (peraltro come sempre corrette dalla Casa bianca), per esempio attraverso una velocizzazione dell’invio di armi richieste da Taipei, spesso di tipo diverso rispetto a quelle che vorrebbe invece venderle il Pentagono. Dall’altra parte c’è chi invece ritiene che aumentino i rischi. La pensa così anche Bonnie Glaser: «Si rischia di provocare l’attacco che vorremmo dissuadere, perché Xi Jinping potrebbe sentirsi messo alle strette e potrebbe concludere di dover agire mentre la Cina ha ancora un vantaggio», ha detto a Politico la direttrice dell’Asia Program al German Marshall Fund degli Usa. Non impossibile che nelle prossime settimane ci sia un colloquio telefonico tra Biden e Xi, per tornare a dirsi di essere d’accordo di essere in disaccordo sul nodo taiwanese. Fino al prossimo test incrociato delle rispettive linee rosse.

[Pubblicato su il manifesto]