Belt and Road, la Cina mette in guardia Meloni da scelte «geopolitiche»

In Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

 Sul Global Times si elencano i risultati positivi dell’iniziativa. Per salvare l’etichetta l’uscita dalla Belt and Road non andrà annunciata in Usa

“Ci auguriamo che Giorgia Meloni abbia un atteggiamento sobrio e non si lasci trasportare dalla geopolitica”. L’auspicio è stato espresso dal Global Times, il tabloid nazionalista cinese, alla vigilia della visita della premier italiana negli Stati uniti. Nel mirino della Cina ci sono eventuali annunci sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta da cui più volte la leader di Fratelli d’Italia ha detto di voler uscire. Una certezza granitica in campagna elettorale diventata in realtà più soffusa una volta entrata a Palazzo Chigi, soprattutto in seguito al positivo incontro con Xi Jinping a margine del G20 di Bali.

Ma il dado è tratto, la seta sembra destinata a sgualcirsi. Nonostante gli avvertimenti cinesi. “La cooperazione pratica e i risultati visibili in ambito Belt and Road continuano ad aumentare e la narrativa secondo cui la cooperazione sarebbe futile è priva di fondamento” ha dichiarato sempre al Global Times l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide. Il diplomatico sostiene che dopo la firma del memorandum “il livello strategico dei rapporti bilaterali è aumentato, così come la posizione prioritaria dell’Italia nelle relazioni internazionali cinesi”. Pechino elenca gli ultimi risultati della cooperazione. A partire dal viaggio di prova della prima nave da crociera su larga scala costruita congiuntamente per quasi 5 miliardi di dollari, passando all’accordo da 3,2 miliardi siglato tra un’azienda cinese e la STMicroelectronics, compagnia di semiconduttori italo francese partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze.

Mao Ning, portavoce del ministero degli Affari Esteri, ha dichiarato che “è nell’interesse di entrambe le parti sfruttare ulteriormente il potenziale dell’accordo sulla Belt and Road”. Finora non si è pienamente espresso. Nel 2019 le esportazioni italiane sono persino calate. Per poi alzarsi nel 2020 e nell’ultimo biennio, passando dai 14,5 miliardi di dollari circa ai 18,5 miliardi. Ma nello stesso periodo è aumentato in maniera più netta l’export cinese verso l’Italia. Si è passati dai 34 miliardi di dollari del 2019 agli oltre 50 del 2022. Segnale che la bilancia commerciale che si voleva riequilibrare è ancora più sbilanciata. E proprio negli ultimi mesi il ritmo delle esportazioni italiane verso la seconda economia mondiale pare aumentato. Da Pechino fanno notare che fino a qui ci si è messa di mezzo prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina. Lasciando implicita la ritrosia italiana, che aveva mostrato i primi segni su telecomunicazioni e spazio già col Conte bis. Per poi ampliarsi a suon di golden power col governo Draghi. Con Meloni, lo scetticismo sembra suo malgrado sfociare sul piano strategico per la necessità di mostrare affidabilità agli Usa.

Volenti o nolenti, l’ormai scontata uscita dall’accordo sarà letta da Pechino come una scelta politica. Così come era accaduto al momento della firma. E per questo l’Italia si espone a possibili ripercussioni e ritorsioni. Diventa allora decisivo il momento in cui questa scelta verrà comunicata. Se ciò avvenisse alla Casa bianca, la Cina lo vivrebbe come un affronto personale. Se invece si attendesse un confronto diretto le turbolenze potrebbero essere contenute. In tal senso potrebbe essere letta la probabile trasferta cinese di settembre del ministro degli Esteri Antonio Tajani. L’etichetta della Via della Seta andrà anche tolta per mostrarsi affidabili a Washington, ma la Cina vuole almeno che venga garantita l’etichetta istituzionale.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]