Nel luglio 2015, Xie era stato uno degli oltre 200 avvocati e difensori dei diritti umani vittime della cosiddetta “repressione del 709”, una campagna di arresti che ha coinciso con l’inizio di una riforma del sistema giudiziario culminata due anni fa nel “Piano di costruzione di una Cina stato di diritto (2020-2025)”.In collaborazione con Gariwo Onlus.
È quasi una regola non scritta: in Cina, ricorrenze, vertici politici ed eventi internazionali sono quasi sempre preceduti da detenzioni e intimidazioni ai danni di attivisti e dissidenti. Le Olimpiadi invernali di Pechino (cominciate il 4 febbraio) non fanno eccezione. Lo scorso mese, le autorità cinesi hanno formalizzato l’arresto di due avvocati per la difesa dei diritti umani: Xie Yang,49 anni, e Yang Maodong, 55. Per entrambi l’accusa è di “incitamento alla sovversione del potere statale”.
La detenzione di Xie è particolarmente rilevante. Non solo perché innescata dal tentativo di prestare assistenza a Li Tiantian, giovane insegnante internata in un centro psichiatrico lo scorso dicembre dopo aver velatamente messo in discussione il bilancio delle vittime del massacro di Nanchino, evento che Pechino considera tuttora una macchia indelebile nelle relazioni con il Giappone. Quello di Xie è un nome ben noto per chi segue le tristi vicende della società civile cinese: classe 1972, ha lavorato a lungo per lo studio legale Hunan Gangwei difendendo praticanti cristiani e numerosi attivisti, alcuni dei quali coinvolti nelle proteste pro-democrazia di Hong Kong.
Nel luglio 2015, Xie è stato uno degli oltre 200 avvocati e difensori dei diritti umani vittime della cosiddetta “repressione del 709”, una campagna di arresti che ha coinciso con l’inizio di una riforma del sistema giudiziario culminata due anni fa nel “Piano di costruzione di una Cina stato di diritto (2020-2025)”. Scopo conclamato del restyling: esercitare “il controllo e la supervisione efficaci del funzionamento del potere, pieno rispetto e protezione dei legittimi diritti e interessi delle persone”. In concreto, l’obiettivo è quello di estendere la supervisione del Partito/Stato ad ogni livello del sistema, sottoponendo gli organi giudiziari a un maggiore controllo politico. Un punto ribadito con la formulazione del “Pensiero di Xi Jinping sullo stato di diritto”, definito da Chen Yixin, segretario generale della Commissione centrale per gli affari politici e giuridici, “l’ultimo risultato dell’intreccio tra la teoria marxista e lo stato di diritto nella realtà cinese.”
Prelevato dalla sua stanza d’albergo l’11 luglio di sei anni fa, l’Xie è stato posto sotto “sorveglianza residenziale” in un luogo non identificato, senza l’assistenza di un legale né la possibilità di contattare la propria famiglia. L’avvocato è stato formalmente incriminato l’11 gennaio 2017 con l’accusa di “incitamento alla sovversione del potere statale” e processato quattro mesi più tardi. Durante i pochi incontri con gli avvocati, Xie ha denunciato numerosi atti di tortura e maltrattamenti, tra cui molestie e minacce verbali, percosse da parte delle guardie e dei compagni di reclusione. Accuse che ha poi ritrattato in cambio del rilascio e che la Procura del popolo della provincia dello Hunan ha respinto al termine di una controversa indagine.
Negli ultimi sei anni Xie ha alternato periodi di detenzione a periodi di sorveglianza domiciliare, senza mai riacquistare pienamente la propria libertà. La sua storia riassume in maniera esemplare la nuova strategia di Pechino contro gli avvocati. Come spiega su The Diplomat William Nee, coordinatore di China Human Right – oltre all’utilizzo delle manette – il governo cinese ricorre sempre più spesso a metodi obliqui: “la prima regola della repressione è non parlare mai della repressione”. Lo sa bene Chang Weiping, che è stato sequestrato dalla sua abitazione il 22 ottobre 2020, pochi giorni dopo aver pubblicato un video su YouTube in cui descriveva le torture patite durante la detenzione. Qualcosa di simile è accaduto all’avvocato Jiang Tianyong, arrestato nel 2016 per aver diffuso la notizia delle violenze subite da Xie. Un’altra tecnica sempre più utilizzata consiste nella sospensione o nella revoca della licenza necessaria a praticare la professione, ormai sottoposta all’obbligo di rinnovo più frequentemente che in passato. Lo scorso anno lo studio legale dello Henan Guidao è stato costretto a chiudere dopo aver prestato assistenza a uno dei 12 attivisti di Hong Kong fermati dalla guardia costiera cinese mentre cercavano di raggiungere Taiwan. Lo stesso Xie è stato interdetto dall’esercizio della professione due anni fa.
Mai veramente conclusa, la campagna contro gli avvocati ha acquisito nuovo slancio nel dicembre 2019, quando alcuni dissidenti e giuristi hanno preso parte a un evento privato sulla democrazia nella città di Xiamen. Con ogni probabilità nel prossimo mese il giro di vite contro attivisti e società civile entrerà in una fase di pausa. Ma una volta terminati i Giochi, quando l’attenzione internazionale volgerà altrove e il Partito serrerà i ranghi in previsione del XX Congresso, la lista di arresti e incriminazioni ricomincerà a salire. Un nome circola da tempo: quello di Xu Zhiyong, avvocato nonché fondatore del Movimento dei nuovi cittadini, arrestato per l’ennesima volta nel febbraio 2020 per aver partecipato al meeting di Xiamen. Uno dei legali di Xu, Liang Xiaojun, si è visto ritirare la licenza il 16 dicembre scorso.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su Gariwo]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.