Asiatica: nove giorni di scoperta

In by Simone

Nove giorni per scoprire il cinema asiatico. È questo l’Asiaticafilmmediale, in programma dal 12 al 20 novembre a  Roma, giunto alla sua XI edizione.

Quest’anno gli occhi del pubblico saranno rivolti alla Cina. Un’unica Cina, hanno spiegato gli organizzatori, perché almeno nell’arte sembrano cadere le divisioni politiche che hanno visto contrapposte per sessant’anni la Repubblica popolare, Taiwan, Hong Kong.

Come scrive l’economista indiano Prem Shankar Jha – uno degli ospiti del festival – «pochi eventi economici della storia hanno provocato un trauma nell’ordine politico ed economico internazionale quanto l’avanza della Cina». Il festival partira però da prima del miracolo economico: uno dei temi di questa edizione sarà infatti la Rivoluzione Culturale, «una zona negletta della storia cinese, rimossa dalla memoria collettiva», ma allo stesso tempo un periodo storico che ha segnato il secolo scorso e che offre spunti per una lettura del presente.

Al centro di questa analisi ci sarà  il rapporto tra cinema e propaganda. Con uno spunto di riflessione sulla qualità dei film soprattutto quelli legati alla vituperata Banda dei Quattro guidata dalla moglie di Mao Zedong, l’attrice Jiang Qing. Sebbene nei dieci anni di fanatismo rivoluzionario i cineasti furono tra i primi indicati dalle guardie rosse come destri e nemici del popolo, allo stesso tempo furono messi nelle condizioni di lavorare nel migliore dei modi possibili.

Il focus del festival sarà invece dedicato a Taiwan. Curato dalla produttrice Peggy Chao, l’appuntamento sarà un modo per far incotrare due generazioni di registi. La prima è quella esplosa tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, rappresentata da autori di fama internazionale come Hou Hsiao Hsien e Edward Yang, la seconda invece emersa negli utlimi anni, anche grazie al sostegno dei governo che dopo anni di disattenzione è tornato a occuparsi di un cinema taiwanse già in fase di declino, schiacciato dalle produzioni hollywoodiane che occupavano oltre il 90 per cento della programmazione nelle sale. Abbandonati i temi più spiccatamente politici, ha speigato Chao, i nuovi registi hanno iniziato a descrivere le debolezze della società taiwnese e la vita di tutti i giorni.

Il festival non sarà tuttavia soltanto Cina. La carrellata di 35 tra film e documentari toccherà diversi Paesi del continente: dall’Iran, di cui tra le altre si affronterà una realtà poco conosciuta, come quella della classe operaia, all’India, alle Filippine, alla Thailandia, al Vietnam. E poi ancora Afghanistan e Iraq. Opere scelte senza un filo conduttore ben preciso, forse a voler rappresentare un senso disagio per come si è sviluppata la globalizzazione.