Asia-Files: Silambam, l’arte marziale che resiste a Penang, Malaysia

In by Simone

Fortunatamente, al mondo ci sono ancora cose che sfuggono alla globalizzazione e all’appiattimento. A volte per lo scarso interesse che generano, ma più spesso per la propria purezza anti commerciale.

Questo è quel che ho pensato quando, circa un anno fa, accettai curioso l’invito di Antonio Graceffo, studioso italo-americano di arti marziali che da un decennio ricerca, pratica e documenta le varie forme di combattimento ancora presenti nel sudest asiatico. Ci ritroviamo con un piccolo gruppo di indiani Tamil locali nella fresca ombra gettata dalle palme del Youth Park: tra tutti spicca la figura del maestro Remyswamy Anbananthan, totalmente avvolto da un candido kurta pijama, la testa avvolta in un foulard, sempre immacolato. Gli altri indossano la divisa del gruppo Penang Silambam, pantaloni di lino bianco svolazzanti, e una divisa gialla dalle bordature rosse.

Tengono in mano dei bastoni di legno che quasi li superano in altezza: questa sarà la mia introduzione ad un’arte (ed è proprio il caso di chiamarla tale) che ha migliorato la mia vita sull’isola che fu di Francis Light. Una doverosa introduzione storica è necessaria: nei primi decenni del Novecento, la Malaysia, al tempo ancora chiamata Malaya e comprendente l’odierna Singapore tra i suoi territori, era uno dei nuovi imperi britannici, e necessitava di manodopera. Fu dunque necessario “importare” della forza lavoro da altre parti dell’Impero.

L’India stava dietro l’angolo, e fu così che la Malaya vide il progressivo arrivo di molti immigrati indiani, provenienti dal caldo, arido e profondamente religioso stato del Tamil Nadu. Tante cose vennero introdotte dall’India: religione, spezie, credenze, un nuovo gruppo etnico… e tante altre cose meno conosciute, ma altrettanto importanti, come le arti nascoste. Silambam fu una di queste importazioni: un’arte di combattimento col bastone che deriva dal periodo Dravidico dell’India più antica, quando le battaglie si vincevano ancora col contatto fisico, l’attacco frontale e continuo. Arriva in Malaya come una forma di difesa personale, ma anche di orgoglio nazionale e “divertimento“, tramandata di generazione in generazione dalle famiglie Tamil sbarcate nella nuova terra promessa.

Fu così che il giovane Anbananthan crebbe osservando la silambam praticata dalla sua e da altre famiglie, sia come sport che come svago. Ma il suo vero interesse era rivolto verso uno speciale stile di combattimento, la Silambam Nillaikalakki, diverso dallo stile tradizionale largamente praticato dai suoi amici e parenti. Portato dalle verdi colline del Kerala attraverso i Ghat occidentali, e poi giù attraverso le pianure aride del Tamil Nadu, per poi passare attraverso la Baia del Bengala sino in Malaysia, questo stile di combattimento col bastone si era conservato solamente nella pratica del guru Asan Mariapkaiam. Un uomo duro, che rifiuta inizialmente tutte le preghiere del giovane Anbananthan, negandogli ogni richiesta di insegnamento. A differenza della silambam tradizionale, che può essere imparata facilmente nel corso di un paio d’anni, la Nillaikalakki ha una struttura ben più articolata, e richiede in media sette anni di pratica per raggiungere il livello di maestro. Un periodo troppo lungo per molti, e una vera frustrazione per Asan Mariapkaiam, unica vestigia vivente di un’arte che sarebbe altrimenti andata perduta.

Anbananthan non si dà per vinto, e dopo un paio d’anni di preghiere e tentativi riesce a strappare il primo segreto al Guru Mariapkaiam: l’insegnamento dell’ Ottai Vicchi, il movimento circolare del bastone attorno al corpo che è il primo e fondamentale elemento di questa pratica così nascosta e magica. Dopo tre mesi di allenamento quotidiano, continuamente praticando la stessa posizione, il guru ritorna sorprendendo Anbananthan alle spalle. Da quel momento in poi, ascoltando e praticando gli insegnamenti, per il giovane comincia un percorso di formazione che per quarant’anni trasformerà il suo corpo in una agile, precisa, incontrollabile arma. Oggi, molti anni dopo, Silambam Nillaikalakki sopravvive tramite gli insegnamenti del guru Anbananthan e si è presevata in un piccolo, crescente gruppo di indiani che praticano e insegnano sull’isola di Penang, in Malaysia. Il retaggio coloniale che sopravvive negli edifici decadenti di Georgetow non si è portato via un’arte di combattimento che esiste in India da prima che i re Moghul consegnassero splendore al sud del sub-continente. Non c’è niente di sfarzoso in Silambam Nillaikalakki: ci si allena quando cala il sole tropicale nel retro di una sala multifunzionale, più precisamente in una spianata di cemento che funge da tetto e area esterna.

Non esiste una divisa, se non l’abbigliamento che più fa sentire comodi. Ci si allena a piedi nudi, e durante i primi mesi fa male camminare avanti e indietro sul cemento grezzo e tagliente. Prima di cominciare, ci si inginocchia, si invoca e si prega Madre Natura, le mani si uniscono davanti alla bocca e si pronuncia Om Shakti mentre il sole muore alle spalle e il cielo assume i colori di un arcobaleno rossastro. Non c’è nulla da pagare: i soldi non sono importanti, né bene accetti, a meno che non si voglia donare qualcosa per fare beneficenza alle molte famiglie indiane povere che il maestro Anbananthan aiuta regolarmente. Si cerca di insegnare qualcosa di antico e pieno di valore a una gioventù che sempre più spesso finisce sulla strada, e dimentica gli antichi valori sacri di una cultura indiana che sopravvive praticamente inalterata nell’isola. Silambam Nillaikalakki non è un’arte violenta, e non promuove il combattimento, ma l’esercizio fisico e il raggiungimento della salute tramite la rigenerazione del corpo. I movimenti ritmici del bastone e, nei livelli successivi, l’uso contemporaneo degli arti inferiori sono in grado di attivare la circolazione sanguigna in modo totale e rigenerante.

Lo scopo è quello di preparare il corpo a diventare tutt’uno con l’arma, e a usarla per incrementare la forza dei propri colpi: anche un bambino può imparare questa particolare arte di autodifesa. Nelle parole di Anbananthan, questa arte è indicata per chiunque, dai bambini di cinque anni agli uomini di ottanta. I movimenti somigliano a una danza: fendenti circolari che impressionano per la fluidità di movimento, e lasciano a bocca aperta quando si trasformano in veri e propri colpi. Creata sul campo di battaglia migliaia di anni fa, Silambam Nillaikalakki è la concentrazione di decine di movimenti coordinati tra arti inferiori e superiori, sguardo e rotazioni circolari del bastone attorno al corpo, in maniera tale da rendere il guerriero sempre immune da altri attacchi su ogni lato, e contemporaneamente pronto a sorprendere l’avversario trasformando un gesto rotatorio in un colpo mortale. Questa arte marziale promuove l’indipendenza dell’individuo, soprattutto nell’insegnamento: è dovere dello studente la pratica continua, senza che il maestro intervenga, se non a correggere la postura di tanto in tanto. «Non potrei salire su una pedana e insegnare questa arte a decine, magari centinaia di studenti, invitandoli a seguire i miei movimenti. Sarebbe innaturale», mi dice il maestro Anbananthan con quei suoi occhi troppo profondi e vispi per essere quelli di un sessantenne.

«Gli studenti di Silambam Nillaikalakki sono come dei frutti, e vanno lasciati sull’albero a maturare da soli, col tempo… io non posso far altro che illustrare la via». Questa arte serve a preparare lo studente a migliorare la propria autostima tramite il rispetto dell’altro, di modo che in futuro «davanti a qualsiasi problema in combattimento o nella vita, lui sarà fermo e forte come una montagna», continua il maestro. È comunque interessante notare che tale arte marziale, patrimonio culturale di uno dei tre maggiori gruppi etnici presenti in Malaysia, non sia ancora stata ufficialmente riconosciuta dall’Heritage Trust di Penang, eletta a Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2007 assieme a Malacca. Il gruppo Penang Silambam ha partecipato ad alcune manifestazioni culturali, prima fra tutte l’Heritage Day che si tiene annualmente il 7 di luglio, ma un reale riconoscimento ancora manca. Non è sicuro se questo derivi dal fatto che, come sempre succede, l’etnia indiana in Malaysia sia considerata la meno importante, se le idee portate avanti dai maestri di Silambam Nillaikalakki siano mal viste dalla maggioranza Malay e Cinese, o se semplicemente non ci sia ancora stato un concreto interesse per conservare questa vestigia culturale.

Lungi dall’essere un nuovo Falun Gong in versione malaysiana, la Silambam Nillaikalakki soffre comunque di una ingiusta ghettizzazione, che si spera lentamente possa smettere di esistere, elevando questa arte al livello che merita. Ed è certo grazie al maestro Anbananthan se molti giovani indiani hanno potuto imparare e preservare un’arte quasi morente, seguendo uno stile di vita rigoroso e naturale per i Tamil locali, ed evitando di finire vittime della perdizione di strada che, tradotta nel contesto Indo-malesiano, significa violenza, corse in moto e microcriminalità legata allo spaccio di droghe leggere totalmente illegali, e che possono portare alla pena di morte.

VIDEO
Per chi vuole saperne di più: di seguito i link a due video episodi di Martial Arts Odissey realizzati da Antonio Graceffo:

part 1 –http://www.youtube.com/watch?v=SH_OnA7e3JU

part 2 –http://www.youtube.com/watch?v=sG7zJZWvuQk

Per chi fosse interessato ad approfondire o direttamente venire a Penang per studiare Silambam Nillaikalakki, è possibile contattare l’Asan R. Saravanan scrivendo a rsaran05(at)yahoo.com. Per chi invece volesse tentare di studiare in Europa, e più precisamente a Ginevra in Svizzera, è necessario contattare Denis Brunet tramite il sito www.silambam.com

* Marco Ferrarese ha suonato per 10 anni nei The Nerds Rock Inferno, una delle poche punk rock bands italiane capaci di infiammare i palchi di Europa e Stati Uniti. Dal 2007, incuriosito dall’Asia, si trasferisce in oriente. Ha vissuto in Europa, Cina, Stati Uniti ed Australia, e viaggiato in circa 40 paesi. Al momento vive, scrive e lavora a Penang, Malesia. Il suo sito è www.monkeyrockworld.com