Asia-Files: A Taiwan si riflette sulla pena di morte

In by Simone

Mercoledì scorso, il Dui Hua Human Rights Journal ha pubblicato un interessante report sulla situazione della pena di morte in Asia. L’analisi fatta dal periodico trae spunto dal dibattito in corso a Taiwan sulla pena capitale, una polemica che potrebbe determinare una svolta dell’opinione pubblica non solo tra i taiwanesi ma anche nei paesi asiatici vicini, inclusa la Cina.

A riaccendere la controversia sono stati due gaffe fatte dal governo di Ma Ying-jeou. A gennaio, il ministro della difesa fu infatti costretto a scusarsi pubblicamente per l’esecuzione senza giusta causa avvenuta nel 1997 di un soldato accusato per omicidio di minore. Lo scorso marzo, il governo ha deciso di mandare alla pena di morte cinque prigionieri, senza alcuna notifica alle famiglie, fatto accaduto già una volta, nel 2010. Le esecuzioni di marzo hanno provocato una seria condanna da parte dell’ Unione Europea e di diversi gruppi anti-pena capitale.

Tra proteste e dibattiti, Ma Ying-jeou ha risposto con un tono di sfida alle critiche ricevute, annunciando alcune settimane fa che Taiwan è nel processo di diminuire il ricorso alla pena capitale tramite la sostituzione di tale misura con delle sentenze discrezionali. Gli attuali 40 detenuti nel braccio della morte, ha aggiunto Ma, saranno comunque giustiziati secondo mandato di legge. Nonostante il 70% della popolazione Taiwanese sia a favore della pena capitale, il governo di Taipei ha optato negli ultimi anni per altri tipi di ricorsi legislativi, sia sotto l’ex presidente Chen Shui-bian sia con il passaggio al governo Ma Ying-jeou e al ministro della giustizia Wang Ching-feng, in carica tra il 2008 ed il 2010, nota oppositrice della pena di morte.

Fino allo scorso anno, l’ultima esecuzione a Taipei era datata al 2005. Nel marzo del 2010, la pro-abolizionista Wang fu però costretta a dimettersi, quando esponenti conservatori del KMT obiettarono al suo rifiuto di acconsentire ad esecuzioni capitali. Da allora, Taiwan ha condannato alla pena di morte 10 prigionieri. La moratoria di quattro anni precedentemente applicata alla pena capitale è stata dismessa, e il nuovo ministro della giustizia Tseng Yung-fu è più che mai determinato a portare avanti il numero di esecuzioni. Il report di Dui Hua sostiene però che l’alto profilo dell’ apologia di gennaio e la condanna delle esecuzioni avvenute a marzo potrebbe influenzare la politica di Cina, Giappone e Corea del Sud.

“A parte per alcune ampiamente criticate esecuzioni in Cina, nessuna (esecuzione) in quella parte del mondo è stata condannata quanto quelle in Taiwan” suggerisce la pubblicazione , e senza dubbio il contestato processo politico di Taiwan servirà a mantenere vivo un sano dibattito pubblico, a Taiwan e, possibilmente, nel resto dell’Asia. Cina, Corea e Giappone hanno già intrapreso il tentativo di usare la pena capitale con più “attenzione”, sebbene a volte in modo più simbolico che effettivo. Lo scorso febbraio, la commissione per il Congresso Nazionale del Popolo cinese ha approvato una serie di cambiamenti sulla legge criminale che prevedono l’ esclusione di 13 crimini su 68 dall’ eligibilità per la pena capitale. In Corea, la ridiscussione di cosa è considerato offesa capitale è ancora agli inizi, ma è presente nel dibattito politico del paese.

[Nella foto, il memorial Chang Kai Shek, a Taipei foto di China-Files]