Giappone: giornalismo d’emergenza, la storia dell’Ishinomaki Hibi Shimbun

In by Simone

Anche se l’«Ishinomaki Hibi Shimbun» è soltanto un piccolo quotidiano locale giapponese i suoi giornalisti verranno ricordati a lungo per l’abnegazione e lo spirito di servizio verso la loro comunità. Ishinomaki, prefettura di Miyagi, è stata una delle città più duramente colpite dallo tsunami.

La ripresa procede ancora tra molte difficoltà, anche perché il fenomeno delle alte maree costituisce un ostacolo enorme alla ricostruzione. Settantatré chilometri quadri di territorio sono finiti sott’acqua al momento del disastro e alcune parti della città sono tuttora sotto al livello del mare per più di un metro. Ad oggi il numero di morti e dispersi ammonta a 5000. Eppure la città può contare sui suoi giornalisti. In nessun momento hanno smesso di lavorare, a maggior ragione nell’emergenza.

A volte quel repertorio di attributi associati al buon giornalismo esce dalla dimensione retorica e si fa pratica concreta. Parlare dei numi tutelari Woodward e Bernstein o delle suole consumate delle scarpe diventa allora un atto legittimo, non un’appropriazione capziosa. Il direttore dell’«Ishinomaki Hibi Shimbun» si chiama Hiroyuki Takeuchi. È figlio di un tassista. Suo padre, confida in un’intervista al «Los Angeles Times», lo criticava sempre, dicendo che era troppo passivo per fare il giornalista. Eppure, pochi minuti dopo l’onda, Takeuchi era nel suo ufficio a stilare un mesto elenco di ciò che restava di utilizzabile: quasi nulla.

E a stretto giro prendeva la decisione di pubblicare comunque il giornale. Come? Con un sistema artigianale: trascrivendo a mano con i pennarelli le notizie su fogli di formato gigante da appendere nei centri di soccorso. Racconta Takeuchi che la decisione di andare avanti fu presa nei giorni subito successivi allo tsunami, dopo una rapida riunione con l’editore, Koichi Omi. Perché, dice Takeuchi, “chi ha sofferto una simile tragedia ha bisogno di cibo, di acqua, ma anche di informazioni”. Così dal 13 marzo il giornale – trasformatosi in tazebao – compariva nei luoghi ancora frequentati della città. La giornata di lavoro era così organizzata: tre membri dello staff seguivano ciò che accadeva nei centri di evacuazione, un altro si avventurava a piedi per la città a recuperare i loro appunti, Takeuchi metteva insieme gli articoli e li dettava a Omi per la trascrizione a mano. Hanno lavorato così, usando le torce e con i cappotti addosso per ripararsi dal freddo, per sei giorni, fino al 18 marzo.

La tiratura del giornale è crollata vertiginosamente da 14 mila a sei copie, ma i cittadini di Ishinomaki non sono stati lasciati soli. In questi poster vergati a mano le notizie della prima ora: l’arrivo dei soccorsi, la lista dei morti già identificati, gli atti di sciacallaggio di una comunità allo stremo. Ma anche, in linea con quella caparbietà tutta giapponese di ripartire, di non darsi per vinti, storie di speranza, di ottimismo. Una testimonianza destinata a durare: infatti, grazie a un articolo sul «Washington Post», il Newseum di Washington ha deciso di acquisire le copie formato poster da esporre nella sua collezione permanente.

La curatrice della collezione, Carrie Christoffersen, ha così spiegato la scelta: “Senza il supporto di nessuno dei benefici o progressi della moderna tecnologia, e affrontando enormi difficoltà di carattere personale, questi giornalisti si sono distinti nell’impegno di fornire informazioni cruciali per la loro comunità, e tutto questo solo usando carta e penna”. Niente Twitter, Facebook o Internet: quasi una rivincita della semplicità nel paese più tecnologico del mondo. E, soprattutto, una grande lezione: si può sempre fare giornalismo, a prescindere dai mezzi.

* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello «Yomiuri Shimbun», il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).