Asia-Files: Corrieri della droga in gonnella: lo strano caso malesiano

In Uncategorized by Simone

Erano altri i motivi della visita del premier cinese Wen Jiabao in Malaysia lo scorso 27 e 28 aprile, sebbene il crescente fenomeno del traffico di droga che lega i due paesi abbia superato i pochi casi isolati e raggiunto ormai le dimensioni di un vero e proprio problema internazionale.

Il ministro degli esteri Datuk Seri Anifah Aman ha affermato che ci sono attualmente 72 cittadini malesi detenuti in Cina per traffico di droga: 40 casi nel Guangdong, dei quali 33 saranno condannati e 7 ancora sotto inchiesta, 18 ad Hong Kong (13 saranno condannati), 10 a Shanghai e 3 a Macao. Dei circa 1900 malaysiani detenuti all’estero, prevalentemente in Cina, Giappone o America Latina, circa la metà sono stati coinvolti in traffico di droga.

La domanda che sorge spontanea, e non solo al ministro Serih Anifah Aman, è perché così tanti cittadini malesi, e soprattutto giovanissime donne, acconsentano a diventare corrieri della droga e trafficare stupefacenti tra due nazioni che riguardo a tali reati garantiscono una perentoria condanna a morte. Una risposta è stata data dal vice ministro degli esteri Datuk Richard Riot Jaem: a suo avviso, alla radice del problema ci sono principalmente due mali, ovvero gli africani e Facebook. “Queste donne vengono prima sedotte tramite Facebook, ricevendo promesse di viaggi gratuiti all’estero e anche offerte in denaro per le proprie piccole spese. Ma è particolarmente assurdo pensare a come queste donne possano venir facilmente persuase a diventare dei corrieri della droga!”, ha affermato Jaem al quotidiano malese The Star.

Quello che sembra un’assurda barzelletta senza troppo gusto è invece in Malaysia una realtà sconcertante: l’ultimo caso ha coinvolto una studentessa ventiduenne di etnia Iban domiciliata a Kuala Lumpur, ma proveniente da Betong, nel Sarawak, Borneo malaysiano. La ragazza, dopo aver conosciuto su Facebook un tale Chimezie Michael, africano di non chiara provenienza geografica, si è vista offrire un viaggio tutto pagato a Shenzhen, Cina.

Questo Michael, a quanto pare, è stato capace di convincere in maniera telematica la ragazza a inghiottire ben cento capsule contenenti un totale di circa 700 grammi di eroina. L’11 marzo, appena sbarcata a Shenzhen, la ragazza è stata bloccata dagli agenti della narcotici cinese che hanno individuato gli ovuli nascosti nel suo stomaco grazie a un controllo ai raggi X. A quanto pare, per questa prodezza alla ragazza era stata offerta la misera somma di 5.000 ringgit (circa 1.250 euro); non si capisce bene né perché né come abbia potuto accettare un simile rischio. Undicesimo cittadino malaysiano arrestato nel solo Guangdong per reati legati al traffico di droga negli ultimi tre mesi, la ragazza Iban non è la sola, ma è parte di una lista di ingenue ragazze che vengono circuite on-line da abili “prìncipi africani”.

In aprile, una donna di 56 anni perde i sensi su un volo di ritorno con destinazione Malaysia e, dopo l’atterraggio, viene immediatamente ricoverata per accertamenti all’ospedale di Putrajaya, nei pressi di Kuala Lumpur. Dopo cinque giorni di coma e cure, l’ignaro staff ospedaliero scopre tre capsule piene di eroina nello stomaco della donna, individuate come la causa della perdita dei sensi durante il volo. Se una delle capsule si fosse danneggiata ulteriormente, la donna sarebbe certamente morta in preda agli spasmi di un’agonizzante overdose.

E’ innegabile una fortissima presenza di africani in Malaysia, soprattutto tra la popolazione studentesca internazionale, che arriva da tutto il Medio oriente e da parte dell’Africa centrale. Se da un lato non è possibile accusare tutti gli studenti internazionali di “corruzione” della gioventù malese, è certo che altri episodi simili con protagonisti studenti africani dai doppi fini hanno costellato la cronaca malese degli ultimi anni. Ed è soprattutto grazie ad internet e alle nuove tecnologie che molte ragazze sono state truffate, derubate o “costrette” con dolci parole e invitanti promesse a versare somme di denaro su conti bancari stranieri. Da qui a diventare corrieri della droga, il passo è breve. Riot Jaem, comunque, è lungi dall’avanzare ipotesi razziste e si è difeso dicendo che “non tutto quel che viene dall’Africa è malvagio. Sono le nostre donne arrestate all’estero che si sono associate con la parte marcia dell’Africa?”.

Teoricamente, le ragazze vengono approcciate via Facebook, che in Malaysia incolla allo schermo del computer la maggioranza della popolazione per una media di nove ore al giorno, rendendo la gioventù (e non solo) malese facile preda di questi pirati telematici. La prospettiva di viaggi-tutto-pagato in mete esotiche, prime fra tutte la Cina, e promesse di amori, matrimoni e ricchezze africane sono il secondo passo della pericolosa macchinazione: le ragazze vengono invitate a viaggiare ed istruite ad incontrare “amici” che faranno loro da guide turistiche nel paese straniero. In molti casi, questi “amici” sono stati individuati in altri africani residenti nei paesi di destinazione. Se le ragazze non vengono convinte ad inghiottire dosi di stupefacenti, molte volte la sorpresa arriva in dogana o a destinazione, quando le vittime si trovano circondate da agenti che le accusano di aver trasportato droga nei propri bagagli. Le ragazze, ignare di tutto, non realizzano che quegli “amici” hanno appesantito i loro bagagli con un carico letale.

A questo punto, nonostante gli interventi delle rappresentanze consolari malesi in Cina e negli altri paesi esteri, raramente per le ragazze si profila un roseo futuro. “Sei persone sono già state condannate a morte in Cina. E, dal 2007, circa 30 cittadini malesi sono detenuti in vari bracci della morte all’estero”, ha aggiunto Riot Jaem. Se da un lato questa situazione è indice di una grande, fanciullesca inadeguatezza ai tempi moderni, dall’altro evidenzia come la popolazione malese sia una delle più soggette al rischio di malfattori informatici e non. Il ministro Riot Jaem ha commentato che gli utenti malesi di Facebook e Twitter dovrebbero stare attenti a non rivelare i propri dati personali, affermando inoltre che le donne malesi dovrebbero ignorare le moine telematiche e le dolci parole di perfetti sconosciuti.

* Marco Ferrarese ha suonato per 10 anni nei The Nerds Rock Inferno, una delle poche punk rock bands italiane capaci di infiammare i palchi di Europa e Stati Uniti. Dal 2007, incuriosito dall’Asia, si trasferisce in oriente. Ha vissuto in Europa, Cina, Stati Uniti ed Australia, e viaggiato in circa 40 paesi. Al momento vive, scrive e lavora a Penang, Malesia. Il suo sito è www.monkeyrockworld.com