xi jinping vladimir putin

Amici con limiti. La storia ondivaga dei rapporti tra Pechino e Mosca

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Il saggio inedito del docente di relazioni internazionali Shi Yinhong, già consulente del consiglio di stato cinese: «La Russia nella strategia cinese»

Complicazioni e fluttuazioni. Sono due parole utilizzate da Shi Yinhong nel raccontare i rapporti tra Cina e Russia. Shi è professore emerito di relazioni internazionali presso la prestigiosa Università Renmin di Pechino, erede della scuola Shanbei, fondata dal Partito comunista all’epoca della “guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese”, quando in Cina continentale c’era ancora il Guomindang. Già consulente del consiglio di stato, il supremo organo amministrativo della Repubblica popolare, Shi dice che “la Russia è sempre stata un fattore importante nella strategia nazionale cinese” e che “poco dopo l’annessione russa della Crimea la cooperazione strategico-militare Cina-Russia si era già intensificata insieme all’antagonismo con gli Stati uniti”. È l’inizio del suo saggio inedito, “La Russia nella strategia cinese”, che il Manifesto ha potuto consultare. L’analisi di Shi traccia una tendenza piuttosto chiara nelle relazioni tra Pechino e Mosca, ma ne mette in luce anche la continua evoluzione. Non sempre in avanti.

Si parte dal 2014 e dall’annessione della Crimea: “La Cina aveva assunto una posizione neutrale e Xi Jinping sembrava intenzionato a mantenerla”. Anche perché “la neutralità della Russia nel confronto Cina-Giappone aveva già dimostrato i limiti del partenariato strategico”, dice Shi. Poi cambia qualcosa: “L’interesse di Pechino per il partenariato con Mosca è diventato una necessità nell’intensificarsi della rivalità con Washington, guidata dal ribilanciamento di Obama in Asia-Pacifico”. Pur non riconoscendo mai l’annessione della Crimea, Shi sottolinea che “la Cina ha mantenuto con maggiore determinazione la sua opposizione alle sanzioni contro Mosca”. A giugno 2016 Xi e Putin rilasciano “una dichiarazione congiunta sulla stabilità strategica globale”.

Secondo Shi c’è una parziale battuta d’arresto all’inizio della pandemia. “Per un certo periodo molti paesi hanno ammirato il modello di contenimento cinese del Covid-19 e hanno accolto con favore la sua assistenza sanitaria, diventata una priorità della politica estera cinese. Forse anche per questo, sembrava esserci una potenziale drastica alienazione tra Russia e Cina”. Lo studioso della Renmin sottolinea come Putin intrattenga quattro telefonate con Trump tra marzo e aprile 2020, arrivando a una “rara” dichiarazione congiunta per commemorare un evento della Seconda guerra mondiale. Per quasi tre mesi, invece, mancano comunicazioni ufficiali tra Xi e Putin. Shi interpreta così quella fase: “L’allontanamento della Russia era in parte motivato dalla preoccupazione di essere coinvolti in un inasprimento della rivalità Cina-Stati uniti e dal desiderio di preservare o aumentare l’indipendenza della politica estera”.

L’arrivo di Biden e il 24 febbraio 2022 hanno cambiato tutto, dalle parti di Mosca. Nel suo saggio inedito, Shi definisce Putin “autocrate avventurista” che sta giocando “un’opportunistica scommessa”. Vero che, secondo Shi, “nelle rispettive rivalità sempre più intense con gli Stati uniti, la semplice aritmetica della politica internazionale vede Pechino e Mosca più vicine”. Ma, aggiunge Shi, “l’aritmetica ha ancora complicazioni: non c’è alcuna indicazione che i russi si impegnino a sostenere la Cina in un ipotetico conflitto su Taiwan o altrove, e viceversa che possa farlo la Cina sull’Ucraina”. Anzi, sottolinea Shi, “il governo cinese ha dichiarato che le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia dovrebbero essere prese in considerazione” ma ha aggiunto di “rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi. La Cina non si oppone pubblicamente all’invasione dell’Ucraina, né la sostiene. Si oppone alle sanzioni contro la Russia ma non fa nulla direttamente per ostacolarle”. È vero che Pechino ha aumentato le importazioni di energia russa, “ma la determinazione a evitare massicce sanzioni secondarie è ancora presente”, dice Shi. Sul fronte economico, “gli investimenti infrastrutturali in Russia sono stati percepiti da Pechino come economicamente redditizi a lungo termine e diplomaticamente vantaggiosi”, prosegue, ma “la capacità finanziaria di Mosca e il suo basso livello di commercializzazione sono ostacoli fondamentali a una cooperazione economica massiccia e sostenibile, che non ha prospettive di miglioramento nel futuro prossimo”.

La sensazione è che più Mosca alza il livello dell’azione militare e più Pechino provi a chiarire che esiste qualche limite all’amicizia. Shi ricorda che al summit Sco del settembre 2022, Xi ha “sospeso per la prima volta in diversi anni” il riferimento al partenariato strategico globale. “L’annessione delle quattro regioni ucraine ha costretto la Cina ad agire ulteriormente” esprimendosi contro le minacce nucleari in vari incontri con leader europei. E chiarendo a gennaio 2023 che le relazioni con Mosca si basano su tre no: “nessuna alleanza, nessun confronto e nessun obiettivo contro terzi”. Tentativi di rassicurazione ai quali si è aggiunto il documento di posizione in 12 punti sulla crisi, necessario dopo che “gli Stati uniti hanno ripetutamente dichiarato che la Cina stava considerando di fornire attrezzature letali alla Russia”. Pur sapendo che l’Ucraina e soprattutto la Nato “ha interesse a non avere la Cina come mediatore in un futuro negoziato”, conclude Shi. La “natura” del mondo umano sembra spingere Pechino e Mosca più vicine. Complicazioni e fluttuazioni permettendo.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]