8 marzo in Cina: una questione linguistica

In by Simone

Commemorata per la prima volta nel 1924, solo dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 viene ufficialmente istituita la data dell’8 marzo per la Festa della Donna.
Con mezza giornata di riposo dal lavoro, oggi le donne cinesi festeggiano l’8 marzo uscendo con le amiche, usufruendo di sconti e riduzioni nei centri commerciali e in punti d’interesse artistico. Gelsomini a simboleggiare la purezza e l’amore, bignonia spesso accompagnata da primule e agrifoglio come espressione di amore materno: questi i fiori che colorano la giornata dell’8 marzo in Cina. 

Negli ultimi anni ad accompagnare la festa c’è anche una sorta di revisionismo linguistico, con tutte le sfaccettature e le implicazioni storico-culturali che ne derivano. Già la resa cinese di “8 marzo” in cinese, Sanba, dà adito a non poche ambiguità: si tratta di un soprannome per donne considerate stupide, pettegole e impiccione, che perdono tempo a darsi il belletto e a schiamazzare con le amiche tentando di attirare l’attenzione dell’altro sesso. Se poi consideriamo alcuni modi di dire provenienti dalle pellicole di Hong Kong l’insulto diventa ancor più pesante: Si Sanba (“Maledetta Sanba”), Chou Sanba (“Lurida Sanba”), in cui Sanba è un sinonimo di donna, ma accostato ai due aggettivi “maledetta” e “lurida” finisce per diventare un’offesa vera e propria. In genere ci si riferisce alle donne del continente, che appaiono volgari e rozze agli occhi della gente di Hong Kong.
Mentre le nuove generazioni sembrano indifferenti alla celebrazione di questa giornata – si parla vagamente della necessità di riconoscere più diritti alle donne mentre il governo ne premia a centinaia conferendo il titolo di “lavoratrici esemplari” – nei forum online continua il dibattito riguardo la proposta di modificare il nome della ricorrenza. 

La proposta, avanzata due anni fa da Zhang Xiaomei, membro della Conferenza Politico Consultiva del Popolo, prevede la modifica del nome Funu jié  in Nurén  jié. Per quanto entrambi traducibili con “donna”, le sfumature dei due termini Funu e Nuren sono tutt’altro che sottili: in genere col primo ci si riferisce ad una donna sposata, mentre nurén o nuxìng  indicano comunemente una persona di sesso femminile, indipendentemente dall’età o dallo stato civile. Da qui le motivazioni avanzate da Zhang Xiaomei: «Stando alla definizione del dizionario, con il termine funu si intende una donna adulta, col carattere fu che indica una donna sposata, una moglie. Se consideriamo l’implicazione data dall’immagine pittografica del carattere fu notiamo che indica una “donna con la scopa in mano”, intendendo i lavori domestici; a considerarlo ora appare piuttosto obsoleto, con tanto di pregiudizi nei confronti del sesso femminile. Oggi nell’opinione comune funu indica una donna di età avanzata con un basso livello culturale: le giovani donne, in particolare quelle di una certa istruzione, non si sentono rappresentate dal termine funu

Liuyan nel suo blog non nega la validità di tale ragionamento, riconoscendo il disagio suscitato dal termine funu per riferirsi al sesso femminile. «Il termine funu fa venire in mente  il periodo della lotta rivoluzionaria e la fase di costruzione del socialismo,  le operaie tessili e l’esercito femminile: di certo non può identificare le moderne donne borghesi». 
Tuttavia Liuyan non approva la definizione Nurenjie: «si tratta di una proposta che considera la donna da un punto di vista estetico e che mira a conferire più “femminilità” alla festa della donna. In questo modo la Festa Internazionale della Donna finirebbe col fondersi e confondersi  in un miscuglio eterogeneo con la Festa della mamma e la Festa degli Innamorati».

Alcune delle sostenitrici della modifica della denominazione da dare all’8 marzo ricorrono all’arretratezza del significato insito nel termine fùnǚ  e ricorrono all’esempio inglese. «Col termine inglese women si indica semplicemente il sesso, tralasciando possibili riferimenti ad un’età definita, e ancor meno a posizione e status sociale. Col termine funu invece, andiamo a sottolineare che si tratta della festa delle donne lavoratrici. Questo naturalmente si collega ai movimenti del Ventesimo secolo di liberazione della donna e alle lotte per garantire una parità di salario e di condizioni lavorative tra uomini e donne; ora che la realtà è mutata e una certa uguaglianza tra i due sessi è stata raggiunta, non si vede perché si debba continuare ad usare quel termine piuttosto obsoleto».

Non per tutte la situazione attuale appare così rosea. Nei forum e nei blog cinesi c’è chi menziona vari esempi di ingiustizie che le donne sono ancora costrette a subire: il caso di Aying, operaia addetta al tornio in una fabbrica di indumenti di Canton, deceduta dopo un lavoro straordinario di 54 ore, o il caso di un’operaia di Shanghai licenziata perché incinta.
«I diritti delle donne in Cina sono ancora da realizzare, siamo ancora lontani dal poter sostituire il significato politico della Festa della Donna con un significato estetico e commerciale. Perché bisogna ammettere l’aspetto estremamente commerciale dell’eventuale istituzione di una Nurenjie, impostata sull’unica intenzione di fare soldi, in antitesi con la situazione di tante operaie che si logorano davanti ad una macchina o che vedono ancora ignorati i propri diritti».

C’è anche chi, ricordando che non si tratta di un giorno di festeggiamenti e che il suo significato non si limita alla giornata o alla mezza giornata libera, propone una “Giornata della donna” in quanto più coerente rispetto al concetto di “festa”. In una simile atmosfera di dibattiti sulla forma da conferire ad una giornata che intende commemorare le lotte per l’emancipazione dell’altra metà del cielo e  le migliaia di donne che ogni giorno combattono una personale lotta di affermazione e riscatto, tornano alla mente le parole di Ding Ling. Scrittrice tra le più popolari del Ventesimo secolo, rivoluzionaria dedita alla causa socialista e al movimento di emancipazione femminile, nel 1942 Ding Ling pubblica “Pensieri sull’8 Marzo” in cui si legge: “Quand’è che non sarà più necessario conferire tanto peso alla parola donna (fùnǚ), e presentarla con tanta enfasi?”