Questi diavoli di giapponesi!

In by Simone

Oggi davanti all’ambasciata giapponese di Pechino si è tenuta l’ennesima manifestazione contro la nazionalizzazione da parte del Giappone delle isole Senkaku/Diaoyu. Molti in piazza, molti a sorvegliarli. Sintomo che in Cina c’è paura che la rabbia esca fuori controllo. Il reportage di China Files.
Stamattina davanti all’ambasciata giapponese a Pechino si è tenuto l’ottavo giorno di proteste contro la nazionalizzazione giapponese delle isole Senkaku/Diaoyu. E non poteva esserci giornata più adatta.

Primo motivo: un anniversario. Il 18 settembre di 81 anni fa, l’esercito imperiale giapponese con un incidente provocato ad arte nei pressi dell’odierna Shenyang, nel Nord della Cina, diede il via alla sua sanguinaria quanto fallimentare conquista dell’Asia.

Secondo: a Pechino stamane c’erano 28 gradi e un cielo azzurro, senza nuvole o foschia. E giornate simili, nella capitale della Repubblica popolare cinese, sono rare.

Dalla prima mattina di oggi molti pechinesi – i meno organizzati solo con bandierine delle Rpc, i gruppi più agguerriti con tanto di striscioni, foto e manifesti – si sono riversati su Liangmaqiao Dong Lu. È qui che si trova l’ambasciata giapponese in Cina. In totale, riporta la Nhk, la tv nazionale giapponese, che riprendeva dall’interno dell’ambasciata sarebbero stati tra tremila e cinquemila i manifestanti.

 
[L’esterno dell’ambasciata giapponese a Liangmaqiao Donglu]

Uscendo dalla stazione della metropolitana, ci si ritrova subito coinvolti nella processione dei cortei che sfilano fino all’ambasciata a ritmo scandito. Qualche scatto in mezzo a un gruppo di studenti, poi un poliziotto mi ferma e, in inglese, mi chiede il passaporto. Me la cavo rispondendo di essere uno studente e che stavo cercando di ritornare dietro le transenne, per assistere alla manifestazione da semplice spettatore. "Allora non sei con loro!", conclude l’agente.

Ritorno tra i "curiosi" comunque sorvegliati da un cordone di polizia lungo tutto il percorso della manifestazione, lungo dalla stazione della metropolitana all’ ingresso Nord di Chaoyang Park, uno dei parchi più estesi di Pechino. In questo spazio i cortei scorrono e arrivati a una delle due estremità fanno un giro delle transenne, sempre sotto il controllo delle forze dell’ordine e ripartono a ritroso sul circuito.

  

Qualche minuto più tardi mi ritrovo di fronte all’ ambasciata giapponese. Mi fermo insieme ad altri in uno spiazzo da cui si può vedere il passaggio dei cortei di manifestanti davanti alle barricate e ai cordoni di polizia ed esercito che nascondono l’ingresso e i primi piani dell’edificio diplomatico.

Nessuna assalto violento dunque, solo qualche lancio d’ uova e qualche bottiglia di plastica vuota contro l’edificio che già porta i segni della rabbia cinese. Uno di questi salta presto all’occhio: una macchia di vernice blu su una colonna laterale al cancello di ingresso.

Ieri Xinhua, l’agenzia di stampa di stato, riportava sul proprio sito un articolo dal titolo: "Il vandalismo durante le proteste è impopolare tra i cinesi". "Quelli che hanno agito illegalmente e irrazionalmente sono una minuscola proporzione. La maggior parte dei manifestanti ha espresso la propria opposizione all’acquisto delle isole da parte del Giappone in maniera legittima, pacifica e razionale." E non si può darle torto. Solo un attimo di tensione tra manifestanti alla fine del percorso della protesta, prontamente fermato dalla polizia.

La sorveglianza sui cortei è strettissima, come severa è anche quella su chi assiste alla protesta dietro i due cordone di polizia e le transenne. "Avanti, avanti, non fermatevi", questo l’ordine degli agenti ai bordi del percorso dei cortei, dato per far scorrere più velocemente i curiosi ed evitare assembramenti per fare foto o filmati.

 

I manifestanti in strada reclamano la restituzione delle Diaoyu, sottratte "illegalmente", come ripetono in continuazione i media cinesi, dai giapponesi. In particolare, destinatari della rabbia e della violenza verbale dei pechinesi sono Ishihara Shintaro, governatore ultra-nazionalista di Tokyo e "inventore" dell’idea dell’acquisto delle isole Senkaku/Diaoyu, e Noda Yoshihiko, attuale premier giapponese, reo di avere messo in atto la loro nazionalizzazione.Alcuni tirano fuori poster del Grande Timoniere e intonano slogan nostalgici ("Lunga Vita al Presidente Mao!"), altri ancora invocano una punizione severa per il "piccolo Giappone".

La manifestazione di Pechino è una delle 89 che hanno agitato oggi la Repubblica popolare, in uno degli anniversari più significativi della storia dei rapporti tra Giappone e Cina. Con la nazionalizzazione del piccolo arcipelago del Mar cinese orientale, si sono ricreati i presupposti per una nuova esplosione di sentimento anti-nipponico, in realtà mai veramente sopito.

[Con la katana decapitiamo i diavoli giapponesi] 

Quanto questo possa incidere sui rapporti economici dei due paesi è già apparso chiaro nella giornata di ieri. L’annuncio di alcune grandi multinazionali giapponesi che hanno investito grandi capitali in Cina (tra cui Toyota, Honda, Panasonic e Canon), in seguito a episodi di sabotaggi e danni ai propri impianti, di sospendere la produzione a partire da ieri non è un segnale positivo. Nemmeno per i lavoratori cinesi.


[Abbasso i giapponesi! Boicottiamo i prodotti giapponesi!]

Rimane poi un ulteriore dubbio: le proteste antigiapponesi sono una mossa politica in vista del congresso? Servono a nascondere problemi interni alla Cina? Secondo l’autorevole giornalista giapponese Takahashi Kosuke parrebbe di sì.

A sostegno di questa tesi, Takahashi riporta sul proprio blog personale uno scambio di email tra lui e una giovane giornalista cinese."Il Giappone è solo una scusa", avrebbe scritto la ragazza. "Il Giappone non c’entra, è un problema di politica cinese. Sono rassegnata, ormai siamo tornati alla Rivoluzione culturale. Sono tutti insoddisfatti."

[Le foto sono state scattate da Marco Zappa a Pechino  la mattina del 18 settembre 2012]

*Marco Zappa nasce a Torino il 3 gennaio 1988. Ottenuta la laurea triennale nell’ ateneo torinese, attraversa la pianura padana approdando a Venezia, dove si laurea in Lingue e Istituzioni Economiche e Giuridiche dell’Asia Orientale. Dopo un’esperienza di quasi un anno in Giappone, si trova a Pechino per vedere cosa c’è al di là del Mare (Giallo).