Xinjiang/ La stampa cinese sui fatti: “cronaca ad alta voce” (高调报道)

In by Simone

La stampa cinese, solitamente attenta a non dare troppo risalto ai disordini sociali e politici che esplodono di volta in volta, in varie parti del paese, questa volta sembra ben determinata ad affrontare la questione dello Xinjiang.
L’approccio si basa sul fatto che si tratta di musulmani, nemico mondiale numero uno, e non di monaci buddhisti che richiamano nelle strade delle capitali mondiali orde di indignati sedicenti pacifisti.
In questa occasione si può chiaramente notare un atteggiamento diverso da parte degli organi di informazione. Per usare un’espressione cara ai cinesi, si può dire che si è passati da una “cronaca a bassa voce” ( 低调报道 ) ad una “cronaca ad alta voce”( 高调报道 ).

Le televisioni ed i giornali dedicano quotidianamente ampio spazio alla questione, forti di poter sostenere una tesi che sembra accontenti non solo l’opinione pubblica nazionale ma anche quella internazionale. I fatti si sono svolti così: gli incidenti sono stati organizzati dalle “tre forze” del terrorismo, del separatismo e dell’estremismo in patria e all’estero, le quali hanno scatenato una vera e propria rivolta violenta non solo ai danni della popolazione han (汉族, la maggioritaria nel territorio cinese), ma anche di altri gruppi etnici, segno evidente che la manifestazione della notte del 4 non ha nessun legame con i fatti di cronaca che hanno visto due uiguri uccisi durante degli scontri nella provincia del Guangdong, ma che invece dimostra come lo scopo dei rivoltosi fosse quello di gettare nel caos la regione per favorire gli interessi di gruppi terroristi e separatisti.

Il governo, impegnato nella tutela della stabilità della popolazione intera, senza alcuna discriminazione etnica, ha il pieno diritto ad utilizzare il pugno di ferro per reprimere queste azioni destabilizzanti che minano l’armonioso sviluppo della regione.

Il presidente Hu Jintao, il cui rientro anticipato in patria viene apertamente giustificato con gli incidenti di Urumqi, nella riunione del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale, convocata ieri per affrontare il problema dello Xinjiang, ha dichiarato che i responsabili saranno puniti severamente secondo quanto stabilito dalle leggi cinesi, ed una campagna di educazione sarà lanciata per riportare l’unità nell’area.

Intanto i primi provvedimenti presi dalle autorità, ultimo tra i quali lo stanziamento di 200mila yuan (poco meno di 20mila euro) per i famigliari delle vittime, più 10mila (circa mille euro) per le spese dei funerali, hanno già dato i loro frutti, e i media si riempiono di servizi che mostrano come la situazione sia tornata sotto controllo, e la vita abbia ripreso la sua quotidianità. Immagini di affollati mercati, centri commerciali riaperti e testimonianze della popolazione locale che si augura un ritorno alla piena normalità il più presto possibile vengono trasmesse continuamente.

L’atteggiamento di apparente apertura della stampa non è dovuto esclusivamente al fatto che la comunità internazionale impegnata nella lotta al terrorismo islamico non abbia la legittimità ad intervenire nella questione, ma trova le sue ragioni anche nella politica interna. Di fronte a quella che è stata la più grande rivolta dalla fondazione della Repubblica Popolare, il governo deve dimostrare di essere capace di mantenere la stabilità, essenziale alla crescita economica e alla vita stessa del Partito. Così diventa necessario per la leadership mostrare alla popolazione la propria determinazione, per scoraggiare il ripetersi di azioni simili, ma anche per convincere la popolazione dei benefici della politica di Pechino. Lo sviluppo ha bisogno di armonia, ed il PCC è l’unico a poterla garantire.