Xinjiang/ Il venerdì di Urumqi

In by Simone

Il venerdì di Urumqi è senza preghiera. I musulmani hanno trovato chiuse le moschee, «per motivi di sicurezza» come hanno fatto sapere in tarda serata le autorità cinesi . Alcuni hanno protestato, sono stati dispersi e tre giornalisti, che hanno ripreso il fatto, sono stati prima fermati e poi rilasciati. Lo ha raccontato il corrispondente di Tv3, una televisione catalana, al telefono con i suoi colleghi spagnoli di Abc: «siamo stati fermati e interrogati separatamente, per tre ore», ha fatto sapere il corrispondente catalano, Sergi Vicente, aggiungendo che, «nonostante l’accredito governativo, ci hanno presi mentre stavamo intervistando un manifestante che aveva paura di essere arrestato e non voleva rimanere solo. La polizia ci ha fermati perché abbiamo ripreso quelle scene». Numerosi fedeli musulmani di Urumqi e di altre città dello Xinjiang si sarebbero mobilitati per fare pressioni presso gli Imam per aprire le moschee, in occasione del venerdì di preghiera.

Da questa forma di protesta sarebbero scaturiti nuovi arresti tra gli uighuri. E’ stata Al Jazeera a segnalare nuove tensioni, quando gruppi di musulmani organizzati, ed in particolare quelli che fanno capo ad alcune associazioni islamiche, si sono espresse per non rispettare il divieto delle autorità, affermando la volontà di tenere la preghiera comunitaria del venerdì in moschea. Proprio in preparazione di questa forma di resistenza, migliaia di poliziotti e soldati sono stati dispiegati a Urumqui, dove sono cessate le violenze ma la tensione fra le due etnie rimane alta.
Nel frattempo, mentre file di cinesi han sono alle stazioni dei treni e dei bus per andarsene, in attesa di tempi migliori, sotto l’occhio vigile di soldati, l’opinione pubblica, coadiuvata dai media ufficiale, prepara la propria interpretazione dei fatti.

Ora i disordini di domenica scorsa hanno un mandante, un volto e un nome: si tratta di Rebiya Kadeer, sei anni in carcere, emigrata negli Stati Uniti. Nel ricordo di molti cinesi han nati a Urumqi, la vera anima dell’indipendentismo uighuro. «Quando ero piccolo arrestarono suo marito, ricordo ancora adesso la loro casa, vicino al bazar di Urumqi», mi dice un cinese, che vive a Pechino, ma è nato a Urumqi. «Per tutti era lei, e continua ad essere lei, l’anima dell’indipendentismo musulmano cinese: è lei che secondo il Governo e non solo, finanzia gli attentati e questo nuovo massacro». La Kadeer ha attirato l’attenzione anche dei cinesi che gestiscono il sito Anti Cnn, nato dopo i disordini in Tibet lo scorso anno. Il suo errore sarebbe stato quello di avere mostrato una foto degli scontri, falsa: per i cinesi una prova evidente del suo coinvolgimento nelle violenza. Lei, imprenditrice, chiamata la miliardaria, filantropa e candidata al Nobel per il 2006, nello stesso anno venne eletta Presidente del congresso mondiale uighuro. Ha sempre negato l’esistenza di un movimento indipendentista, invitando i propri connazionali a ricercare la propria autodeterminazione con il dialogo.

Per il Governo cinese, invece, è una pericolosa estremista: come già per il Tibet, sarebbero da cercare all’estero i mandanti dei disordini del Xinjiang.
Nel frattempo il direttore dell’Ufficio per gli affari civili di Urumqi, Wang Fengyun, ha fatto sapere che le famiglie delle vittime riceveranno poco più di 29mila dollari di indennizzo. Presto, ha precisato Wang secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua, verrà annunciato il modo in cui le autorità provvederanno a far avere i risarcimenti anche alle famiglie delle persone gravemente ferite negli scontri. Il governo municipale di Urumqi, inoltre, riconoscerà alle famiglie delle vittime anche un contributo di circa 1500 dollari per i funerali.

[Pubblicato su Liberazione l’11 luglio 2009]