X China Independent Film Festival 2013 #1

In by Simone

Dopo l’interdizione dell’annata 2012, finalmente questo novembre il China Independent Film Festival è tornato ad ospitare i migliori prodotti del cinema indipendente cinese: dai documentari agli sperimentali, dai cortometraggi ai film pronti per il pubblico dei cinema. China Files ospita un reportage in tre parti sull’evento che catalizza le attenzione degli amanti del cinema e dei censori.
Il cinema, come si può immaginare, per gli artisti cinesi è difficile da raggiungere, a meno che essi non siano nelle grazie del Partito o del cinemabiz (non che sia tanto più facile per gli Italiani, ma chiaramente la variabile censura fa una certa differenza).

Ecco che a Nanchino è stato presentato un programma parziale, per non incorrere nell’ira funesta del Governo e avere l’opportunità di proiettare il più possibile: infatti, l’offerta quest’anno è stata spalmata su tre location per rendere più rarefatta e incatturabile la schiera di organizzatori, registi e pubblico coinvolti.

Ecco che tra Dalian, Xiamen e Nanchino, il gruppo di Shen Xiaoping, Cao Kai, Han Linlin, Wang Xiaolu, Zhang Xianmin, Zeng Yunhui ha tirato fuori la decima edizione del CIFF, uno degli appuntamenti più importanti per il cinema esordiente cinese.

Infatti, dopo le ultime vicende che, a cavallo della elezione di Xi Jinping, avevano visto interrotto il Beijing Independent Film Festival, con tanto di corrente elettrica staccata, pareva che la realizzazione della tanto attesa decima edizione fosse piuttosto impossibile.

Soprattutto perché, come Shen Xiaoping ci ha raccontato in un’atmosfera informale, il sabato sera precedente le premiazioni, la macchina censoria aveva già agito nel 2012: con telefonate tattiche arrivate da nonsisabenedove, tutte quelle realtà che avevano dato la disponibilità ad ospitare il CIFF numero 9 hanno ritrattato, a pochissimi giorni dall’esordio della manifestazione.

Fatta terra bruciata attorno, i ragazzi si sono trovati seduti per terra, senza alcuna sala che li ospitasse. L’annuncio stesso dell’interruzione è arrivato a ridosso e solo via social network, lasciando tutti impietriti e calando un velo di mistero sulle cause: un segreto di Pulcinella insomma.

Non solo la nona edizione del festival è stata bandita, ma anche l’evento collaterale di EXIN, Asian Experimental Film and Video Festival, che a quel tempo coinvolgeva esperti da tutta l’Asia, ne ha risentito.

Shen Xiaoping in realtà, sebbene il festival abbia accusato il colpo, soprattutto a livello di frequentazione da parte del pubblico, ci ha mostrato come la lotta non si è mai fermata in tutto questo tempo: come se l’edizione numero 9 volesse essere solo un trampolino per saltare più in alto con la puntata successiva, la qual cosa ha ovviamente allertato i piani alti che si erano già ben resi conto del prestigio che il Festival aveva assunto nel corso della sua carriera.

Dividere quindi le proiezioni su tre città è stato quasi una necessità; e soprattutto, allontanare i documentari da Nanchino, la sede più sensibile, che non avrebbe retto (metaforicamente parlando) alla proiezioni di prodotti così pericolosi. Così, il Festival si è arrangiato come poteva: uno schermo costretto, svariati problemi tecnici, l’assenza di diversi registi e il pubblico diradato.

Malgrado ciò, malgrado una parte degli sforzi per rendere il CIFF quel grande evento che era diventato, siano stati vanificati dal potere centralizzato, niente si è fermato. O meglio, la lotta è ripresa.

Infatti, al confronto con l’ottava edizione, il decimo compleanno era piuttosto assottigliato e impoverito. Perché effettivamente, un Festival di ruolo cruciale come questo, spalmato su tre location diverse è, per il pubblico e per l’evento stesso, una torta mangiata a metà; a maggior ragione se le tre location si trovano in punti diversi della Cina, della grande Cina, e sono per questo irraggiungibili.

Partendo dal presupposto che ad oggi, e per le tendenze degli ultimi anni, sono proprio i documentari a raccontare la Cina vera e, come si sarà capito, quella più problematica e “da mettere a tacere”, Nanchino ha ricevuto quasi le briciole di questa produzione scelta del cinema indie cinese.

Non è commentabile la delusione della domenica mattina quando, in via del tutto eccezionale e fuori programma, il pubblico di Nanchino aveva la possibilità di vedere uno tra i prodotti di documentario premiati dalla giuria, un titolo che vi consiglio caldamente, sebbene la proiezione si sia interrotta a un quarto dalla fine, lasciando gli astanti con la mandibola scollata, sottoscritta compresa. Se mai dovesse capitare a qualcuno di accedere a questo prodotto, il suo titolo è The last moose Ao Lu Gu Ya e fa parte di una trilogia dell’autore Gu Tao.

Eppure, il lavoro di Shen Xiaoping e soci vanta una visione olistica molto importante per quello che è uno degli obiettivi imprescindibili della cinematografia cinese per i prossimi anni, a detta degli stessi: la rieducazione del pubblico.

Sebbene il contesto politico non faciliti l’espressione artistica (ovvero la osteggi), la migliore strategia per combattere questa opposizione è la formazione di un alleato competente.

Xiaoping ci raccontava infatti, come ormai ci sia la necessità di uscire dalle facili valutazioni attribuite all’indipendente come un cinema di protesta, ai quali registi piace vivere nella (auto)considerazione di essere artisti. E’ venuto cioè il momento di riavvicinare la produzione filmica al pubblico e di fornire gli strumenti alle platee per interpretare le parole degli autori, in un movimento comune di crescita culturale e incontro.

Dal canto loro, i festival sono la sede appropriata affinché questo movimento si evolva in crescita, ma, in qualità di appuntamenti aggregativi, sono, evidentemente, osteggiati dal Governo.

Posso confermare che, complice l’interruzione dell’anno scorso e l’assenza di un programma nutrito, a Nanchino la platea non abbia espresso una competenza evoluta, tipica del pubblico assiduo dei teatri e dei Festival. D’altronde, l’essere digiuni di cinema non mainstream rende più difficile poter apprezzarne i temi e capirne i linguaggi, talvolta sperimentali; così come, di conseguenza, una fruizione continua ne favorisce l’interpretazione e, contemporaneamente, la conoscenza dei problemi della gente comune e la necessità di trovarvi risposta. Una reazione a catena.

* Rita Andreetti nasce a Ferrara nel 1982. Da più di dieci anni si occupa attivamente di cinema indipendente: oltre una decina di lavori di cui firma la regia e la sceneggiatura, e altrettante collaborazioni in ambito di assistenza alla regia (anche per Liliana Cavani) e segreteria di edizione. È tra i fondatori dell’associazione culturale Cronos Film (www.cronsofilm.org) nonché caporedattrice del progetto di webzine cinematografica Indipendentidalcinema.it (www.indipendentidalcinema.it). Tra le opere più importanti, il suo primo cortometraggio, Il Bistrot dei Cineasti Indipendenti, vincitore di due premi: al Palermo Film Festival come Miglior Colonna Sonora e al Premio Perini Menzione FEDIC. Inoltre, si citano le opere di video-arte che hanno avuto visibilità in gallerie di respiro internazionale, tra cui Artè (Ferrara), GAMC (Bondeno, FE), De Faveri Arte (Feltre) e la prestigiosa Ernst Hilger Gallery (Vienna): Pentesilea, Le 4 cattive, Tutti baci Berenice. Dal 2012 vive in Cina, a Nanjing: collabora con il portale Mask9.com come critica cinematografica e ufficio stampa; scrive per la rivista Taxidrivers.it di cinema asiatico e cura un blog per Vanity Fair in cui racconta della sua esperienza: cineserie.vanityfair.it. Sogna un giorno di poter parlare cinese correntemente e distribuire film italiani a questo immenso pubblico.