Wikileaks: le reazioni in Cina

In by Simone

[In collaborazione con AGICHINA24]

Che effetti sta avendo il caso Wikileaks in Cina? Come viene trattato dalla stampa e cosa viene dato in pasto all’opinione pubblica? Sostenere che Wikileaks in Cina sia bloccato – senza aggiungere altri dettagli –  di certo non rende giustizia al lavoro maniacale che si cela dietro al Great Firewall del governo, che più che un muro sarebbe esatto descrivere come un gigantesco setaccio: scartando i pezzi più grossi, e pericolosi, dell’informazione mondiale, restano solamente le minuzie più preziose per la propaganda cinese, che se utilizzate sapientemente possono ribaltare a proprio favore le potenziali minacce per la stabilità sociale.

L’enorme flusso di informazioni riservate fornite da Wikileaks all’opinione pubblica mondiale rientra nella casistica della minaccia, ed il governo cinese non si è fatto cogliere impreparato. Nonostante non compaia nelle prime pagine dei quotidiani o in bella vista nelle homepage dell’internet cinese, il caso Wikileaks è stato ampiamente trattato nella sua forma più superficiale, ma a differenza del resto del mondo, volente o nolente investito dalle conseguenze dalla rilevazione dei cables, in Cina è cambiato poco o nulla. Lasciati al di là dei confini i contenuti dei documenti, i peccati, la stampa cinese si è concentrata nell’analisi del peccatore, lasciandosi andare a valutazioni correlate certamente non casuali su Assange, Wikileaks e la natura della diplomazia americana.

Il Global Times ad esempio, che si rivolge ad un pubblico anglofono e presumibilmente informato a dovere dai propri media non cinesi, in un editoriale del primo dicembre tende a minimizzare i danni causati all’immagine degli Stati Uniti, sostenendo che “la maggioranza dei materiali forniti è sensazionale, ma di ben poco valore a livello di informazione, e gli effetti negativi potranno essere facilmente mitigati”.

Il problema, secondo il quotidiano, è che “l’ubiqua e potente CIA non è stata ancora in grado di identificare le fonti di questa improvvisa fuga di documenti segreti. E non è molto convincente il fatto che Julian Assange, fondatore di Wikileaks, sia ancora a piede libero nonostante il suo alto profilo pubblico. C’è forse un tacito accordo tra il sito internet ed il governo americano? Vale la pena chiederselo”. “La fuga di informazioni – conclude l’articolo – può danneggiare gravemente la stabilità sociale delle nazioni non in grado di gestire la pubblicazione di così tante informazioni sensibili. Uno tsunami di informazioni sta investendo ogni Paese, ma ciascun Paese ha diverse abilità di controllo ed assorbimento di questo flusso. I Paesi sviluppati, come gli Stati Uniti, dominano la corrente globale dell’informazione, al momento. Paesi come la Cina […] devono avere una linea di difesa contro una campagna d’informazione dannosa”. Quindi da un lato si espone e ridicolizza la carenza di efficacia dei sistemi di sicurezza interni degli USA e l’azione della CIA, lasciando intendere un patto segreto tra governo ed hacker per colpire i Paesi più fragili; dall’altro si giustifica il filtro cinese, a salvaguardia della stabilità sociale e di una non meglio specificata risposta a pericolose campagne mediatiche.

Nella versione cinese del China Daily, pensata per l’opinione pubblica interna all’oscuro della totalità dei dettagli che Wikileaks ha pubblicato, la scelta di cosa rivelare o meno è illuminante. Sempre il primo dicembre, gli ideogrammi dell’editoriale del China Daily colpiscono alle reni dell’amministrazione Obama, ricordando come Hillary Clinton avesse in passato cercato di interferire con la pubblicazione dei documenti di Wikileaks sull’Iraq da parte del New York Times, di come ora si stia spendendo per creare una “coalizione mondiale anti-Wikileaks” in seguito alle rivelazioni di “diplomatici americani che spiavano esponenti dell’Onu ed utilizzavano virus e speciali programmi installati per lo spionaggio informatico[…] rivelando le pratiche torbide della diplomazia americana”. Assestato il colpo, la teoria del complotto inizia a delinearsi più chiaramente, accusando Wikileaks ed i cinque più grandi collaboratori – Le Monde, Der Spiegel, Guardian, New York Times ed El Pais, tutti citati nel pezzo – di far sentire sulla pelle dell’opinione pubblica mondiale “la tradizionale autorità mediatica ed il flusso delle informazioni di internet, esponendola alle conseguenze devastanti delle quali sono capaci”. Secondo il Guardian, presto potrebbero essere pubblicati leaks sulla tragedia di Tiananmen e sullo spionaggio informatico ai danni di Google. Tra un muro ed un setaccio, il secondo sembra essere molto più utile e conveniente, se si è in grado di maneggiarlo.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 2 dicembre]

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