Vivere!

In by Simone

Vivere! è considerato il romanzo-svolta di Yu Hua, nel quale l’autore abbandona le trame sanguinarie per raccontare le storie della gente comune. Proprio come quella di Fugui, giovane giocatore d’azzardo che perde tutto e deve affrontare una vita di vicissitudini. Fino a diventare un uomo nuovo. "A volte pensare mi provoca un profondo dolore, altre volte mi dà un senso di pace, ho accompagnato alla tomba tutti i componenti della mia famiglia, li ho seppelliti tutti io con le mie mani e quando un giorno stenderò le gambe anch’io non dovrò preoccuparmi per nessuno […] […] A ripensarci questa vita è passata così veloce, una vita del tutto normale: mio padre sperava che facessi onore ai miei antenati, diciamo che aveva scelto la persona sbagliata, io, bè… il mio destino era questo".

Questo romanzo, pubblicato in Cina nel 1992, è un enorme flashback che comprende circa quaranta anni di storia (anni Trenta – fine anni Settanta), raccontata attraverso gli occhi del protagonista Fugui, che parla di sé all’altro narratore: il cantastorie.

Considerato dalla critica come appartenente alla corrente del neorealismo, poiché pone l’accento sulla descrizione della vita quotidiana in tutti i suoi aspetti senza ricorrere a abbellimenti o finzioni, viene spesso accreditato come il romanzo-svolta di Yu Hua, in cui si abbandonano toni cupi e trame sanguinarie per rivolgersi verso storie più vicine a quelle della gente comune.

Il narratore ‘parla’ la lingua dei suoi personaggi: si attacca ai colori primari del linguaggio, non evita la volgarità o il dialetto, non altera i fatti ma li espone, tenendosi a debita distanza.

Inizia raccontando del padre ricco, chiamato dai suoi fittavoli laoye "padrone" e xiansheng "signore", proprietario di 200 mu di terra dei quali cento erano già stati persi al gioco e che sarebbe spettato proprio a Fugui ricomprare per rendere onore ai suoi antenati.

Ma Fugui si autodefinisce la “pecora nera della famiglia Xu”, descrive sé stesso da giovane come l’incarnazione del ricco che si gode ogni sorta di vizi: infatti, per recuperare presto i mu persi, si dedica assiduamente al gioco d’azzardo.

Partita dopo partita, giocata dopo giocata, Fugui perde di volta in volta gran parte dei suoi averi senza rendersene conto, dato che in città tutti sono disposti a fargli credito.

Fino all’ultima partita in cui, truffato da dadi truccati, perde tutto: le terre, la casa e persino il titolo, d’ora in avanti non sarà mai più il "Signorino Xu" o il "Signorino pieno di soldi", ma semplicemente Fugui.

Il padre lo obbliga a portare sulle sue spalle i soldi al suo creditore, riempiendo i bilancieri con monetine di rame, così tante e così pesanti da scorticargli le spalle.

Pensavo: ho trasportato quelle monete per un giorno solo e già mi sento a pezzi, chissà quanti tra i miei antenati si sono ammazzati di fatica, per guadagnare quel denaro.

Solo allora compresi perché mio padre avesse voluto a tutti i costi monetine di rame e non pezzi d’argento: voleva che capissi com’è duro far soldi.

Come se non bastasse, in seguito a questo enorme disonore, il padre muore e il suocero decide di riprendersi Jiazhen, la moglie fedele e devota di Fugui.

Per sopravvivere, Fugui chiede in affitto cinque mu di terra e inizia a lavorare duramente nei campi. È in quel momento che smette anche l’ultimo vestigio del passato: gli abiti di seta.

Da allora smisi per sempre gli abiti di seta, portavo vestiti di tela grezza tessuta a mano da mia madre: i primi giorni mi sentii a disagio, la stoffa sfregava continuamente sulla mia pelle, ma alla lunga mi ci trovai bene.

Gradualmente Fugui si abitua alla nuova vita, rallegrata anche dal ritorno della moglie Jiazhen e del figlioletto Youqing, che lavorano con lui nei campi.

Ma purtroppo la madre si ammala e Fugui è costretto a recarsi in città per comprarle i medicinali. Qui, a causa di un malinteso, viene arruolato forzatamente dai soldati del Guomindang e spedito al fronte.

Si susseguono anni duri per Fugui: lontano da casa, in mezzo al fuoco nemico, assediato dai morsi della fame e del freddo, con l’unico appoggio nel suo compagno Laoquan e nel soldato bambino Chunsheng.

Quando ormai tutto sembra volgere al peggio, inaspettatamente l’Esercito di liberazione comunista interviene, permettendogli di tornare a casa.

Ma cambiamenti ancora più significativi fanno il loro ingresso in scena: con l’arrivo al potere del Partito comunista inizia l’epoca della Comune, vengono confiscate tutte le terre e requisite perfino le pentole per essere fuse e trasformate in acciaio.

I contadini non capiscono bene cosa succeda, si limitano a subire a obbedire: "Quando scoppiò la Rivoluzione Culturale, in città ci fu un gran caos, la gente si riversava nelle strade, c’erano risse ogni giorno, qualcuno venne anche ammazzato; la gente del villaggio non osava più avventurarsi in città.

Da noi in paese la situazione era assai più calma, era come prima, solo che non dormivamo sonni tranquilli: le più nuove e più alte direttive del presidente Mao giungevano nel cuore della notte.

Allora il caposquadra si piazzava nel campo dove si essiccava il riso e soffiava a più non posso nel suo fischietto: a quel suono tutti saltavano giù dal letto e correvano nel campo ad ascoltare i messaggi trasmessi dalla radio [..] [..]Eravamo gente comune noi, non è che non ci stessero a cuore gli affari della nazione, solo non ci capivamo niente: noi ascoltavamo tutti il caposquadra, e il caposquadra ascoltava i suoi superiori. Facevamo e pensavamo quello che ci dicevano dall’alto"

Varie vicende tristi si susseguono da quel momento in poi nella vita di Fugui che, sicuramente, alla fine del romanzo non è più lo stesso personaggio presentato all’inizio.

Si tratta di una persona "nuova", profondamente cambiata e forgiata dalle vicissitudini della vita, che ha imparato dai suoi errori.

In questo senso si può vedere in Vivere un "romanzo di formazione": un lungo e tortuoso percorso che porta il protagonista ad acquisire maggiore consapevolezza di sé, in un crescendo di disgrazie e disavventure che però non gli tolgono mai, nemmeno per un momento, la voglia di vivere nonostante e al di là di tutto.

"Era uno di quegli uomini che sanno leggere il proprio passato, era capace di rivedere perfettamente il suo modo di camminare quand’era giovane e persino com’era invecchiato.

In campagna è davvero difficile imbattersi in vecchi del genere, forse perché le asperità della vita hanno sciupato i loro ricordi ed essi sono spesso ottusi di fronte al passato, lo eludono con un sorriso impacciato.

Non provano alcun affetto per la propria storia, ne ricordano semmai solo pochi frammenti come chiacchere sentite per strada e anche questi sono brandelli di una memoria che è al di fuori di loro stessi e che essi esprimono con una o due frasi credendo sia tutto. [..]

[..] Fugui non era affatto così, amava rievocare il passato, amava raccontare la propria vita come se in questo modo potesse riviverla ogni volta. E il suo racconto mi ghermì stretto, come gli artigli di un uccello il ramo di un albero.

Il narratore Fugui coincide con il protagonista della storia ma, allo stesso tempo, se ne distacca e se ne dissocia nel momento in cui rivive il proprio passato, rivelando in pieno la trasformazione irreversibile avvenuta nel frattempo.

Il narratore prende le distanze da sé stesso, si osserva dall’esterno, esce da sé per descriversi meglio, in un processo di scissione e dissociazione che provoca una frattura tra l’Io passato e l’Io narrante, tra "Io giovanile" e "Io senile".

In definitiva potremmo dire che, come sostiene Yu Hua parlando del concetto di “logica della memoria”, chi rievoca il proprio passato non è più chi lo vive dato che “il diritto di scegliersi il passato” consiste nella “possibilità di rinnovare la scelta, di ricomporre avvenimenti del passato che non hanno alcuna relazione tra di loro, conquistandosi così un passato completamente nuovo.

E ancora: "il significato del tempo consiste nel fatto che esso può in qualsiasi momento ristrutturare il mondo, ovvero, ogni volta che il mondo viene ristrutturato nel tempo, esso apparirà con un nuovo atteggiamento.

Infatti con il ricordo gli eventi acquisiscono connotazioni nuove, frutto di un’analisi e di una rivalutazione avvenuta con lo scorrere del tempo: la memoria è appunto “padrona del tempo e della realtà, unico mezzo liberatorio con cui l’individuo può riappropriarsi del proprio passato.

Lo stesso Fugui, nel ricordare sé stesso da giovane, non esita a criticarsi, facendo così emergere quella lontananza temporale e psicologica che è sopravvenuta a distanziare l’io giovanile, protagonista del racconto, e l’io senile, la voce narrante:

Fin da bambino sono sempre stato incorreggibile diceva papà. Il precettore sosteneva che il legno marcio non si può intagliare. A ripensarci oggi, avevano ragione, ma io all’inizio non la pensavo così.

A ricordarlo adesso, provo ancora una fitta al cuore, ero davvero un mascalzone da giovane.

L’attaccamento viscerale del protagonista nei confronti dei suoi mu di terra, l’accettazione dei moti del destino e l’uso di un linguaggio scarno, schietto e reale rendono il personaggio di Fugui assimilabile ad esempio ai protagonisti dei romanzi italiani veristi, in particolare a “I Malavoglia” di Verga.

In entrambi i casi i personaggi si adattano al corso sfortunato degli eventi, scatenato da un "errore" iniziale del protagonista (spesso di carattere morale) che innesta, come in una sorta di "pena del contrappasso" riparatrice, una catena infinita di disgrazie.

Simile è anche la visione negativa della città, caratterizzata in entrambi i romanzi come luogo della perdizione e della perdita (Fugui infatti da giovane vi si reca per dedicarsi ai suoi vizi, oppure, sempre in città, viene catturato dai soldati perdendo la propria libertà).

O ancora l’ospedale (ovviamente situato in città) dove i figli e il genero di Fugui muoiono, descritto in entrambi i testi come il luogo dal quale non si fa più ritorno.

Città e campagna quindi, dove la prima è sempre il termine di paragone negativo, mentre la campagna rappresenta l’habitat naturale, il luogo d’origine, lo "scoglio" dal quale "l’ostrica" non può e non deve allontanarsi.

È nel villaggio natale inoltre, che si trovano le ‘ancore di salvezza’ dei protagonisti, a cui essi si aggrappano faticosamente per non affondare e sopravvivere: i mu di terra di Fugui e la barca “Provvidenza” della famiglia Malavoglia.

Forse, come ne “I Malavoglia”, è proprio sul finire della propria vita che Fugui ha davvero paradossalmente imparato a vivere: in mezzo ai campi, arando insieme al suo bufalo al quale assomiglia così tanto da dargli perfino il suo stesso nome, accompagnato e protetto dagli spiriti dei familiari defunti che invoca mentre lavora.

Questa è l’immagine finale che ci riconsegna il cantastorie lasciandoci davvero la sensazione che "in seguito ho effettivamente incontrato molti vecchi simili a Fugui  [..]

[..] Ma non ho mai più incontrato una persona indimenticabile come Fugui, che ricordasse in modo così nitido la propria vicenda e la sapesse poi raccontare così bene."

* Rita Barbieri è  docente di lingua cinese presso alcune strutture private a Firenze, laureata con lode in Lingue e Civiltà dell’Oriente antico e moderno presso l’Università degli studi di Firenze.

[Foto Credits: cocobook.net]