Venditori di sangue: è allarme

In by Simone

Vendere il proprio sangue per vivere. Un paradosso, ma è quanto fanno molti cinesi per arrotondare lo stipendio e tirare avanti. Per 6400 contadini poveri dello Hubei, nella Cina centrale, questo è l’unico modo per pagare le bollette, mandare i figli a scuola, potersi curare. A lanciare l’allarme è un’inchiesta del China Youth Daily, il quotidiano della Lega giovanile comunista, il potente feudo del presidente cinese e segretario del Partito comunista cinese Hu Jitao. Ogni due settimane una piccola barca di appena cinque metri con trentacinque persone a bordo approda a Shiyan nella contea di Yunxian. La maggior parte dei passeggeri, soprattutto donne, è diretta al distretto sanitario, più precisamente alle stazioni di raccolta del sangue. Per ogni donazione, 600 cc di sangue, i contadini ricevono 160 yuan (16 euro circa) più 8 yuan di rimborso per le spese del viaggio.

Soldi che i funzionari locali considerano un «sussidio per la nutrizione» e, sebbene pagare per le donazioni di sangue sia illegale, nessuno prova a smentire la notizia. «quanto viene riportato nell’inchiesta è tutto vero – racconta la signora Chen, una delle impiegate del centro di raccolta intervistata dal China Daily – Ma tutto, compresi i sussidi, avviene a norma di legge, secondo le procedure». Il centro di raccolta, fondato da Li Guangcheng, ex direttore del distretto sanitario della contea, è attivo dal 1998, ossia da quando è entrata in vigore la Legge sulla donazione del sangue. In undici anni i donatori sono stati oltre 20 mila persone e ogni anno il centro raccoglie circa 60 mila sacche di sangue per le quali paga ai donatori oltre 10 milioni di yuan (circa 1 milione di euro). Negli ultimi anni la Cina ha cercato di espandere il sistema delle donazioni incoraggiando i cittadini tra i 18 e i 55 anni a diventare donatori volontari.

«Non possiamo impedire ai contadini di donare il sangue solo perché vengono per il sussidio», sembra giustificarsi la signora Chen. Le ultime disposizioni del ministero della Salute sono chiare e hanno fissato in 600 cc la quota massima di sangue che può essere raccolto ogni volta e in due settimane il lasso di tempo che deve trascorrere tra una donazione e l’altra. Quindi secondo le leggi cinesi, se tutto viene svolto secondo le procedure non ci dovrebbero essere pericoli per la salute. La mente corre però alla fine degli anni Novanta, quando migliaia di contadini dell’Henan, nella Cina centrale, vennero infetti dal virus HIV a causa di prelievi effettuati in condizioni igieniche precarie. Le misure adottate dal governo centrale si devono scontrare con la realtà: la vendita di sangue è diventata un business.

Il caso dell’Hubei è solo l’ultimo di una serie di scandali che hanno come comune denominatore le donazioni. Nel 2007 il quotidiano locale Information Daily svelava il racket di 5-6 mila donatori  della prefettura di Jieyang, nella provincia meridionale del Guangdong, veri e propri «schiavi del sangue» costretti a donare il sangue anche dieci,quindici volte al mese. Il prezzo era intorno 200 yuan per 400 cc di sangue, di questi 120 andavano al donatore e 80 yuan andavano al suo «protettore». Alla base di tutto c’è la povertà. «Non ho altra scelta – spiga al China Youth Daily una contadina dell’Hubei – Mi servono più soldi per comprare le medicine a mio nipote ». Vende il suo sangue regolarmente dal 2007, quando al nipote di tre anni venne diagnosticata un’anemia aplastica.  Un’altra donna addirittura vende il sangue dal 2000 e con il ricavato ha potuto far studiare il figlio. Sembra quasi la trama di un romanzo. Yu Hua, scrittore cinese per molti cantore della nuova Cina, ha dedicato uno dei suoi libri, Cronache di un venditore di sangue, proprio a questo argomento.

È la storia di Xu Sanguan, operaio in un setificio dove trasporta bachi tutto il giorno. Per arrotondare Xu vende il suo sangue, ma solo nei momenti importanti della sua vita, come quando deve sposarsi o per la nascita dei suoi figli. Da decenni la contea di Yunxian è descritta dal governo centrale come una delle più povere del paese. «Non è delle donazioni di sangue che ci si deve preoccupare –  commenta il professor Tan Xiaodong, docente al dipartimento di salute pubblica dell’Università di Wuhan – il governo di Yunxian e i contadini locali dovrebbero adottare misure per combattere la povertà».

*urlodichen.blogspot.com