«Variante King»: il disertore Usa in Corea del Nord

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Il militare americano fuggito oltre il confine proprio durante l’escalation di tensione fra Seul, Pyongyang e Washington

Un militare americano che scappa dall’aeroporto di Seul per evitare il rimpatrio, si aggrega a un tour della zona demilitarizzata ed entra in Corea del nord. Volontariamente. Sembra la trama di un film, ma è una vicenda reale di cui è protagonista il 23enne Travis King. Soldato statunitense di stanza in Corea del sud, ha disertato per motivazioni non ancora note verso Pyongyang. A proposito di film, il suo celebre predecessore Joe Dresnok diventò una star del cinema nordcoreano di propaganda. Fuggito nel 1962 a nord del 38esimo parallelo per evitare la corte marziale, rimase alla corte della dinastia Kim fino alla sua morte, nel 2016. L’ultima diserzione era stata invece quella di Joseph T. White nel 1982. Da allora, sono stati migliaia i nordcoreani a fare il percorso opposto a quello di King.

Già nel pomeriggio di martedì si era diffusa la voce che un uomo aveva oltrepassato il confine tra le due Coree. Poi è giunta la conferma che non si trattava di un semplice turista, ma di un militare. King ha avuto diversi problemi con la giustizia del paese asiatico. Lo scorso settembre ha colpito più volte al volto un uomo in un locale. A ottobre la polizia è intervenuta per sedare una rissa in cui era coinvolto. Lui ha reagito con insulti e prendendo a calci l’auto degli agenti. A febbraio si è dichiarato colpevole e ha in seguito trascorso due mesi in carcere. Rilasciato pochi giorni fa, martedì è stato portato all’aeroporto di Incheon per il ritorno negli Usa, dove lo attendeva un’azione disciplinare. Dopo aver passato i controlli di sicurezza, è riuscito a fuggire fingendo di aver perso il passaporto. Si è poi aggregato a un gruppo turistico diretto al villaggio di Panmunjeom, sede della firma dell’armistizio nel 1953 e di tutti gli incontri tra le due sponde. Compreso quello del 2019 tra Donald Trump e Kim Jong-un. Da qui, tra i bassi edifici di colore blu dell’area di sicurezza congiunta, si è diretto volontariamente verso nord tra lo stupore di visitatori e guardie sudcoreane, senza che nessuno intervenisse. Si troverebbe ora sotto custodia di Pyongyang e il Pentagono ha spiegato che sta cercando di accertarsi delle sue condizioni.

Da capire le autorità nordcoreane tratteranno il militare, che potrebbe diventare un utile strumento di propaganda o una preziosa pedina di scambio. I più ottimisti credono che, per risolvere la vicenda, Washington e Pyongyang possano riaprire i canali di dialogo rimasti chiusi negli ultimi anni. Ma ci sono diverse incognite, a partire dal fatto che si tratta della prima “infiltrazione” dell’era post Covid, in una Corea del nord ancora più ermetica di quanto non fosse in precedenza.

L’incredibile episodio avviene peraltro in un momento di alta tensione. Nello stesso giorno della diserzione, un sottomarino americano a capacità nucleare ha attraccato in Corea del sud per la prima volta dopo 42 anni, al porto di Busan. Un modo per celebrare il contemporaneo primo round di colloqui nell’ambito del meccanismo di cooperazione previsto col rafforzamento dell’ombrello nucleare americano, annunciato durante la recente visita alla Casa bianca di Yoon Suk-yeol. Lo stesso presidente sudcoreano è salito ieri a bordo del sottomarino USS Kentucky, in risposta ai due missili balistici a corto raggio lanciati nella notte da Pyongyang. E intanto sono in corso i preparativi di una grande parata militare per il 70esimo anniversario dell’armistizio del 27 luglio, noto in Corea del nord come “giorno della vittoria”. In una situazione in cui il dialogo appare una chimera e l’escalation inevitabile, si inserisce ora la variabile King.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]