Una giornata con Junfeng Zhang, alla ricerca dell’acqua

In by Simone

Incontro Junfeng Zhang alle 8 di un freddo mattino di aprile a Pechino, alla fermata di Jui Shui Tian, punto di incontro degli appassionati e seguaci dell’Università della Natura. Zhang è pimpante come al solito, secco come un chiodo, coperto da una giacca sottile, pare non sentire per niente la frizzante aria mattutina. Pianta la bandiera della sua ong all’uscita della metro e ci disponiamo ad aspettare gli altri.

Zhang è l’attivista cinese lontano dai riflettori occidentali, che fa del suo corpo la sua missione: rispetto e controllo dell’acqua. Il suo impegno lo vive su di sé, attraverso la sua vita e in una quotidiana preservazione di acqua, dai risvolti anche bizzarri: Zhang – per sua stessa ammissione – si lava solo una volta al mese. La sua è la storia di una conversione, la testimonianza dell’esistenza di una società civile in Cina pronta a prendersi le proprie responsabilità anche di fronte al potere, ma prima di tutto di fronte alla propria comunità, al proprio popolo.

Come ingegnere aveva dapprima cercato di usare misure economiche per alleviare i problemi della povertà in Cina. Una volta esploso il boom economico è riuscito ad aiutare molte persone, ma dopo dieci anni di lavoro, ha realizzato l’amara verità: lo sviluppo economico comporta altresì un uso eccessivo delle risorse. Nel 1998 ha cambiato radicalmente la sua vita, tornando a studiare: ecologia presso l’Università di Agricoltura.

Qui è venuto a conoscenza del grande problema dell’acqua a Pechino, rimanendo folgorato dalla semplice drammaticità della situazione. «le forniture di acqua che ha la capitale sono così suddivise: un terzo è a secco, un  terzo sono basse, un terzo è usato esclusivamente in funzione turistica. Il nostro problema principale è che manca l’acqua per l’agricoltura. L’unica soluzione possibile sarebbe quella di spostare la capitale a Chengdu (nel sud della Cina), ma poiché questo non accadrà, dobbiamo cambiare il nostro comportamento, non ci sono altre soluzioni». Da allora, ha focalizzato le sue ricerche sulle riserve d’acqua a Pechino, Hebei e Shanxi, ha visitato, raccolto e analizzato campioni d’acqua da quasi 400 riserve. Durante questi viaggi ha incontrato Yong Feng, divenuto suo compagno di passeggiate e futuro socio. «Fu lui a suggerirmi di difendere pubblicamente le nostre risorse idriche. Mi disse anche che sarebbe stato necessario che altra gente si unisse a noi, ci accompagnasse nelle nostre ricerche. Ed ecco che abbiamo deciso di fondare l’Università della Natura e di creare una prima classe, il meraviglioso cammino dell’acqua».

L’impegno iniziale era quella di portare la gente a vivere la natura e impegnarsi direttamente con i propri problemi: «non mi piace che la gente finisca per essere guidata dalle informazioni inesatte fornite dai media. Preferiamo che loro stessi si muovano, vedano e possano giudicare da soli». Già, i media cinesi descrivono sempre il migliore dei mondi possibili. Mentre le mani cercano riparo nelle tasche dei jeans, ecco che lo scopo prioritario della scampagnata che stiamo per fare giunge all’improvviso: vedere coi propri occhi. Andiamo a cercare l’acqua a Pechino.

Quando siamo in una dozzina di persone si parte: primo autobus per allontanarsi oltre il sesto anello di Pechino, un’ora e mezza circa, un altro autobus, per un’altra ora, per arrivare un in un piccolo villaggio che sembra saltato fuori da un vecchio libro di storia. Ricorda le immagini della Cina maoista, quella rurale, povera, dai volti delle persone rigati dalle intemperie e dalle avversità della natura. La terra circostante, brulla e aspra, un cimitero della prosperità. Si mangia qualcosa in un piccolo ristorante del paese, dopo che una donna, fascia rossa al braccio, ci aveva appena salutato dandoci il benvenuto nel villaggio, invitando a non fumare nel bosco. 300 yuan (circa 30 euro) al mese per stare ferma tutto il giorno ad un incrocio. Ha il volto rosso nascosto dal cappuccio: in questa zona fa ancora più freddo che a Pechino. Mentre ci si incammina, in un falso piano ancora regolare, incontriamo un’altra signora che ha il medesimo ruolo della precedente. E lo stesso salario. Ci racconta che il governo consegna al villaggio cibo, ma pochi soldi. Che l’acqua è un problema gravissimo e che da quella terra non si tira fuori un accidente. C’è stato anche il premier lì, Wen Jiabao, ma quando il discorso prende la piega politica, qualcuno avvisa che c’è un giornalista tra loro. E la signora ci saluta gentilmente invitandoci a fare una buona camminata. Zhang, riappare, durante il viaggio lo avevamo perso. Si mette in testa e si va di buona lena, pure troppo. Poi ci riposiamo un poco, tempo di fare qualche altra digressione.

Questo progetto delle passeggiate è nato nel 2007: oggi è attuato in sedici città cinesi. Ci guardiamo intorno: «un quarto delle persone in ogni gruppo sono nuove. Nel complesso, penso che abbiamo camminato con almeno 10 mila persone in questi anni». Nel tempo, le sue passeggiate sono diventate qualcosa di più, indagini di qualità e altri nuovi progetti, tutti legati all’acqua e in grado di creare un vero e proprio network con le altre associazioni ambientaliste come Amici della natura (una delle storiche ong cinesi) il Global Village di Pechino, la Croce Verde di Xiamen, Gli Amici Verdi di Tianjin e Nanjing.

Insieme hanno realizzato ricerche sociali sulle aree rurali e povere della Cina, con report rilasciati al pubblico e inviati ai rappresentanti del governo. Eppure non sono mai diventate una fonte di cambiamento. «L’unica cosa che possono fare le Ong in Cina è un po’ di propaganda e sensibilizzare la gente. La struttura sociale cinese è molto complicata, il pubblico non ha diritto di decidere o dire al governo come deve risolvere un problema». Zhang è critico circa i mega progetti cinesi per risolvere i problemi delle risorse, come la creazione artificiale di pioggia, «la bomba tra le nuvole altera la chimica e infrange la legge di natura», o sistemi di irrigazione che cercano di trasferire acqua da un fiume ad un altro, «alla fine porterà i problemi alla fonte originale delle acque». Ma sa anche la cosa più importante da sapere per un attivista cinese, ovvero che le proteste possono avere l’effetto opposto e si comporta quindi come un attivista con caratteristiche cinesi. La sua organizzazione, come tutte le ong in Cina, è inserita in un contesto in cui il governo è comunque presente. Lui ha anche invitato alcuni politici alle sue passeggiate e conosce bene l’animo dei cinesi: «non ci piace che qualcuno ci dica cosa è giusto e cosa è sbagliato o cosa fare. Ma se lo vediamo con i nostri occhi, capiamo subito cosa bisogna fare». Zhang, l’attivista silente e al lavoro passo dopo passo. Come quelli che rapidi ci portano a un punto morto.

Ci siamo persi nella montagna. Zhang scompare di nuovo. Poco dopo mentre la comitiva ferma si indaga sul da farsi, da un cespuglio spunta trafelato: si butta a terra e sentenzia, «non c’è sentiero». Gli sguardi si fanno fitti. «Ma possiamo costruirlo!» annuncia. Da lì in avanti un’ora e mezza di arrampicata verticale, ogni dieci minuti stop e un urlo: «sto costruendo la strada». Qualche risata, si chiacchiera. Si prosegue e tra un arbusto e un sasso cui appendersi, penso a questa spasmodica ricerca di acqua, a quella che consumiamo regolarmente a quante volte facciamo scorrere acqua a caso. E penso al villaggio appena attraversato: una povertà disarmante, unita a semplicità e gusto del sapersi accontentare, insieme ai lampioni a energia solare. Quante facce ha la Cina? Sul lato ecologico infatti avanza una Cina verde, nonostante l’inquinamento industriale, quello casalingo dovuto ad un uso massiccio del carbone e a un più generale problema di educazione civica al riguardo. Eppure: molta delle rete pechinese di semafori è alimentata a energia solare, le moto sono tutte elettriche, così come alcuni prototipi di macchina, si sta sperimentando in tante zone rurali l’uso del biogas. «Il problema – mi racconta una ragazza impegnata in una ong che si occupa di ambiente – è che il governo spinge e finanzia ong dedicate alle problematiche del clima e rimane così aperto un problema di educazione anti inquinamento». C’è poi chi si ingegna: un designer cinese, Zheng Daizi, ha realizzato delle batterie per cellulari che funzionano con lo zucchero, molte star cinesi sono impegnate in pubblicità ecologiche.

Una banca, la Shenzen Development Bank, ha lanciato una carta di credito biodegradabile. Ogni cinese possiede svariate carte di credito e debito, è una mania. Per questo lo slogan della banca recita: l’anno scorso sono state rilasciate due miliardi di carte di credito, messe in fila sono otto volte la vetta dell’Himalaya. Alcuni musicisti ci provano usando carta riciclata per i loro libretti dei cd, unendo alle proprie produzioni consigli o soluzioni: un cantante cinese ha allegato al suo cd dei chopstick riutilizzabili così da evitare lo spasmodico consumo delle posate cinesi usa e getta. Ci sono poi campagne stravaganti che spopolano tra i giovani cinesi: non divorziare, salva la terra, recita uno di essi. La teoria è semplice: in due, si risparmia energia e si salvaguarda l’ambiente più che vivendo da soli. Il consiglio: quando incontri la tua futura sposa, chiedile: vuoi salvare la terra?Sposami!

Perso in queste riflessioni, sono scosso dall’urlo improvviso. Mi pare di essere sulle navi di migranti verso l’America, descritte da Baricco in Novecento. C’è sempre qualcuno che prima di altri urlerà: l’America! Ho pensato prima di partire a chi poteva essere l’avvistatore tra di noi. Baricco sostiene che sia scritto nel loro destino. E l’urlo «acqua!» non poteva che arrivare da chi dall’inizio alla fine ha trainato il gruppo: un cinese di trent’anni circa attrezzatissimo, determinato e ora sorridente. In trance da scalata non lo riconosco e lo immagino in divisa da soldato intento a piantare la bandiera cinese. Quel che è peggio è che si tratta di un falso allarme.

Dalla roccia nera non scivola acqua, bensì umidità, la sorgente non è lì. Zhang prende in mano la situazione: dobbiamo scollinare ancora. Dopo due ore circa, altra vetta e niente acqua. «Vedi, mi dice Zhang, non c’è acqua a Pechino». E non solo lì: gli ultimi otto mesi sono stati il periodo più secco nella storia della Repubblica Popolare. Secondo le cifre pubblicate dall’Ufficio di Stato che controlla inondazioni e siccità sarebbero oltre 19 milioni le persone che soffrono di carenza di acqua potabile e sarebbero circa 6 milioni di ettari le aree coltivabili completamente secche nello Yunnan, in Guizhou, Sichuan, Guangxi e Chongqing. La siccità è ormai un pericolo naturale ricorrente negli ultimi anni e ha colpito in tempi diversi e in circostanze diverse, sia nel sud che nel nord del paese per la mancanza di precipitazioni associate anche ai cambiamenti climatici.

Questo fenomeno naturale del resto è anche una conseguenza della deforestazione e la rapida trasformazione industriale di un paese agricolo, con il conseguente danneggiamento delle fonti di acqua naturale. Quella che cercavano e che non abbiamo trovato.

La discesa è massacrante e quando ormai sono quasi le 22 si torna a Pechino. «Qui, afferma Zhang, c’è grigio, asfalto e inquinamento, il contatto con la natura è perduto, per questo con l’Università della Natura, cerchiamo di portare l’argomento dell’acqua nella mente della popolazione urbana e offrire un nuovo sguardo sul mondo. Un’osservazione che ci permetta di comprendere che le trasformazioni delle acque, l’inquinamento e altri problemi hanno la loro causa anche nel nostro tipo di comportamento e solo se noi cambiamo il nostro comportamento possiamo cambiare i problemi ambientali che ci circondano». Giunti al punto di partenza dovremmo fare un bilancio della giornata, ma inizia a piovere, è buio e l’aria è ancora fredda. Tutto rimandato, mentre la pioggia, quell’acqua non trovata sulle montagne, sembra rispondere a un nostro desiderio iniziale. C’è solo una domanda che aleggia tra i nostri pensieri: sarà pioggia vera?

[Pubblicato sulla rivista Carta, aprile 2010]