Un primo dicembre 2009, diverso

In by Simone

Meno di un mese fa una ragazza cinese pubblicò sul suo blog un elenco di centinaia di nomi di uomini. Alla fine della lista scrisse: «se siete uno di questi, avete l’aids». Sul web rimbalzò la notizia, ne parlarono anche i  media ufficiali. La Cina vide l’aids da vicino e in molti devono essere spaventati mica poco. Alla fine si scoprì che ad avere architettato il tutto era stato il suo (ex) fidanzato. Non furono pochi gli insulti. Il tipo fu perfino arrestato. Quelli nell’elenco tirarono un sospiro di sollievo, ma di aids si è continuato a parlare, in un lento sdoganamento del problema. A Guomao, quartiere cuore finanziario della capitale, si ergono grattacieli di ogni sorta. Al vertice di uno di essi campeggia un led gigante che raffigura un red ribbon di proporzioni altrettanto mastodontiche. La Cina si sveglia nel primo dicembre di lotta contro l’aids, in modo diverso, raccogliendo i frutti di un anno che ha visto il Presidente Hu Jintao stringere la mano ad alcuni malati di aids, giusto un anno esatto fa, un gay pride organizzato e svoltosi a Shanghai, il cestista della Nba, Yao Ming, impegnato in uno spot per sensibilizzare sul tema, lanciato in occasione della giornata mondiale. A Shenzen, organo di propulsione economica del sud est cinese e immenso mercato della prostituzione, addirittura, hanno distribuito profilattici per le strade.

Il problema dell’aids in Cina è grosso e di difficile lettura a causa della mancanza, secondo molte associazioni, di dati reali, verificabili. In sintesi: la mole del problema è superiore agli appelli lanciati dal Governo. In Cina infatti l’informazione a sostegno della sensibilizzazione sul tema, ancora non basta: oggi l’aids è una delle cause principali di morte nel paese. E il 70% dei decessi per contagio da hiv è dovuto a rapporti sessuali non protetti. Colpa di poca informazione, di paure e di discriminazione. L’uso del profilattico è clamorosamente assente anche negli ambiti eterosessuali e così a finire contagiati tocca per lo più a lavoratori migranti e ragazze che arrivano dalle campagne. Rispettivamente clienti e venditrici di sesso in un paese in cui la prostituzione, pur essendo illegale, dilaga, finendo per colpire gli strati sociali meno ricchi del gigante cinese. I numeri parlano chiaro: secondo i dati del ministero della sanità cinese sarebbero quasi un milione i cinesi affetti da aids. Solo 50 mila circa i nuovi infetti nel 2009. Per il ministro della sanità il rischio «è di epidemia», ha affermato recentemente.

Dal primo caso ufficiale di aids, nel 1985, ad oggi molto è cambiato, ma c’è chi continua a soffrire e non poco: i bambini cinesi affetti da aids sono infatti in cura presso centri specialistici, molto simili a orfanotrofi. Sono circa 10 mila i bambini affetti da hiv, curati spesso da organizzazioni non governative. In questo caso infatti i dati sono ancora nascosti, spesso rimossi dalle maglie di un rigido controllo di ogni informazione al riguardo. Il problema, con i bambini, è la regolarità dei medicamenti (anche la fondazione Clinton ha aiutato queste organizzazione attraverso l’invio di medicinali) e il recupero psicologico: «molti di loro avevano paura di essere discriminati, con il tempo possiamo dire di averli recuperati in pieno», ha affermato alla Reuters Zhang Ying, direttore della Fuyang AIDS Orphan Salvation Association.

Intanto tra i segnali positivi, come l’apertura del paese anche a persone malate di aids, fino a poco tempo non era possibile, ci sono anche segnali negativi: a Dalì doveva aprire un gay bar finanziato dal governo. Troppa pressione, secondo i gestori. Insomma, il bar non aprirà, per ora.