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Triangola anche il Giappone: chip a Mosca aggirando le sanzioni

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Chip – Lo stretto alleato statunitense incassa 11 milioni di dollari tramite paesi terzi. Tra i clienti russi delle aziende di Tokyo anche società che producono armi

Se mai esisterà, la cortina di ferro tecnologica è in una fase ancora arretrata di costruzione. Le sue sponde sono più che permeabili e i chip continuano a fluire senza eccessivi ostacoli. Se si crea un muro, si trova una strada secondaria.

GLI STATI UNITI, prendendo atto delle complicazioni, attenuano (almeno per il momento) il desiderio di disaccoppiamento con la Cina. E i semiconduttori continuano ad arrivare anche in Russia, nonostante la guerra in Ucraina. Persino dal Giappone, principale rivale orientale di Mosca. Nel marzo 2022, Tokyo si è allineata aWashington bloccando le esportazioni di chip verso la Russia. Tanto che in tutto il 2022 i dati doganali giapponesi mostrano come esportate in Russia solamente 150mila unità, l’85% in meno rispetto al 2021.

Eppure, secondo un’indagine di Nikkei Asia, non è andata proprio così. Tra il 24 febbraio 2022 e il 31 marzo 2023, le dogane russe avrebbero registrato almeno 89 transazioni riguardanti semiconduttori che coinvolgono produttori giapponesi. Le aziende di Tokyo avrebbero venduto in Russia oltre due milioni di unità per un ricavo totale di circa 11 milioni di dollari.

Il tutto attraverso triangolazioni commerciali che fanno passare i chip giapponesi attraverso paesi terzi. Soprattutto la Cina, da cui è partito circa il 70% delle spedizioni, seguita da Corea del Sud e Turchia. In tal modo verrebbero dunque mantenuti i rapporti con i clienti russi, che continuano ad avere grande esigenza di semiconduttori. Appare complicato intervenire, visto che leggi e restrizioni coprono efficacemente solo le spedizioni dirette dal Giappone.

Dall’indagine di Nikkei, emergono alcuni casi esemplificativi. Come quello di Kioxia Holdings, che lo scorso ottobre avrebbe venduto circa 4mila unità a un cliente russo attraverso l’intermediazione di una compagnia di Hong Kong.

Non solo. Il cliente russo in questione conterebbe al suo interno attori attivi nella produzione di armi. Altre aziende avrebbero mandato chip a Mosca con l’aiuto della cinese King-Pai Technology, sanzionata dagli Stati uniti per i suoi affari con una compagnia militare russa. E dire che il premier Fumio Kishida è stato il più convinto nel condannare Vladimir Putin e nel sottolineare i rischi che l’Asia possa diventare la «futura Ucraina».

IL PROBLEMA delle triangolazioni verso la Russia riguarda anche gli Stati uniti. Intanto, nonostante le azioni restrittive della Casa bianca, i colossi americani continuano a fare affari alla luce del sole con la Cina. Micron ha appena annunciato un investimento da 602 milioni di dollari per espandere il suo impianto di Xi’an, antica capitale della Via della Seta.

Mossa in parte sorprendente, visto che negli scorsi mesi Pechino ha imposto alcuni blocchi ai chip dell’azienda in risposta alle ultime restrizioni di Joe Biden. Forse un modo per ottenere un allentamento. Micron assumerà 1.200 persone per gestire una nuova linea di assemblaggio, che dovrebbe leggermente aumentare la percentuale di ricavi provenienti dalla Cina, attualmente all’11%. Di recente, l’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, è stato a Pechino per parlare di stabilizzazione della catena di approvvigionamento di microchip.

Lo stesso Biden sembra aver deciso, suo malgrado, di allentare parzialmente (e temporaneamente) la presa. Se il Giappone si è allineato in fretta alle disposizioni anti-cinesi, Taiwan e Corea del Sud hanno espresso a più riprese profondi dubbi.

Qualche volta anche agendo in maniera non proprio limpida. La scorsa settimana un ex dirigente di Samsung è stato incriminato per spionaggio industriale a favore di aziende cinesi. L’accusa è di aver passato tecnologia sensibile di Samsung per costruire una fabbrica «gemella» di chip in Cina.

BIDEN SEMBRA essersi convinto a concedere una proroga di un anno alle esenzioni in scadenza a ottobre per le aziende taiwanesi e sudcoreane che hanno attività di produzione di chip in Cina. Un tema sensibile, visto che i due principali giganti del settore, la taiwanese Tsmc e la sudcoreana Samsung, hanno investito miliardi di dollari nella Repubblica popolare. La cortina di ferro tecnologica è ancora lontana dal materializzarsi.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il manifesto]